Copyright – Mytech – Mondadori 14 novembre 2000
Perché la Pubblica Amministrazione italiana deve essere targata Microsoft? perché nessuno pensa all’open source? A dirlo al Linux Meeting 2000 non è uno hacker, ma il Direttore Generale del Ministero delle Finanze
Mentre altri Paesi europei (Francia e Germania tanto per citarne alcuni) hanno già cominciato ad applicare seriamente il modello open source all’interno delle loro pubbliche amministrazioni, l’Italia è, come sempre, in fortissimo ritardo. Anzi sembra proprio che le nostre Istituzioni non vogliano prendere in considerazione questa possibilità. Ecco, in sintesi, il bilancio della tavola rotonda del Linux Meeting 2000, organizzata il 10 novembre scorso dal Linux User Group di Roma presso la facoltà d’Ingegneria dell’università la Sapienza. Al tavolo erano seduti rappresentanti di enti pubblici, università (il Prof. Raffaele Meo, storico “alfiere” dell’open source), aziende (Suse e Microsoft compresa) e l’associazione Alcei.
Nonostante molti dei partecipanti abbiano aperto gli interventi con affermazioni di principio del tipo “il problema non è Linux contro Microsoft”, in realtà uno dei temi principali ad avere caratterizzato la serata è stata proprio questa contrapposizione. Con il rappresentante della casa di Redmond che, per giustificare la “penetrazione” di certi prodotti, ha posto con una certa astuzia l’accento sulle “capacità commerciali” dell’azienda. Trascurando, come però gli è stato pubblicamente ricordato, la “disinvoltura” di comportamenti come il ricorso alla Business Software Alliance e a strategie dirette a fomentare l’incompatibiltà generalizzata (uno dei tanti casi, il tentativo di rendere incompatibile il protocollo Samba, è stato pubblicamente denunciato in questa sede dai rappresentanti di Suse).
In questo senso, è stata esemplare la replica di Giancarlo Fornari, Direttore Generale del Ministero delle Finanze, che ha pubblicamente denunciato lo stato di soggezione non solo tecnica che le nostre Istituzioni hanno nei confronti delle tecnologie basate su Windows. A partire dal sito del governo, che – dice Fornari – sembra un annuncio pubblicitario di Microsoft, fino ai contenuti dei bandi di gare pubbliche. Gli fa eco il Prof. Meo che ricorda come l’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione sia stata già da tempo informata delle possibilità offerte dai software liberi, senza praticamente avere mosso un dito.
Già l’Aipa: la vera nota dolente della serata – e secondo filone di dibattito – è stato proprio l’atteggiamento delle pubbliche amministrazioni, che si è rivelato di straordinaria miopia. Al di là di affermazioni di cauta genericità, l’intervento del funzionario dell’Aipa è stato ispirato a un vero e proprio “catenaccio”. Che chiaramente dimostrava la mancanza di conoscenza specifica delle tematiche open source sia sotto il profilo generale, sia dal punto di vista del caso specifico.
Venivano recitati come una litania gli storici luoghi comuni come quello secondo cui sulle piattaforme open source “manca l’assistenza”, o formulate classiche difese come: “nessuno impedisce di partecipare a gare d’appalto con prodotti open source”, “abbiamo iniziato la sperimentazione ma deve essere il mercato a scegliere”; ignorando, o facendo finta di non sapere, che – questo è stato l’intervento di Alcei – la posta in gioco è ben più alta. Vale a dire la possibilità per le nostre Istituzioni di liberarci una volta e per sempre dalla schiavitù elettronica. Dall’altro lato, il rappresentante del Ministero dell’Istruzione, sorvolando sulla (recente) storia passata fatta di convenzioni scolastiche “monocolore”, si è sostanzialmente limitato a evidenziare che ora le scuole possono “fare da sé” e che nulla vieta l’introduzione di programmi freeware nel sistema scolastico. Peccato che abbia dimenticato di evidenziare la mancanza di programmi per la formazione specifica degli insegnanti e per la diffusione, fra questi ultimi, di una cultura che non faccia vedere il mondo da una sola “finestra”.
La situazione, in sintesi, è abbastanza chiara e si riassume in un concetto espresso ancora una volta da Giancarlo Fornari: non c’è spazio per l’open source nelle istituzioni italiane. E a questo punto la domanda sorge spontanea: è veramente solo un problema di ignoranza dei nostri amministratori?
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