Per verità e memoria storica, riassumo ciò che ha caratterizzato l’emanazione del decreto di armonizzazione fra Codice dei dati personali e GPDR:
1 – delega attribuita al Governo in modo che il provvedimento fosse emanato a pochi giorni dall’applicabilità del GDPR,
2 – ulteriore perdita di tempo causata da una bozza di decreto prima ufficialmente annunciata dal Governo e poi clamorosamente sconfessata anche per via di grossolani errori di tecnica normativa,
3 – nuova bozza infine resa pubblicamente disponibile che, pur se migliorata rispetto all’imbarazzante testo precedente, presenta più di una criticità,
4 – contorsioni retoriche del Garante dei dati personali per dire quello che non può dire – ma che sarebbe giusto fare: prorogare di fatto ispezioni e sanzioni.
Tutto questo dimostra una totale mancanza di rispetto nei confronti di cittadini e imprese da parte delle istituzioni (a partire dal Parlamento, passando per la Presidenza del Consiglio e finendo con il Garante dei dati personali) che, però, si dimostrano zelantemente sollecite nell’annunciare “tolleranza zero” con chi “non rispetta la legge”.
Dell’imperatore, il bambino disse che era nudo.
Di costoro, invece, cosa dovremmo dire?
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