di Andrea Monti – PC Professionale n. 253
Ibook authors di Apple e KF8 di Amazon rendono sempre più urgente il sostegno agli standard aperti1
Il più grande attore sulla scena degli e-book (Amazon) e il comprimario che vuole ad ogni costo rubargli la scena (Apple) hanno da poco annunciato i loro formati personalizzati per creare libri da leggere sui loro apparati. Dal punto di vista strettamente tecnico KF8 (il formato di Amazon) e Ibooks (il formato di Apple) non sono molto differenti. Entrambi supportano HTML5 e dunque consentono, anzi, consentirebbero, anzi ancora, dovrebbero teoricamente consentire di compilare con facilità un e-book sia per essere letto su Ipad (che non è un e-book reader), sia su Kindle. In realtà non è così e le differenze fra i due ecosistemi per la lettura liquida diventano evidenti quando si analizza il modo in cui ciascuna azienda ha usato il copyright per garantirsi l’acquisizione di quote di mercato le più estese possibili.
KF8 (e mobi, il suo predecessore) sono fruibili sia tramite un Kindle hardware, sia tramite un Kindle software multipiattaforma; inoltre, Amazon lascia liberi gli autori/editori di vendere gli e-book in proprio o tramite la propria piattaforma di e-commerce (e in questo caso, lasciando ancora libero l’autore di applicare o meno i DRM).
Al contrario, chi vuole vendere libri liquidi in formato ibooks può farlo solo tramite la piattaforma di Apple. La licenza per l’utilizzo dell’editor (ibooks author) è molto chiara: se la vostra opera è fornita dietro corrispettivo (incluso come parte di qualsiasi servizio o prodotto basato su abbonamento) e include file in formato .ibooks generati usando ibooks Author, l’opera può essere solo distribuita attraverso Apple, e questa distribuzione sarà regolata da un accordo scritto con Apple… Dunque, l’esercizio del diritto d’autore sul formato di un file consente ad Apple di controllare la circolazione delle idee, dell’arte e della cultura.
Sembra di essere tornati ai tempi delle guerre sui formati combattute contro la Microsoft dalla comunità opensource, quando i bersagli delle polemiche erano wordprocessor e database. Ed è indicativo che a distanza di oltre un decennio il tema della libera disponibilità e compatibilità dei formati sia ancora così centrale, tanto da dimostrare che le preoccupazioni dell’epoca erano tutt’altro che pellegrine.
Produrre documenti (allora) e (ora) scrivere libri in un formato libero o quantomeno aperto è una garanzia che il sapere continui a svilupparsi e ad essere conservato. Scrivere libri in un formato proprietario che per di più dipende dall’utilizzo non più di un solo software, ma di una specifica piattaforma hardware significa consegnare il sapere umano a un’azienda che continua a perseguire la strategia di dominio del pensiero in quanto tale teorizzata e applicata dal suo defunto fondatore.
La differenza con i tempi della Microsoft (il cui interesse era – ed è puramente commerciale) è che mentre all’epoca il controllo sul formato tramite il diritto d’autore era funzionale a vendere dei software, nel caso di Apple il copyright è uno strumento per costringere a vendere prodotti su un mercato – o meglio – su una piattaforma inesistente e tutta da inventare. Apple, a differenza di Amazon, non ha un “mercato” della vendita di libri, e per costruirselo ha messo in piedi una strategia apparentemente paradossale ma che in realtà capitalizza gli investimenti sull’identità dei propri prodotti.
Il progetto “pale ai cercatori di pirite” è semplice: costruire attrezzi da scavo diversi dagli altri, venderli ai cercatori d’oro e poi fare in modo che siano loro stessi, spontaneamente, a setacciare gli spazi all’interno dei vuoti latifondi Apple la quale prospera su scavi eseguiti in luoghi dove non c’era nessuna ragione di andare. Dunque, se il progetto di Apple dovesse avere successo, ci troveremmo di fronte a un’azienda arricchita da editori e scrittori, i quali pagano cifre enormi (in termini di acquisto di hardware e costi organizzativi) per entrare in una libreria vuota, per la quale pagheranno un costoso affitto e che riempiranno con i propri sforzi senza poter poi riprendere i propri libri e venderli altrove. La deliberata incompatibilità che affligge i vari formati, infatti, rende necessario impaginare da capo lo stesso libro tante volte quanti sono gli standard di e-book per i quali si vuole rendere disponibile un testo. Provate – partendo da un ODF – a generare un epub e un mobi. A meno di non essere disposti ad accettare risultati di impaginazione che renderebbero spazzatura un libro di carta, ottenere un risultato tipograficamente accettabile richiede un intervento veramente consistente. Questo significa che da un punto di vista economico la scelta del formato da supportare dipenderà dalla dimensione del mercato teoricamente disponibile. Se così fosse, la soluzione del problema dovrebbe essere già nota: epub prima di tutti, e poi – eventualmente – mobi o KF8. Eppure, come dimostra la storia degli standard, nella battaglia fra Betamax e VHS non ha vinto il migliore da un punto di vista tecnico. E qui si chiude il cerchio: le chance di ibooks non dipendono dalla sua capacità di diventare uno standard di fatto, ma dall’attrazione che un tablet come ipad esercita sul pubblico. E dunque sulla percezione indotta negli editori che pubblicare libri per questa piattaforma garantisca utili maggiori rispetto a quelli realizzabili usando il formato di Amazon o – addirittura – un formato libero. Il tutto, paradossalmente, grazie a una protezione legale che è molto più efficace di quella tecnica. Mentre i DRM sono stati sistematicamente decrittati o aggirati, la violazione della legge non ammette workaround, specie se la parte lesa ha abbastanza risorse economiche per permettersi cause e denunce penali.
Consentire ad ibooks di prevalere significa assumersi una responsabilità pesante, che va molto al di la della vendita di libri o periferiche. E tanto perchè questa non rimanga un’affermazione campata per aria, basta pensare che l’uso di ibook authors crea lo stesso problema del sequenziamento del nostro codice genetico. Serve a poco dire che non si può brevettare, se per poterlo analizzare ci vuole per forza un software proprietario in grado di leggere quel formato.
- Testo originale inviato alla redazione ↩
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