Questo articolo riassume e coordina gli interventi pubblicati su McReporter-Interlex sui vari aspetti del mercato degli e-book
ICTLEX – di Andrea Monti
Tutti parlano di e-book, ma nessuno (o quasi) li fa. E quelli che li fanno, applicano spesso una logica “cartacea” che mal si concilia con i problemi e le opportunità di un supporto di lettura – l’e-book reader, o semplicemente “reader” – diverso dalla carta.
Diciamo innanzi tutto che i reader non sono un sostituto del libro di carta ma degli strumenti che consentono di leggere anche in situazioni in cui portarsi dietro peso extra è scomodo o impossibile. Possono quindi, se usati con intelligenza, aumentare le possibilità di lettura invece di eliminarle. Dunque, se il libro di carta è tuttaltro che prossimo a scomparire, il libro elettronico è molto vicino a nascere morto. In un momento di grande confusione per autori, editori e distributori, infatti, si fanno strada falsi problemi ed errori strategici che affliggono sul nascere un mercato di grande interesse.
Sembra, per esempio, che l’utilizzo di software per l’aggregazione automatica di contenuti rischi di provocare l’invasione dei negozi online di e-junk-book, gli eBook spazzatura assemblati automaticamente in massa e “sparati” sulle piattaforme di vendita, rendendo così la vita difficile al povero disorientato lettore, perso in un deserto di titoli inutili.
E’ un falso problema.
Partiamo dai librai. Se la piattaforma di vendita fosse quella di un editore (o di un distributore con un serio controllo di qualità sulle opere che mette in circolazione) la difficoltà sarebbe risolta alla base: la spazzatura elettronica, come quella di carta, finirebbe direttamente nel cestino.
Il punto è che pure nel mondo degli eBook si sta supinamente accettando il principio di far fare un lavoro a chi non lo sa fare. Editore e libraio sono due lavori serissimi e difficili da fare, che non possono essere sostituiti da un carrello per l’ecommerce e un sistema di autopubblicazione di contenuti. Avere una piattaforma di vendita online per la vendita di depilatori, mobili da giardino e access point non implica necessariamente potere o saper vendere libri. Mentre nascere come venditore di libri consente di vendere meglio anche prodotti più “freddi”. La ragione è chiara: per vendere libri non basta avere il prodotto e fissare il prezzo.
C’è bisogno di cultura, competenza e sensibilità per orientare il lettore, suggerire alternative, ricevere suggerimenti e critiche. E non a caso Amazon,partita dai libri, ha applicato lo stesso modello al resto degli oggetti che mette in vendita tramite la sua piattaforma. In sintesi: gli eBook hanno molti problemi, ma non certo quello dello “spam” o meglio degli e-jumk-book. Almeno fino a quando ci saranno editori e librai (online) che continueranno a fare con impegno e passione il loro lavoro.
Se proprio di rischi vogliamo parlare, allora un rischio concreto è che, grazie alla stupidità di chi pensa che gli eBook possano essere venduti online come un qualsiasi altro oggetto, gli editori smettano di fare il loro lavoro di cercatori di talenti, trasformandosi in riciclatori di monnezza. E allora, un business collaterale potrebbe essere quello di mettere su un termovalorizzatore digitale. Non solo non inquina, ma servirebbe a mantenere pulita la biblioteca.
Facciamo un altro passo. Un esempio della confusione che regna nel settore viene dal Forum UNESCO sugli e-book che si è svolto a Monza dal 4 al 6 giugno 2011. Durante i lavori, quella dei bibliotecari è una delle categorie che ha manifestato maggiori preoccupazioni per la propria sopravvivenza, messa in pericolo, dicono, dai libri elettronici. Anche questa – come quella dei jumk-e-book, è una preoccupazione priva di senso perché il ruolo e l’importanza del bibliotecario assumono, grazie agli e-book, una centralità ancora maggiore. Di fronte all’immensa massa di e-book che sta per crescere (un noto editore giuridico starebbe pensando di “riconvertire” tutto il catalogo fuori commercio in digitale, con ciò inondando il mercato di libri sostanzialmente inutili ma che “fanno numero”) solo la mente ordinata e razionale del bibliotecario – insieme al recupero del ruolo originario dell’editore – può evitare una nuova babele. Ma se i bibliotecari, invece di rendersi conto dell’opportunità che hanno di fronte, si lasciano spaventare da un fenomeno tutt’altro che mostruoso, allora si che il libro elettronico avrà dei problemi. E’ curioso che invece di cercare di capire quanto di buono ci può venire dall’uso di una tecnologia, con allarmante precisione scattano meccanismo di rigetto, protezione della “parrocchietta” e rifiuto di sperimnentare. E che questo accada nel mondo della scrittura, che è quello che dagli inizi della civiltà ha consentito il progresso è veramente indicativo dei tempi che stiamo vivendo.
