di Andrea Monti – Nòva Ilsole24Ore – Buone notizie per circa cinquecentomila cittadini inglesi dei 4, 5 milioni schedati nel database del DNA del governo di Sua Maestà, che grazie alla sentenza pronunciata dalla Corte europea dei diritti umani lo scorso 4 dicembre possono chiedere che i loro dati genetici siano cancellati dal più grande archivio di dati genetici ad uso delle forze di polizia.
I due ricorrenti, uno assolto dall’accusa di rapina, e l’altro accusato di molestie verso la moglie, ma non processato dopo che i coniugi si erano riconciliati, avevano inutilmente richiesto al governo inglese di cancellare i propri dati genetici e le impronte digitali dagli archivi di polizia. E solo con la rivolgendosi alla Corte europea sono riusciti a ottenere una pronuncia che riconosceva il loro diritto all’oblio. Nello stesso tempo la decisione stabilisce che la conservazione a tempo indeterminato di dati genetici è una violazione dell’art. 8 della Convenzione di Roma che protegge il diritto alla privacy.Le impronte digitali, i profili informatici del DNA e i campioni, ritiene la Corte, sono dati personali e godono della protezione offerta dalle direttive europee di settore (a partire dalla 95/46). Da qui, la violazione della Convenzione sui diritti umani.
La decisione unanime dei diciassette giudici si è basata sul fatto che, pur riconoscendo l’importanza dei metodi scientifici come strumento di prevenzione del crimine, non è ammissibile un loro utilizzo indiscriminato, come quello che ne fa la normativa inglese sulla conservazione dei dati genetici. Una volta “finiti” nel National DNA Database, infatti, è praticamente impossibile uscirne, specie in quei casi che la polizia decide di non perseguire per le ragioni più diverse (in Inghilterra non c’è, come in Italia, l’obbligatorietà dell’azione penale). Dunque, anche i dati di soggetti che tecnicamente non sono colpevoli perché manca il processo, ma nemmeno dichiarati innocenti (per la stessa ragione) sono costretti a gravitare in una sorta di limbo informatico. Almeno fino a oggi, visto che la decisione della Corte di Strasburgo scrive un capitolo tutto nuovo nel rapporto fra potere dello Stato e diritto alla privacy, ed è destinata ad avere importanti conseguenze anche in Italia.
Benché, infatti, sia discutibile che i campioni genetici in sè costituiscano dati personali (ciò vale, piuttosto, per i risultati delle analisi eseguite sui campioni, e dunque per i profili genetici), rimane il fatto che di questa sentenza si dovrà tenere conto nell’emanazione delle norme sul prelievo coatto dei campioni genetici (attualmente in discussione al Senato, con il numero AS995) e sulla costituzione della banca dati nazionale del DNA, annunciata già nella precedente legislatura e ora nell’agenda del governo in carica. Costruire e gestire una infrastruttura tecnologica per la conservazione fisica di tessuti biologici, collegata a un archivio informatico che conserva i risultati delle analisi e li mette a disposizione della magistratura e delle forze di polizia, infatti, è una grande opportunità industriale per il settore biotech italiano. E sarebbe incredibile, a cose fatte, dover smontare il giocattolo per non avere preso in considerazione un orientamento come quello espresso dalla Corte europea.
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