Interlex n. 171
di Andrea Monti
Dopo – a tacer d’altro – la legge “antipedofilia”, le proposte forcaiole di “bombardare” siti esteri, la ignobile riforma del diritto d’autore, la proposta di candidare un alto esponente della Microsoft a ministro della Repubblica italiana e tutto l’arsenale di proposte e DDL liberticidi che pregiudicano anche la libertà d’impresa, è l’editoria il nuovo terreno di scontro. L’articolo Qui succede un… quarantotto dimostra bene come il legislatore perda sistematicamente la rotta quando deve confrontarsi con questioni che impattano sui diritti di libertà.
Una banale questione definitoria (omnis definitio periculosa… dicevano i giuristi latini)- quella di “prodotto editoriale” – rischia seriamente di mettere fuori legge praticamente la totalità dei web italiani. Per inciso, mettere le pagine o il server all’estero non eliminerebbe il reato: la diffusione avrebbe inizio (con l’upload) o termine (con il download) all’interno dei confini nazionali. Ciò basterebbe a radicare da queste parti la giurisdizione.
Altro discorso è quello dell’individuazione della competenza territoriale, che in assenza di altri riscontri sarebbe affidata ai canoni ordinari del codice di procedura penale.
Accenno solamente al fatto che, pure ai fini della configurabilità del reato di stampa clandestina, il problema fondamentale è capire se la pubblicazione di pagine web possa essere considerata “stampa” in senso tecnico e giuridico. Una risposta analitica ci porterebbe lontano, ma per il momento basta rilevare che anche nei documenti informatici il supporto non viene mai meno. In altri termini, la differenza con i documenti cartacei sta in ciò: nei secondi esiste una rigida corrispondenza biunivoca fra supporto e contenuto rappresentativo dell’atto. Cioè non si può pensare un “originale” disgiunto dal “pezzo di carta” che lo contiene. Nei primi – documenti informatici – il contenuto rappresentativo è (quasi sempre) indipendente dal “contenitore” e può essere validamente trasferito da supporto a supporto.
Se poi si aggiunge che nell’ambito del licensing sui prodotti multimediali la SIAE esige il pagamento dei diritti di “caricamento” del master sul server destinato al download (situazione equivalente alla pubblicazione) questo farebbe spostare l’ago della bilancia a favore del considerare anche la pubblicazione delle pagine web come attività di stampa.
Questi dubbi interpretativi fanno sorgere un interrogativo. La decisione di sottoporre ad una complessa serie di adempimenti burocratici e di responsabilità qualsiasi contenuto informativo anche online è un errore frettoloso o scelta deliberata?
Volendo concedere il beneficio del dubbio ad un legislatore sempre più spaventato da una vox populi che ha trovato finalmente un megafono – la rete – per “farsi sentire”, si potrebbe sostenere che le parole “prodotto editoriale” rinviino implicitamente ad un’attività commerciale o imprenditoriale. Per cui tutto ciò che non sarebbe destinato alla vendita o comunque a forme di utilizzo (anche potenzialmente) produttive di utili nei termini e nei modi indicati dal codice civile non sarebbe compreso nell’ambito di validità della legge.
Per dirla in breve, se l’attività editoriale è esercitata in forma imprenditoriale soggiace agli obblighi normativi, altrimenti no.
Un sostegno – debolissimo – a questa tesi lo offre la disciplina del diritto d’autore, che stabilisce il genus dell’opera dell’ingegno, tutelata a prescindere dall’uso commerciale che ne viene fatto. Nonché la disciplina sulla responsabilità da prodotto e sulla tutela del consumatore che a loro volta associano al nozione di “prodotto” all’attività di impresa.
Questa interpretazione è chiaramente forzata ed è comprensibile che prenderla per buona susciti più di una perplessità. Ma, allo stato, è l’unica che consentirebbe al legislatore una (peraltro scomoda) via d’uscita. Evitandogli, per l’ennesima volta, l’accostamento con regimi di altri tempi e/o di altre latitudini.
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