di Andrea Monti
Lo scopo di questo lavoro è di rendere conto nel modo più chiaro possibile del dibattito che si è sviluppato attorno all’ambito di applicazione del d.lgs. 103-95.
Conseguentemente, nessuna delle tesi qui riportate può essere considerata dominante o definitiva anzi, al contrario, esse vogliono essere uno stimolo all’approfondimento e alla discussione nel più puro spirito di questo Forum.
1 – Il Piano regolatore nazionale delle telecomunicazioni, approvato con Decreto ministeriale del 6 aprile 1990 classifica i servizi di telecomunicazioni nel seguente modo:
a – servizi portanti (trasferimento di informazioni tra terminazioni di rete)
b – teleservizi (telefono e telex)
c – servizi supplementari ai servizi portanti e ai teleservizi (documentazione addebiti, telelettura contatore, telefonata a 3, messaggio ad indirizzo multiplo)
d – servizi applicativi e/o a valore aggiunto (posta elettronica, elenco elettronico, facsimile, teletex, videotex, sveglia, ora esatta, videotelefono, trasferimento messaggi interpersonali o documenti commerciali).
Il d.lgs. 103/95 tuttavia sembra adottare criteri parzialmente differenti ispirati da un lato a ciò che passa sui cavi (e.g.: “servizi diversi dalla telefonia vocale”) e dall’altro al modo in cui ciò avviene (“… Quando sono utilizzati collegamenti diretti … l’offerta dei servizi di cui all’art. 2 c. I,… deve…”) creando sicuramente qualche difficoltà all’interprete.
2 – La liberalizzazione ha riguardato tutti i servizi diversi dalla telefonia vocale e dalla radiotelefonia mobile (argomenta ex art. 2
c. I d.lgs. 103/95: “L’accesso alla rete…per la fornitura mediante collegamenti commutati o diretti… dei servizi di telecomunicazioni DIVERSI DALLA TELEFONIA VOCALE… è consentito).
La norma richiamata si applica solo alla fonia o anche alla trasmissione dati?
L’art. 3 c. I d.lgs. 103/95, nel disciplinare il regime dichiaratorio, richiama i servizi di cui all’art. 2 c. I in quanto offerti tramite commutazione di CIRCUITO; mentre il comma successivo riguarda gli stessi servizi ma su linea dedicata (soggetti in questo caso ad autorizzazione).
Non è chiaro se in questo caso il legislatore si riferisca ai servizi-voce o anche a tutti gli altri c.d. “servizi diversi”.
Una qualche indicazione può giungere dal comma III.
Esso, infatti, disciplina espressamente i servizi di trasmissione dati a commutazione di CIRCUITO o di PACCHETTO e la rivendita di capacità sottoponendoli a regime autorizzatorio.
Si può sostenere, allora, che l’art. 3 assolva ad una funzione specificatoria dei regimi dei vari tipi di servizio, applicandosi i primi due commi ai servizi di telecomunicazione diversi dalla trasmissione dati e il terzo alla trasmissione dati.
Si renderebbe ragione, in questo modo, della non altrimenti giustificabile duplicazione contenuta nei commi I e III dell’art.3.
Del resto, che i commi I e II dell’art.3 d.lgs. 103-95 riguardino altri servizi è affermato dalla norma stessa che – appunto al comma I – rinvia la disciplina dei servizi di trasmissione dati al comma III.
3 – Per risolvere il problema dello statuto giuridico degli Internet-provider e dei POP, è allora prioritario stabilire in quale dei tre commi rientrano i servizi offerti da questi soggetti.
Bisogna dunque stabilire in altri termini se ciò che viene offerto dai Provider sia o meno qualificabile come “trasmissione dati” e, se sì, di che tipo.
In via preliminare: il servizio di trasmissione dati è così definito (art.1 c.I lett.i): fornitura al pubblico del trasporto diretto dei dati
IN PARTENZA E A DESTINAZIONE dei punti terminali della rete pubblica COMMUTATA, che consente… di utilizzare
l’attrezzatura collegata al suo punto terminale… per comunicare con un altro punto terminale.