Risaliamo la filiera e passiamo agli editori. Molti stanno pensando di inondare il mercato con tutto il catalogo “fuori catalogo”. Una sorta di gigantesca garage-sale, la vendita svuota-soffitte di stampo anglosassone, che consentirebbe di ricavare qualche spicciolo da libri oramai antieconomici da ristampare. Il grosso pericolo per gli autori è quello di perdere definitivamente la possibilità di rientrare in possesso dei diritti sui propri libri. Di regola, infatti, i contratti di edizione prevedono che i diritti sull’opera rimangono all’editore fino a quando il libro è pubblicato. Quindi, se il libro viene messo fuori catalogo l’autore è libero di fare ciò che vuole del proprio lavoro. Ma se il libro continua a “vivere” in digitale, l’autore rimarrà legato mani e piedi all’editore.
Sempre a proposito degli editori, vale la pena di evidenziare una questione tecnica legata al “fare libri” per rendersi conto di quanto il format adottato per un e-book ne condizioni la vendibilità.
La scrittura, come sanno i redattori, è una funzione del supporto su cui il testo deve essere visualizzato. Così, un testo scritto “di getto”, senza pensare a impaginazione, formato del libro, manuale di redazione, una volta “passato” al setaccio del redattore può cambiare anche profondamente forma e sostanza.
Un buon libro si caratterizza, ovviamente, per la qualità di stile e contenuti. Ma anche il modo in cui questi sono resi fruibili è fondamentale per il successo dell’opera. Spesso non ci si fa caso, ma ci sono dei libri che durante la lettura provocano una inspiegabile irritazione. Pensandoci un attimo si scopre, per esempio, che il carattere del testo è un bastone, le parole a fine riga vanno a capo, l’uso dello “a capo” è incoerente rispetto al contenuto dei paragrafi, colore e qualità della carta affaticano la lettura.
Le necessità del lettore non sono diverse nel caso degli e-book. Se, da un lato, è molto difficile se non impossibile applicare criteri omogenei di impaginazione, è anche vero che scrivere “in e-book” consente di “pensare” ai libri in modo diverso.
Si può scrivere un numero contenuto di pagine, perchè non c’è bisogno di raggiungere la massa critica al di sotto della quale il tipografo non stampa.
Si può scrivere un libro che si concentra sullo sviluppo di un ragionamento, senza spezzare la lettura con citazioni, note e quant’altro, che in un libro di carta sono indispensabili, ma inutili in e-book memorizzato su un reader collegato in rete e che consente quindi l’accesso alle note online.
Si può scrivere con maggiore libertà, non dovendo preoccuparsi di vedove, orfani e codini.
In sintesi, è possibile sfruttare le debolezze dei reader per sperimentare nuovi modi di scrittura, un po’ come accadde ai tempi dei primi siti web in html statico (non troppo diversi da un e-book, peraltro) quando il mezzo tecnologico impose di ripensare il modo di scrivere su quel particolare supporto (ma ancora oggi, non sembra che la lezione sia stata ben compresa).
L’unica cosa che rimane fissa ed immutabile rispetto al variare dei supporti di lettura e dei criteri di impaginazione è saper dire – scrivere – bene le cose che si hanno in mente. E allora, come scriveva il più grande esperto di e-book, rem tene, verba sequentur. A proposito, qualcuno sa quale computer usava Cicerone?
Un quarto settore in cui la confuzione regna sovrana è quello della distribuzione libraria. Applicando “paro paro” la logica della distribuzione cartacea, i distributori online chiedono – compreso lo sconto da praticare alle librerie online – una riduzione del prezzo di copertina che può avvicinarsi al 50%. Ma, come scrivo sul numero 244 di PC Professionale:
Ma cosa fanno i distributori digitali per “meritare” una commissione? Sostanzialmente una sola cosa: applicano DRM – sistemi anticopia – a ogni file che viene richiesto dalle librerie. Solo – in termini sostanziali – questo. E basta. L’attività di promozione verso le librerie, infatti, è praticamente inutile perchè mentre con un libro cartaceo è necessario che qualcuno, fisicamente, contatti i librai per convincerli a prendere un certo titolo piuttosto che un’altro, nel caso degli ebook Google è il “grande equalizzatore”: un editore che venda direttamente i propri libri (anche) elettronici è scovato da robot e spider allo stesso modo del distributore digitale. Dunque, chi ha bisogno di un intermediario del genere?
In (temporanea) conclusione, sembra proprio che se gli e-book non riusciranno ad attecchire in Italia non sarà per l’assenza del mercato e la mancanza di compatibilità fra formati di file e di e-reader, quanto piuttosto per la miopia degli operatori del settore. Il che, considerato che questa è la patria di Aldo Manuzio, mette veramente i brividi.
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Pubblicato anche su Tabulas
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