Molte delle analisi dedicate alla battaglia fra il fondo americano KKR e la francese Vivendi per il controllo di TIM si sono focalizzate sugli aspetti di politica industriale nel settore delle telecomunicazioni e solo marginalmente hanno toccato due temi cruciali della vicenda: cosa significa questa operazione per la sicurezza nazionale italiana e – di conseguenza – se e quanto il Governo Draghi dovrebbe esercitare il golden power e impedire l’operazione di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato da Interlex
La risposta più semplice a queste domande è – come già accaduto per Alitalia – invocare “l’italianità” di TIM e dunque chiedere che non si consenta il “passaggio dello straniero”. Questa sarebbe la risposta più semplice, ma la meno sensata perché, dato che Vivendi è francese, lo straniero è già “passato” da un po’. Il tema dunque non è l’italianità o meno di TIM, ma capire come potrebbe fare l’Italia per uscire dalla stretta di due Paesi stranieri, dei quali siamo sicuramente alleati anche se non è necessariamente vero il contrario. In questa vicenda, infatti, una sola cosa è certa: chiunque vincerà non sarà italiano. E chiunque vincerà porterà via l’ennesimo pezzo di infrastruttura critica per l’esistenza stessa della nazione.
Da un lato, la presenza in KKR dell’ex direttore della CIA Petraeus potrebbe legittimare i deliri più complottisti di chi sostiene che l’arrivo di KKR sarebbe funzionale ad estendere le capacità di intercettazione e controllo dell’intelligence USA in Europa. Anche solo limitandosi alla storia recente, dal caso Crytpo AG alle intercettazioni di leader europei durante l’amministrazione Obama, all’utilizzo a fini di spionaggio dei cavi sottomarini che atterrano in Danimarca, non sarebbe inverosimile pensare ad uno scenario del genere.
Dall’altro lato, la politica industriale espansionista francese, dopo avere comprato centinaia di aziende italiane non si sta limitando a cercare di mantenere il controllo su TIM, ma anche di acquisire OTO-Melara che, nel settore mondiale degli armamenti, è una delle aziende più importanti. Nello stesso tempo, però, non si è fatta scrupolo di bloccare le operazioni italiane sul suolo – anzi sui mari– transalpini, come nel caso Fincantieri-STX. L’utilizzo della prelazione di Stato da parte della Francia ha impedito a Fincantieri di procedere con la presa di possesso dei cantieri navali STX dopo che l’azienda italiana aveva partecipato e regolarmente vinto la competizione per assicurarsi un’infrastruttura di grande importanza.
E allora, tornando alla questione TIM, viene da chiedersi come mai il Governo sia così restio nell’esercitare il golden power non solo nei confronti di KKR ma anche di Vivendi; non certo in nome di una retorica nazionalistica, ma perché consegnare un’infrastruttura di telecomunicazioni come quella di TIM in mani straniere significa perdere il controllo su un elemento essenziale per la sicurezza nazionale. La stessa sicurezza nazionale in nome della quale, nel 2019, il Governo Conte fece approvare il decreto legge sullo “spazio cibernetico” per proteggersi dal danno grave e irreparabile costituito dalla possibile presenza nella rete core 5G di TIM del colosso cinese Huawei.
Mentre, tuttavia, il “pericolo giallo” non si è materializzato (anche perché le applicazioni concrete del 5G sono molto al di là da venire), è estremamente concreto il rischio rappresentato dalla prevalenza degli interessi di Stati stranieri su quelli italiani nel controllo di TIM.
E allora, se come dice la legge, il golden power deve essere esercitato in modo ragionevole ed equilibrato, ci si aspetterebbe nei confronti di USA e Francia lo stesso rigore adottato per la Cina. Questo, a meno di non voler ammettere che – come purtroppo sta capitando sempre più spesso anche in Occidente – il rule of law ha ceduto il posto al rule by law in modo che si possa fare whatever it takes in nome del do the right thing.
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