WMTools n.ro 5
di Andrea Monti
Non giurerei sulla fedeltà della citazione, ripescata com’è nell’abisso delle memorie universitarie ma il senso del monito rivolto ai glossatori medievali è comunque esplicito:
quando le cose sono chiare non sforzarti di complicarle inutilmente. Una simile presa di posizione assunta da gente il cui lavoro consisteva nel commentare a futura memoria scritti giuridici allora già vecchi di secoli è veramente singolare, peccato che la polvere della storia – ciecamente irrazionale – abbia sotterrato abbondantemente questa nitida affermazione di principio a vantaggio di una schiera di cottimisti del diritto la cui precipua funzione e preoccupazione sembra essere quella di evitare che la Gazzetta Ufficiale non venga stampata per mancanza di atti da pubblicare.
Scherzi a parte, uno dei luoghi più comuni quando si associa la legge alla Rete è proprio una presunta e sistematica carenza degli ordinamenti giuridici di fronte al “nuovo”(?) mezzo di comunicazione, carenza che può essere colmata – si dice – soltanto da nuove leggi.
Non è vero.
Fino ad ora i pochi casi giudiziari (che, al di là delle speculazioni teoriche, devono necessariamente produrre effetti concreti) in qualche modo collegati all’impiego di servizi Internet hanno avuto soluzioni in gran parte condivisibili.
Così, ad esempio, le tre o quattro controversie sui nomi di dominio sono state risolte nel senso di qualificare il domain grabbing come atto di concorrenza sleale, mentre in questi giorni davanti al Tribunale di Teramo si discute una causa relativa ad una presunta diffamazione commessa con un sito posto in America da un Italiano nei confronti di una grossa banca.
E’ proprio di questo caso che vorrei scrivere in quanto – a prescindere dal merito che riguarda solo il giudice e le parti – rappresenta il paradigma (nel pensiero di molti) delle difficoltà di cui sopra.
Il caso
Un imprenditore denuncia alle autorità competenti di essere stato vittima di una truffa commessa – a suo dire – da alcuni funzionari della banca con la quale era in rapporti di lavoro.
La notizia, come è facile immaginare, riceve ampia eco sui mezzi di informazione e la vittima, messa su una rassegna stampa degli articoli di giornale più significativi, la inserisce su un web residente negli Stati Uniti.
La banca, ritenutasi ingiustamente lesa da questo comportamento, sporge denuncia penale a propria volta contro l’imprenditore e nello stesso tempo gli fa causa per danni.
Le questioni aperte
Se l’azione compiuta da quell’imprenditore sia o meno una diffamazione, ripeto, ai nostri fini è assolutamente irrilevante, mentre ciò che conta è capire come vada inquadrata una questione che apparentemente sembra estremamente complessa. Il server è in America, le parti sono italiane e il provider no (americano pure lui)… quale legge si applica? Il fornitore di spazi è automaticamente (cor)responsabile?
Analisi
Di primo acchito lo stato di fatto sembrerebbe dare ragione ai sostenitori della necessità di norme specifiche, ma pensandoci un po’ ci si accorge che forse – almeno in questo caso – non ce n’è bisogno dal momento che già l’emittenza radiotelevisiva (e prima ancora i giornali teletrasmessi alle tipografie periferiche) avevano causato problemi analoghi a quelli del protagonista della nostra vicenda.
In questi casi bisogna distinguere due aspetti. Il primo riguarda l’individuazione del giudice competente: poiché il reato di diffamazione si commette comunicando con almeno due persone, il “luogo del delitto” è appunto quello dove materialmente questa comunicazione diventa percepibile.
Il secondo aspetto riguarda la richiesta del risarcimento per i danni subiti. Vediamo cosa accade in una situazione analoga (ma non sovrapponibile) alla nostra: nel caso di una diretta televisiva l’evento si verifica simultaneamente in tutti gli Stati collegati in quel momento; in questo caso – secondo la Corte di Giustizia – il diffamato potrà rivolgersi ad uno qualsiasi dei paesi coinvolti, ma limitandosi a chiedere il risarcimento dei danni effettivamente patiti e dimostrati nello Stato ove si è deciso di iniziare la causa.
Possibili soluzioni
Vediamo ora di applicare questi principi al caso concreto.
Per quanto riguarda l’individuazione del giudice competente – tecnicamente si parla di giurisdizione – si può sostenere (applicando pedissequamente i criteri ordinari) che sia quello dello Stato nel quale opera il provider. Il semplice invio di file (o il loro deposito sul server) è un atto neutro nel senso che di certo non può essere considerato una “comunicazione” mentre lo è sicuramente – ad esempio – chiedere al webmaster di effettuare alcuni controlli sulle pagine.
Un webserver poi non è certo assimilabile ad una stazione televisiva, e le pagine potrebbero restare non consultate (e quindi note solo – per rimanere in tema – al cliente e al provider) per anni; di certo manca l’effetto provocato dalla trasmissione in tempo reale.
Rispetto alla questione della risarcibilità dei danni è ragionevole applicare anche in questo caso l’opinione espressa dalla giurisprudenza comunitaria: si promuovono tante cause quanti sono i paesi nei quali si ritiene di avere subito un danno dimostrabile.
Per quanto riguarda l’eventuale corresponsabilità del provider questa è l’alternativa: il fornitore di spazi (posto che il fatto sia illecito nel suo Stato) non è a conoscenza del contenuto delle pagine incriminate – perché contrattualmente non se ne è assunto l’onere – e allora non può essere ritenuto responsabile, oppure sa che cosa sta accadendo e allora si assume il rischio delle proprie azioni.
Considerazioni
Con questo ragionamento non voglio sostenere l’automatica applicabilità della normativa sulla stampa alla conduzione di un webserver o equiparare un sito ad un programma televisivo ma solo dimostrare che – applicando principi noti – in molti casi è possibile raggiungere una soluzione.
Del resto anche ai tempi dei Romani, quando la Rete era ancora poco sviluppata (non che oggi lo sia così tanto, comunque), esistevano contratti fra appartenenti a nazioni diverse (devoluti alla competenza di un apposito giudice, il praetor peregrinus). Il diritto della navigazione, quello delle assicurazioni o quello commerciale riservano sorprese inaspettate a chi si prendesse la briga di studiarli da una prospettiva alternativa.
Ma allora perché si invocano nuove leggi?
Sbaglierò, ma ho l’impressione che tutto (o la sua gran parte) ruoti attorno al problema del controllo dell’informazione; ma se così fosse allora non sarebbe più una questione di diritto ma di politica: mentre stampa televisione sono nelle mani di pochi, Internet è liberamente disponibile per chiunque abbia qualcosa da dire il che forse spiega chiaramente la ragione per la quale si invocano regole specifiche… intelligenti pauca.
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