Si potrebbe dunque sostenere che il servizio offerto, e quindi l’oggetto del rapporto giuridico fra utente finale e POP o provider, sia il COLLEGAMENTO FRA DUE PUNTI DELLA RETE COMMUTATA AL FINE DI TRASMETTERE DATI a prescindere da come fisicamente ciò avvenga, in conformità a quanto stabilito nel piano nazionale delle telecomunicazioni.
E infatti il legislatore non si è imbarcato nel ginepraio dei protocolli di trasmissione così come definiti dai vari documenti internazionali, ma si è limitato ad una norma generica che si occupa ESCLUSIVAMENTE dell’aspetto “fisico” del problema.
Non rileverebbe che – per esempio – la connessione con il 1421 di Itapac possa avvenire parzialmente in commutazione di circuito (dal domicilio dell’utente al nodo) e poi in commutazione di pacchetto. Ciò che conta è l’esito finale vale a dire la connessione di due punti terminali.
Analogamente a quanto accadrebbe per le connessioni internet che hanno un unico dato certo: quello che dal domicilio dell’utente al pop la connessione è a commutazione di circuito; mentre ciò che avviene in uscita dal pop sulla rete può avere tutt’altra natura senza che mutino i termini del problema.
Rimane fermo che per ricomprendere i servizi Internet nella definizione di “servizio di trasmissione dati” fornita dalla legge dovrebbero verificarsi due condizioni.
In primo luogo, l’oggetto del contratto fra il pop e l’utente finale NON dovrebbe essere il mero accesso alle macchine del primo (come accadrebbe invece con un BBS) ma anche l’USCITA verso un altro punto terminale (ciò si potrebbe ravvisare in una sessione telnet o ftp, dove il ruolo del POP è ESCLUSIVAMENTE quello di “passante” fra uno o più punti terminali di rete).
E’ anche vero, tuttavia, che servizi come la posta elettronica non possono comunque essere considerati trasmissione dati, tant’è che l’onnipresente piano nazionale delle telecomunicazioni li inserisce all’interno dei c.d. “servizi applicativi eo a valore aggiunto” che il d.lgs. ricomprende nella nozione più generica di “servizi diversi”.
Dovrebbe quindi scindersi il regime riservato a servizi che oggettivamente devono essere considerati trasmissione dati come FTP o Telnet (autorizzazione) da quello relativo a tutti gli altri servizi diversi non erogati su linea dedicata (dichiarazione)
In secondo luogo, tale trasmissione dati dovrebbe essere “diretta”.
E’ proprio su questo aggettivo – come si vedrà di qui a poco – che sorgono i maggiori problemi interpretativi.
Ad ogni modo, aderendo alla tesi in esame, ne deriverebbero le seguenti conseguenze, superando le difficoltà connesse alla verifica in concreto delle tecnologie impiegate dal fornitore di servizi in relazione al regime (autorizzatorio o dichiaratorio) da applicare:
a – i BBS amatoriali non sono soggetti alla normativa de qua, in quanto non operanti in regime di mercato e quindi di concorrenza (una precisazione: amatoriale non vuol dire necessariamente gratuito. Se un’associazione culturale ha un BBS e raccoglie adesioni tramite il mezzo telematico, ciò non vuol dire svolgere attività commerciale, l’unica cosa che importa è che le somme percepite siano riimpiegate per scopi previsti dallo statuto.).
b – il bbs che offre servizi commerciali deve chiedere l’autorizzazione
c – il provider che affitta e subaffitta i cavi deve chiedere l’autorizzazione
d – il POP, in quanto fornitore di servizi di trasmissione dati ex art.3 c.III deve chiedere l’autorizzazione.
4 – Non sfugge che le argomentazioni che precedono e in particolare la classificazione di servizi di telecomunicazioni proposta, prestino il fianco a numerose eccezioni, la più seria delle quali riguarda la sussunzione fra servizi di trasmissione dati a commutazione di circuito o di pacchetto (così come definiti dall’art. 1 c. I lett. i) dei servizi diversi dalla telefonia vocale.
Tali obiezioni si fondano sul tenore letterale della succitata norma che definisce tali servizi come “la fornitura al pubblico del trasporto DIRETTO di dati in partenza e a destinazione dei punti terminali della rete pubblica che consente ad ogni utente di utilizzare l’attrezzatura collegata al suo punto terminale di tale rete per comunicare con un altro punto terminale”.
