Interlex n.67
di Andrea Monti
La notizia è pubblicata sul “Corriere della Sera” del 13 novembre scorso: un sacerdote del siracusano – già noto per le sue crociate anti-pedofili culminate nella denuncia di siti contenenti materiale osceno, sconsolato per la pochezza dei risultati (operazioni internazionali che scovano quattro gatti, per di più solo “guardoni”) decide – in ossequio alla universale massima filosofica “chi fa da sé, fa per tre” – di farsi giustizia da solo… Beh, quasi, visto che per raggiungere lo scopo avrebbe radunato una quarantina di (sedicenti) hacker.
Il gruppo coordinato dal sacerdote ha pensato di darsi una veste giuridica, e dunque – da quanto è dato di capire – pare sia costituito in un’associazione che – come vedremo – potrebbe sconfinare nell’associazione a delinquere.
Una delle prime uscite pubbliche di questa APHC (Anti-Pedo Hacker Crusade) è un comunicato dal tenore inquietante sia per la forma (alquanto sgrammaticata) sia per i contenuti (inni al vigilantismo e alla limitazione della libertà di espressione, deliberata violazione di leggi) che commenterò qui di seguito.
A scanso di equivoci
Tanto per essere chiari: ho intenzione di esprimere opinioni fortemente critiche su questa vicenda e quindi, per una questione di correttezza, non citerò dei passi ma il testo integrale del comunicato stampa in questione.
Credo inoltre necessario fare alcune precisazioni.
Come oramai saprete, la recente storia giudiziaria è piena di indagini costruite sulla minaccia del “pericolo elettronico numero 1” di turno, di volta in volta incarnato da gente che cerca di non pagare la bolletta o dedita al cambio delle home-page. Intendiamoci, non che tutto questo sia accettabile (se il fatto è previsto dalla legge come reato, c’è poco da fare), ma certamente non si tratta di emergenze di sicurezza nazionale. Ogni volta i mezzi di informazione hanno fatto a gara per rappresentare questi fatti come un allarme per il futuro prossimo venturo, auspicando interventi normativi, processi e quant’altro.
Ora siamo di fronte ad un fenomeno (almeno per i più) nuovo: niente geni dei computer, niente server supersegreti, nulla di tutto ciò; soltanto delle persone che hanno deciso di farsi giustizia da sole usando una tecnologia complessa invece di forche e roghi.
In altre parole, siamo di fronte al tentativo di legalizzare (o moralizzare) l’intolleranza, tentativo che, se dovesse giungere a compimento, produrrebbe effetti devastanti.
Andiamo a incominciare
Lettera aperta degli hackers contro la pedofilia in rete
Credo di poter vantare una certa esperienza nel settore che impropriamente viene definito hacking e fra le tante incertezze, uno dei pochi punti fissi è che la “categoria” non è sindacalizzata, non ha – cioè – rappresentanti o rappresentanze che possano arrogarsi il diritto di parlare a nome di tutti. Il comunicato stampa risulta dunque quantomeno ambiguo già dal titolo (BTW, non mi risulta che Richard Stallman o Lee Felnstein o Steve Jobs o qualsiasi altro hacker vero abbia aderito a questa campagna)
La recente alleanza con il Telefono Arcobaleno di don Fortunato Di Noto per la lotta alla pedofilia in rete, ha posto gli hackers al centro di un interessante dibattito nel quale gli hackers stessi non intendono svolgere un ruolo di spettatori, ma al contrario desiderano partecipare in una logica di dialogo e di massimo rispetto verso le più diverse opinioni. Don Fortunato è un innovatore e forse un rivoluzionario perché ha deciso di allearsi con i pirati o forse ha saputo semplicemente sfruttare le potenzialità e la buona fede di persone scarsamente capite e spesso inutilmente combattute?
Facciamo a capirci: è vero che sull’hacking è in corso un dibattito scientifico e giudiziario molto acceso, nel quale ho assunto spesso posizione di forte contrasto con la formulazione della legge vigente, ma non mi sono mai sognato di considerare martiri, dei soggetti che commettono atti illeciti.
La verità e che la rete, al di la delle sue infinite doti, della sua straordinaria essenza libertaria, della sua natura democratica, oggi, cosi come è, offre notevoli vantaggi a criminali di vario genere tra cui si annoverano in prima linea i pedofili. Chi voglia negare tale ultima circostanza difficilmente potrebbe essere giudicato intellettualmente onesto.
