Duplicazione abusiva se mancano scatole e manuali?
di Andrea Monti – Interlex N. 337 del 22.04.05
La sentenza n. 145/05 del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bolzano ha stabilito il proscioglimento predibattimentale di un architetto accusato di duplicazione abusiva di software sulla base della mera detenzione di supporti privi dei “parafernalia” che normalmente li accompagnano (scatole, manuali, copie cartacee della licenza ecc.).
Questa sentenza ha assestato un durissimo colpo al disinvolto stile investigativo dei cosiddetti “cibercop” che, con l’avallo di magistrati spesso poco informati in materia di tecnologie dell’informazione (o artatamente disinformati dalle lobby di settore), conducono spesso indagini lacunose e dirette a dimostrare un teorema precostituito, piuttosto che a rilevare – oggettivamente – la presenza di elementi di reità a carico dell’indagato.
Si legge infatti nella sentenza che il procedimento penale è scaturito da “un controllo di routine presso la ditta di cui l’imputato è titolare” a seguito del quale “essa ha trovato numerosi programmi (software) in cui mancava il numero di registrazione, o che non erano sul supporto originale, o che erano privi di manuali, o che, pur essendo muniti della prova di acquisto dal produttore, erano installati su più computer di quanti previsti dal contratto”, contestando al professionista la violazione dell’art. 171-bis c. 1 della legge sul diritto d’autore e ritenendo che gli accertamenti svolti “costituissero prova sufficiente di una acquisizione di un uso illecito del software”. Ma, nel pronunciare la sua decisione, il GIP ha ritenuto assolutamente insufficienti i risultati dell’indagine ritenendo, addirittura, che non ci fossero gli estremi per iniziare il processo (questo è il significato dell’art.129 c.p.p.).
Sono diversi – e tutti interessanti – gli aspetti di questa decisione che meritano di essere commentati, a partire dall’acquisizione della notizia di reato da parte della Guardia di finanza tramite non meglio specificati “controlli di routine”.
Dalla sentenza non si capisce esattamente in cosa consistessero effettivamente questi controlli, né risulta che il codice di procedura penale consenta “indagini a campione” senza la preventiva iscrizione nel registro degli indagati di chicchessia. Si deve pertanto concludere che potrebbe trattarsi delle solite “indagini polimorfiche” (di cui già parlava Daniele Coliva nei suoi interventi nel Forum di dieci anni fa: ), spacciate per controlli fiscali ma improvvisamente e illegittimamente tramutate in atti di polizia giudiziaria.
Venendo al merito della questione, la sentenza del GIP di Bolzano riporta all’interno dei binari della ragionevolezza il “convoglio” delle indagini: per dimostrare la sussistenza di una duplicazione abusiva non basta avere trovato qualche supporto privo di confezione o di licenza cartacea perché non esiste alcuna norma che qualifica l’assenza di questi ammennicoli come elemento necessario e sufficiente per provare la commissione dell’illecito. ll software può essere stato legittimamente acquistato – per esempio di seconda mano, o scaricato dalla rete – e non essere accompagnato da accessori di qualche tipo. Il che non qualifica automaticamente questa situazione come illegale rendendo quindi necessario lo svolgimento di ulteriori indagini per verificare se il dante causa avesse commesso egli per primo un reato. Solo a condizione di fornire questa prova sarebbe dunque possibile traslare la responsabilità sull’acquirente.
Vale infine la pena di notare che analizzando, nel contesto segnalato, le varie modalità di acquisto del diritto di utilizzo di un software, il giudice rileva che le modalità di approvazione delle condizioni generali di licenza (licenza a strappo, clic su una finestra durante l’installazione ecc.) non hanno alcun effetto giuridico verso l’utente in quanto portate alla sua cognizione successivamente alla conclusione del contratto. Dunque, si legge nel provvedimento, “tutti i tentativi di vincolare l’acquirente con comunicazioni successive all’acquisto sono semplicemente ridicole… sono inesistenti per l’utente del programma” (un’affermazione condivisibile che meriterebbe, peraltro, un autonomo approfondimento). Un orientamento che, se confermato, potrebbe finalmente porre fine a comportamenti imposti dalle aziende produttrici di software contro ogni rispetto dei diritti degli utenti.
E’ evidente, concludendo, che nel compiere le sue valutazioni il giudicante si è “preso la briga” di approfondire temi sicuramente complessi ma che, non per questo, devono essere evitati, specie quando si parla di responsabilità penale. Purtroppo il tribunale di Bolzano – che già si era distinto per la notevole ordinanza sulla liceità delle modifiche alla Playstation – sembra una delle pochissime isole felici dove non si ha paura di affrontare temi per i quali “non c’è giurisprudenza”. Non si può certo dire lo stesso, invece, quando si leggono provvedimenti come quello recentemente emanato dal tribunale del riesame di Venezia (ordinanza 62/05) di cui riferisce l’articolo di Manlio Cammarata Sequestri: se la polizia viola il domicilio informatico.
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