Si lamenta un esponente del Movimento 5 Stella del fatto che Google gli avrebbe disattivato l’account adsense – necessario per ottenere soldi in cambio di click su banner – sulla base del “giro di vite” sulle fake-news. Il motivo addotto da Google sarebbe, secondo Messora, che il sito in questione si presenta come una testata giornalistica, pur non essendolo. Immancabile il grido (interessato) “all’assassinio” della libertà di espressione:
Questo provvedimento, che mina seriamente la capacità di produrre informazione libera fuori dal tempio del giornalismo “autorizzato” aggredendone il modello di sostentamento economico … mostra quali siano gli obiettivi reali della campagna scatenata contro le fake-news: spegnere qualunque voce indipendente che possa restituire al termine “democrazia” un significato autenticamente spendibile, nel tentativo disperato di invertire il corso della storia e mantenere saldamente il controllo nelle mani di chi, politicamente, ha una fottuta paura di perderlo
In realtà nessuno ha censurato nulla, signor Messora, perchè i suoi contenuti sono ancora indicizzati e sono perfettamente raggiungibili. Il tema, infatti, è un altro: se per “campare” facendo informazione lei ha bisogno della pubblicità veicolata da Google, allora apra una testata giornalistica online – non è difficile, fin dal 1995 – con tanto di partita IVA e redazione e giornalisti e vedrà che Google non avrà nessun problema a consentirle di riattivare il circuito pubblicitario.
Se, invece, vuole la libertà, allora rinunci alla pubblicità di Google e ai suoi (ma non solo suoi) servizi gratuiti, e che gratuiti in realtà non sono perché sono pagati in dati generati dal traffico di rete degli utenti. Scriva su un sito (magari in HTML 1) privo di cookie, banner e altre amenità, che potrà ospitare su un computer di modesta capacità raggiungibile anche tramite un collegamento a bassa velocità (tanto il testo puro non occupa spazio). E se pensa che questo sia impossibile, dia un’occhiata a Gandalf.it. che è fatto esattamente in questo modo e che, nonostante la morte del suo creatore, continua a essere una risorsa acceduta da tantissimi ed è ancora un punto di riferimento per chi sia interessato alla cultura umana dell’internet.
Dunque, tornando al punto, in questa vicenda non c’è nessun attentato alla libertà di espressione o di informazione ma solo una lezione di diritto e una di management.
La lezione di diritto riguarda il fatto che i contratti si leggono prima di firmare. Nei termini e condizioni di servizio, Google si è riservato determinati poteri di intervento sugli utenti, e ora non ci può lamentare se, semplicemente, vengono applicate.
La lezione di management riguarda la considerazione (banale ma rilevante) che affidare il proprio sostentamento a un’unica fonte è il modo migliore per diventarne “schiava”. Lo sanno bene quei manager che evitano accuratamente di far dipendere il fatturato della loro azienda da un unico fornitore. Applicando la regola “tutti sono utili ma nessuno è indispensabile”, fanno in modo che la pluralità di clienti consenta di ammortizzare le conseguenze del perderne qualcuno.
Dunque, signor Messora, se lei ha accettato un contratto senza leggerlo e ha scelto di dipendere, quanto alla sopravvivenza economica, da un solo “cliente”, dovè l’attentato ai diritti fondamentali?
Come dicono gli americani, there ain’t no such thing as a free lunch. O – per chi preferisce l’Italiano – quando ti invitano a cena, c’è sempre qualcuno che paga il conto. Bisogna pensarci, prima di decidere della propria libertà.
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