Questa è una bufala bella e buona. Nonostante i metodi di indagine – a volte discutibili – adottati dalle Forze dell’ordine, non si può discutere il fatto che la trasparenza della Rete consente di raggiungere e identificare abbastanza facilmente i responsabili di certe azioni (poi si può discutere su come sono state fatte le indagini, sulla correttezza tecnica della formulazione degli articoli di legge, ma questo è un altro paio di maniche).
Quanto alla questione dell’onestà intellettuale, sarebbe interessante conoscere le fonti che vedono i pedofili ai vertici dell’Internet criminale, specie perché anche le pubblicazioni scientifiche più recenti (es. Serra-Strano Nuove frontiere della criminalità Milano 1997) non forniscono dati rilevanti sul punto. Di regola, quando si citano dati si dovrebbe fare altrettanto con la loro provenienza, altrimenti si fa strada il sospetto che i dati non sono attendibili o che non esistono.
Il dibattito circa una eventuale regolamentazione della rete delle reti pone difficili questioni di diritto, con delicati risvolti sociologici e filosofici che non riteniamo di dover affrontare.
Internet è già ciò che desideriamo e la legge italiana e già fin troppo efficace, sulla carta.
Resta un problema. La normativa e assolutamente inutile. Perché il cyberspazio non conosce confini ne delimitazione geografica e non ha giurisdizione. Allora, il dibattito dovrà necessariamente svolgersi su scala mondiale perché la rete e una questione globale.
Spirito di John Perry Barlow se ci sei batti un colpo. Evidentemente gli “hacker” autori di questo comunicato vivono in un mondo tutto loro. Oramai nessuno più crede alla favole del ciberspazio (che non si scrive con la “y”) e i casi giudiziari dei quali in molte occasioni ho parlato su queste pagine hanno chiaramente sgombrato il campo da queste fandonie. La legge prevede una serie di criteri per l’individuazione del locus commissi delicti e – a condizione di avere una buona preparazione tecnica – non è difficilissimo risolvere buona parte dei problemi teorici che si incontrano. Altro discorso è quello della effettiva perseguibilità dei sospettati nel caso di reati commessi parzialmente all’estero o di soggetti dimoranti all’esterno dei confini nazionali, ma i problemi causati dall’estradizione non sono affatto ignoti al diritto penale internazionale e non ci voleva certo la Rete per farli emergere.
A tale dibattito noi non vogliamo partecipare, almeno in questa circostanza.
Ma cosa fare se ci si imbatte in una bambina di soli 8 anni che viene brutalmente stuprata?
Se ciò accadesse per strada, anche il più pacifista degli uomini interverrebbe, e, forse, metterebbe a repentaglio la propria stessa vita per salvarla. Se accadesse sulla prima pagina del Corriere della Sera o del New York Time, probabilmente lo sdegno sarebbe generale. Se accade in Internet, ma solo in Internet, i nemici della bambina divengono due: il pedofilo stupratore e la libertà. Cioè la libertà del pedofilo di stuprare in rete. E la libertà della bimba?
A parte che non riesco ad immaginare come si possa stuprare qualcuno sulla prima pagina del Corriere della Sera, (si stende il giornale per terra e poi si fa attenzione a non uscire dal foglio di carta?), ancora più difficile è immaginare come lo si possa fare su Internet. Forse gli estensori di questo documento, oramai prigionieri del “virtuale”, hanno una scarsa dimestichezza con le questioni fisiche… Al di là della boutade, l’affermazione grave è quella secondo la quale la libertà sarebbe nemica della tutela dei minori, un ritornello che è stato già suonato molte volte, per esempio ai tempi del Communication Decency Act
Ecco perché ci siamo alleati con don Fortunato, perché crediamo che l’esercito dei difensori della libertà della rete e, indirettamente, dei pedofili fosse già fin troppo affollato.
Bell’argomento… siccome non c’era posto da un lato, ci siamo buttati sull’altro, complimenti! Bell’esercizio di democrazia e senso civico è invece affermare che la difesa della libertà sia atto diretto a garantire la commissione di reati. E’ abbastanza banale notare che se non ci fosse questa vituperata libertà di espressione, bestialità del genere (mi riferisco al comunicato stampa) sarebbero state censurate ab ovo. Ma a differenza dei miei contraddittori, pur criticandone ferocemente le posizioni, non mi sognerei mai di invocare la loro riduzione al silenzio!
E’ quella bambina che ci interessa (Freud avrebbe molto da dire in proposito…) e tentiamo di proteggerla non violando la legge ma sfruttando, questa volta a nostro vantaggio, le molte lacune giuridiche che tuttora permangono e che ci consentono buon margine di manovra.