Orbene, si è detto, in primo luogo i provider non offrono trasmissione dati a commutazione di pacchetto, ma servizi diversi dalla telefonia vocale, in cui i dati viaggiano “a pacchetti” (cioè i servizi applicativi e/o a valore aggiunto di cui al Piano Nazionale delle Telcomunicazioni).
In secondo luogo anche se i dati viaggiano a pacchetti, non c’è commutazione di pacchetto in senso tecnico e in tertiis, l’aggettivo “diretto” contenuto nella norma esaminata sarebbe da intendersi come sinonimo di “punto-punto”, cioè di connessione, appunto, diretta fra due terminali.
Sempre secondo la tesi in questione, la corretta interpretazione del termine”diretto” sarebbe contenuta nell’art. 1 c. I lett. g) e si riferirebbe alla connessione “da un utente all’altro”.
I servizi Internet invece, argomenta il ragionatore, sono sempre “indiretti” perché il collegamento avverrebbe fra utente e provider, mentre al resto penserebbe esclusivamente il server che a sua volta si connetterebbe ad un numero variabile ed imprecisato di altri nodi (basta vedere l’output di un trace-route per rendersene conto).
Le implicazioni di questa tesi sono di segno parzialmente diverso dalla precedente.
Entrambe escludono l’estensione del regime autorizzatorio ai BBS amatoriali, mentre vi fanno rientrare i provider che offrono connettività su linea dedicata o rivendita di capacità; ma la prima applica l’autorizzazione anche ai semplici POP mentre la secondo li esime.
Resta, tuttavia, un’incognita.
Se la trasmissione dati avviene a commutazione di pacchetto o di circuito (e abbiamo visto che quella “o” non identifica un’alternativa) come è contemporaneamente possibile una trasmissione diretta (intendendo questo termine come sinonimo di “punto-punto)?
5 – Questi dubbi verrebbero superati da un terzo orientamento.
Partendo dalla premessa che le norme sull’autorizzazione mirano a controllare il semplice USO delle linee dedicate FINALIZZATO ad un’offerta al pubblico di servizi liberalizzati, sembrerebbe plausibile concludere per l’applicabilità del regime autorizzatorio anche per i POP, i quali a monte impiegano comunque linee dedicate per erogare i loro servizi.
Essi rientrerebbero quindi fra i casi previsti dall’art. 3 c.II d.lgs. 103/95.
A nulla varrebbe obiettare che in questo modo si fa rientrare praticamente tutto all’interno della legge in questione, anzi, paradossalmente, ciò sarebbe maggiormente aderente alla ratio che è quella di poter vigilare su TUTTI i soggetti che operano nel settore per potere garantire una effettiva tutela della libera concorrenza.
Del resto la lettera della legge sembra preoccuparsi di regolamentare l’uso delle linee dedicate, piuttosto che i differenti servizi che è possibile in astratto erogare, con conseguenze in qualche caso paradossali.
6 – La dimostrazione sarebbe contenuta nell’art. 1 c. I l ett. f) del d.lgs. 103-95.
Nel definire le esigenze fondamentali che legittimano uno Stato membro a limitare l’accesso alla rete, il legislatore accomuna motivazioni squisitamente tecniche (sicurezza di funzionamento, integrità) a motivazioni di marca normativa: tutela dei dati personali, riservatezza delle informazioni trasmesse o memorizzate, nonché la tutela della sfera privata.
Se dunque è considerata esigenza fondamentale, per esempio, la tutela dei dati personali, non sarebbe possibile, a stretto rigore, far sì che gli stessi dati godano di un diverso livello di protezione a seconda del tipo di connettività impiegata dai fornitori, o della natura commerciale o privata delle connessioni stesse.
L’oscurità eraclitea dei questo decreto legislativo rende dunque possibili interpretazioni contrastanti, alcune delle quali più restrittive – nella realtà del fatti – di quanto lo spirito della direttiva comunitaria potesse con ogni probabilità antivedere. Sarebbe auspicabile un’interpretazione autentica prima che, come già in altri casi, il ricorso alle aule di giustizia produca giurisprudenza.
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