di Andrea Monti – PC Professionale n. 199
Il blackout del servizio di telefonia via Internet pone il problema della responsabilità dei produttori di software di fronte a servizi di comunicazioni globali
L’estate informatica 2007 è stata sicuramente caratterizzata dal clamoroso crash di Skype che a partire dal 16 agosto e per diversi giorni ha praticamente reso indisponibile il servizio in svariate parti del mondo (Italia compresa). I gestori di Skype hanno fornito una spiegazione dell’accaduto soltanto cinque giorni dopo il fatto, il che ha consentito la circolazione di voci sulla natura del problema – come quella di un attacco di tipo Denial-of-services – poi rivelatesi a quanto pare infondate. Secondo la versione ufficiale, dunque, le ragioni della “disruption of Skype” (così la definiscono sul blog aziendale) risiederebbero in una sfortunata coincidenza per cui l’infrastruttura non avrebbe retto al massiccio reboot dei tantissimi “supernode” di Skype provocati dall’installazione di patch di Windows.
Come chiarisce il comunicato di Skype – che si affretta ad assolvere Microsoft – “le patch di Microsoft update sono state soltanto il catalizzatore – un interruttore – per la serie di eventi che ha portato alla disgregazione di Skype, e non la principale causa dell’accaduto”. Sia come sia, basta cercare su un motore le parole skypee outageo crash per rendersi conto dell’estensione del problema e di quanto l’indisponibilità di una risorsa di rete abbia preoccupato la comunità degli utenti, il che apre interessanti scenari da un punto di vista legale. La prima domanda da porsi è sicuramente: C’è un colpevole, e se sì, chi è?
La parte semplice della risposta è basata sul fatto che Skype si assume pubblicamente ogni responsabilità tecnica per il crash, il che significa che chi avesse subito danni dimostrabili per i servizi acquistati potrebbe abbastanza agevolmente chiedere il risarcimento. Spetterebbe infatti a Skype l’onere di dimostrare che alla responsabilità tecnica non corrisponde una responsabilità giuridica. La parte più interessante della risposta, invece, riguarda l’interpretazione di quella frase – quasi scritta in sordina nel comunicato ufficiale sull’incidente – per cui le patch di Microsoft update non sarebbero state “la principale causa dell’accaduto”. Tecnicamente questo non è vero perchè è fuori discussione che il crash si è verificato non per un fatto interno al codice di Skype, ma per l’interazione fra la piattaforma di questo software e il comportamento di un altro applicativo (nella specie, un sistema operativo e il modo in cui è stato progettato il sistema di patching).
Dunque il problema diventa capire se il produttore di un sistema operativo – che nel caso specifico sia Microsoft è del tutto irrilevante – sia responsabile dei danni provocati dall’interazione con applicazioni sviluppate da terze parti. In linea di principio questa responsabilità esiste: non si può realizzare un prodotto destinato geneticamente a funzionare con altri prodotti sviluppati da altri e poi chiamarsi fuori se per via di errori di realizzazione questo prodotto provoca danni. A complicare lo scenario, sta poi anche il fatto che un programma potrebbe essere realizzato semplicemente appoggiandosi al sistema operativo e senza conoscerne l’intima struttura.
Questa ipotesi sposterebbe la responsabilità sul produttore dell’applicativo che, sapendo di non avere adeguate informazioni tecniche, ciò nonostante commercializza lo stesso il proprio programma. Se, al contrario, lo scambio di informazioni fra l’autore del sistema operativo e quello dell’applicazione c’è stato, allora gli utenti potrebbero rivalersi su entrambi (salvo poi quantificare le effettive quote di responsabilità).
Ma come per molte cose che riguardano l’informatica, queste ipotesi sono destinate a rimanere tali: il diritto d’autore consente ai titolari dei diritti sul software di nascondere i codici sorgenti (sia Windows, sia Skype sono chiusi) il che impedisce di accertare le responsabilità in caso di incidente, inibendo alla base qualsiasi possibilità di azione legale nei confronti dei potenziali responsabili.
Con questo non voglio riaprire la diatriba fra software libero e software proprietario, sempre più simile, ormai, a una guerra di religione che a un confronto fra modelli di business.
Rimane tuttavia il fatto – ed è questo il vero problema posto dal crash di Skype – che dalla sostanziale impunità dei produttori di software derivano sempre più effetti su scala globale che condizionano la sfera giuridica e personale anche di chi non usa determinati sistemi operativi. Fino a quando si tratta di non poter usare per qualche giorno un telefono a basso costo, poco male, ma non è difficile immaginare cosa accadrà in situazioni più serie, quando non basterà affidarsi alla società di relazioni pubbliche di turno per tirar fuori un comunicato stampa”e giustificare il proprio operato.
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