Mi dispiace deludere questi signori, ma le “molte lacune giuridiche” alle quali fanno riferimento non esistono, anzi grazie a loro abbiamo finalmente uno dei primi casi di applicazione della legge sui reati informatici che prescinde dagli scopi classici degli intrusori (curiosità, sfida e via discorrendo). Siamo in presenza di atti al limite del terrorismo
E tuttavia ci siamo dati anche noi un nostro codice etico:
Che notoriamente non costituisce una scusa: è una questione di par condicio, se vanno condannati quelli che accedono ad una macchina per il puro gusto di farlo, identico trattamento dovrebbe essere riservato a questi tizi. In ogni caso, per il codice penale tutto questo può rilevare ai fini della configurazione di un’attenuante, non certo per escludere l’esistenza del reato.
quando facciamo chiudere un sito, noi non lo “distruggiamo”, perché sarebbe stupido distruggere le prove del reato, e far chiudere un sito, senza fare arrestare il proprietario; non serve proprio a nulla, in quanto se il pedofilo ha le sue pagine Web, e le sue immagini su hard disk, bastano 20 minuti per aprire un nuovo sito.
Interessante. Mica non fanno danni perché è illegale… si astengono dal provocarli solo perché non serve a nulla, dal che si deduce che se ritenessero necessario radere al suolo un server non si farebbero scrupoli.
Quando troviamo un sito per pedofili, noi semplicemente ci entriamo, raccogliamo quante più informazioni possibili sul possessore, e le rendiamo note ai responsabili della compagnia che ospita il sito incriminato, saranno poi loro a passare tutte le informazioni da loro e da noi raccolte alle forze dell’ordine competenti.
Il tutto in evidente violazione delle norme che puniscono l’accesso abusivo, la detenzione e lo scambio di codici di accesso necessari per l’intrusione, l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni; e delle norme sulla tutela della legge sui dati personali…
Si precisa, che chiudere i siti per pedofili, non è l’unico servizio offerto dall’APHC (Anti-Pedo Hackers Crusade) Infatti offriamo assistenza ai genitori, preoccupati della sicurezza dei loro figli in Rete; e aiutiamo le famiglie di bambini gravemente malati (attualmente ne stiamo aiutando due) pubblicizzando in modo massiccio le informazioni riguardanti i loro bambini, in modo che il numero più alto dei medici ne sia a conoscenza, e possa aiutare quelle famiglie.
Qui siamo al puro grottesco.
Ma se involontariamente abbiamo violato qualche regola possiamo solo dire che ci dispiace ma se questo può evitare che anche solo un bambino subisca delle violenze, siamo pronti a rifarlo non una ma cento volte.
Il fatto che costoro abbiano violato la legge mi sembra pacifico, come è altrettanto pacifico che sappiano perfettamente quali norme stavano violando (ancora una volta la storia delle lacune normative), quindi questa giustificazione non richiesta mi pare alquanto indicativa.
Don Milani violò la legge ma fu assolto anche perché seppe spiegarne la ragione.
Egli disse: “in quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo di amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole).Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.
Bello! Ho imparato qualcosa! Non sapevo che gli hacker, fra un Linux How-To e uno schema elettrico si dilettassero pure di certe letture, dopo Confucio, anche la Conferenza Episcopale entra nel computer!
Con questo non intendo mancare di rispetto alle convinzioni religiose di nessuno, ma in uno stato laico quale è il nostro, non si può ritirare fuori una costruzione teocratica volta ad affermare il primato della norma morale su quella giuridica. Sono d’accordo che se una legge è sbagliata si deva far di tutto per farla cambiare, ma quando si sceglie questa strada comunque si è disposti a pagare di persona (come insegnano le iniziative promosse da Marco Pannella sulla liberalizzazione delle droghe leggere). In ogni caso c’è modo e modo di ottenere l’abrogazione o la modifica di leggi vigenti o l’emanazione di nuove: a Roma esiste una cosa che si chiama Parlamento, never heard about?
Vi sono bambini stuprati da cani, venduti all’asta come carne da macello mentre il mondo si affanna a scandalizzarsi se un prete si allea con gli hackers per cercare un rimedio ed invece non affila le armi a difesa dell’infanzia.
Fatti che esistevano ben prima della diffusione della Rete ed è assolutamente improprio associarli ad un strumento tecnico che – come dimostrano le recenti indagini di polizia, addirittura facilita (e mi ripeto) l’identificazione dei soggetti agenti (a prescindere da cosa abbiano fatto in concreto)
I giovani rischiano di non capire.
E continueranno a non capire se i problemi sono posti in questi termini confusi e deliranti.
“C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole – dice ancora don Milani – avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù ma la più subdola delle tentazioni, che non credono di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. A questo patto l’umanità porta dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico”.
Se non ricordo male uno dei principi che regolano l’agire dei Gesuiti – un ordine che dell’obbedienza ha fatto un modello di comportamento – è perinde ac cadaver.
APHC (Anti-Pedo Hackers Crusade)
Il Presidente
Il Vicepresidente
In Rete si trovano informazioni su molti gruppi hacker wanna-be che pubblicano e-zine, come The Black Page o System Down e francamente non mi sono mai imbattuto in presidenti, vice-presidenti, tesorieri, segretari…
http://members.xoom.com/AP_C/index.html
Per i più curiosi questa è la home-page dei vigilantes
Conclusioni
Tiriamo le somme.
Questa vicenda è stata liquidata da molti come una sciocchezza priva di reale consistenza, ma non sono d’accordo con questa analisi: il documento citato nelle righe precedenti è un condensato di vuoto culturale, e di pericolosa istigazione a delinquere.
Siamo di fronte ad un gruppo di persone che esplicitamente dichiara di avere lanciato (o di avere intenzione di lanciare) azioni dirette alla commissione di una serie di reati, invocando a scusa il perseguire una “giusta causa”. Sostiene inoltre il gruppo che la difesa della libertà di espressione non può essere una scusa per consentire la commissione di atti illeciti.
Ciò significa in altri termini arrogarsi il diritto di stabilire unilateralmente ciò che è giusto e ciò che non lo è, in spregio a qualsiasi norma positiva. E’ fin troppo facile immaginare che – passato il principio – questo esercito privato possa decidere di rivolgere le proprie “giuste” attenzioni verso altre confessioni religiose o gruppi etnici indesiderati o verso chi esprime opinioni in contrasto con le loro… basterà semplicemente innalzare lo stendardo della “guerra santa”.
Liberi ovviamente di esprimere le loro opinioni, ma obbligati a subire le conseguenze delle loro azioni (a tal proposito, sarebbe interessante sapere come mai, se sono convinti di non fare nulla di male, questo gruppo non fa nomi diversi da quelli del sacerdote che lo avrebbe costituito).
In ogni caso credo che la parola dovrebbe essere lasciata alla magistratura, perché verifichi se effettivamente sono stati commessi i reati ipotizzati, perché – lo ripeto – a nessuno può essere consentito di farsi giustizia da sé; nemmeno a degli anacronistici crociati teocratici. Ho la sensazione tuttavia che non succederà nulla di tutto questo… spero, una volta tanto di sbagliarmi.
Il dato che invece mi pare interessante sotto il profilo criminologico è che forme di criminalità – come quelle a sfondo integralista – normalmente lontane dalla tecnologia cominciano ad interessarsi sempre di più ai nuovi mezzi.
Certo per i rivoluzionari di AHPC è molto più sicuro andare a caccia di presunti pervertiti piuttosto che provocare sommovimenti di piazza, magari rischiando di inciampare con la faccia su qualche sfollagente.
Che ci volete fare, è il segno dei tempi, non ci sono più i Pancho Villa di una volta…
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11 gennaio 1999 – Interlex n. 70
Ecco la replica dell’avvocato Monti alla e-mail anonima che abbiamo pubblicato sull’ultimo numero dell’anno scorso. Con questo chiudiamo la polemica, alla quale abbiamo forse dedicato più spazio di quanto meritasse.
Hacker contro pedofili – “Un po’ di spoofing è reato”
di Andrea Monti – 11.01.99
Prendo atto delle critiche espresse nei confronti dell’articolo da me firmato, ma francamente non ritengo di dover cambiare una virgola di quello che ho scritto.
Le informazioni alle quali ho fatto riferimento sono
1 – il comunicato diffuso a nome della APHC
2 – le notizie che la stampa nazionale ha riportato in proposito
Se il comunicato in questione non è stato emesso dai firmatari del documento, il problema non è certo del commentatore – che si riferisce a un fatto oggettivo – ma di chi non riesce a controllare partner, colleghi, collaboratori e quant’altro.
Nel merito comunque i fatti non cambiano: premesso che anche “fare solo un po’ di spoofing” è reato, a nessuno è concesso di farsi giustizia da solo né di istigare alla commissione di reati in nome di qualsiasi ideale.
Ad una lettera anonima non credo di dover rispondere più diffusamente.
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