di Andrea Monti – PC Professionale n. 182
I recenti cambiamenti aumentano i limiti per gli utenti e creano problemi alle imprese.
Dal primo gennaio 2007 la Germania renderà operativa una legge che prevede mandati di cattura internazionali e sanziona con pesanti pene detentive il download di opere audiovisive sul presupposto di una equiparazione con il reato di furto.
La Francia sta per approvare la legge “Droits d’Auteur et Droits Voisins dans la Société de l’Information” dal contenuto sostanzialmente analogo all’equivalente tedesco e con l’aggiunta dell’obbligo, per le aziende del settore, di rendere interoperabili i sistemi di Drm (Digital Right management). Mentre con la sentenza n. 549, emanata lo scorso 28 febbraio 2006, la prima sezione civile della Corte di cassazione francese ha stabilito che il diritto alla copia privata non può limitare l’uso dei Drm da parte dei produttori.
Dopo continui sforzi di lobbying, a quanto pare, le major dell’audiovisivo, i “padroni delle idee” sono riusciti a far passare concetti che per anni hanno invaso pubblicità e convegni: “copiare equivale a rubare”, “chi copia è un criminale”, “copiare uccide la creatività e fa licenziare le persone”. Intendiamoci, è fuori discussione che la proprietà intellettuale vada tutelata e che ciascun titolare dei diritti ha – passatemi il gioco di parole – il diritto di decidere se e come guadagnare dalla propria opera creativa. Ma da qui a far diventare il diritto d’autore uno strumento di prevaricazione e abuso a danno di soggetti più deboli ce ne corre.
Tanto per fare un esempio, la legge tedesca prossima ventura non distingue in modo netto i grandi criminali che mettono in circolazione film prima della loro uscita in sala, dal singolo o dal ragazzino, lasciando al pubblico ministero il compito di valutare caso per caso e rendendo – come anche in Italia grazie alla infame legge Urbani – ben possibile “prendersela” con soggetti innocui che però fanno numero. Nello stesso tempo però i politici tedeschi cercano di spegnere le polemiche con affermazioni (che peraltro in una aula di giustizia non hanno valore) del tipo “lo scopo non è ammanettare studenti che scaricano musica” (dichiarazione di Brigitte Zypries, ministro della Giustizia, riportata dal quotidiano inglese Times il 24 marzo 2006). Anche dal versante francese le notizie non sono confortanti.
L’offensiva dei “padroni delle idee” volta a eliminare – di fatto – qualsiasi libertà dell’utente che ha regolarmente acquistato il diritto di fruire di un’opera dell’ingegno (leggi: che ha acquistato, a caro prezzo, un Cd o un Dvd) ha prodotto innanzitutto un principio di diritto: la Cassazione francese ha stabilito, con la sentenza di cui ho accennato in apertura, che quello alla copia di riserva non è un diritto ma un’eccezione concessa all’utente dal titolare dei diritti e che questa eccezione non può limitare l’uso dei Drm.
Morale: quando i Drm saranno onnipresenti, di fatto la copia privata non sarà più possibile. Si tratta di una sentenza sbagliata per via di ragioni abbastanza articolate da un punto di vista giuridico che non analizzo in questo articolo (mi limito a rilevare che se la legge prevede la copia di riserva, allora questo è un diritto vero e proprio e non certo un’eccezione). Anche la legge francese, poi, si incammina nel solco aperto dalla famigerata legge Urbani e già seguito dai tedeschi stabilendo pene per chi scarica e diffonde musica, oltre che l’interoperabilità fra i sistemi anticopia.
Sul primo punto non ripeto quello che ho già detto a proposito della scelta normativa tedesca, mentre invece vale la pena di osservare la clamorosa contraddizione rappresentata dalla questione dell’obbligo di interoperabilità dei sistemi anticopia. Mi sembra ingiusto, dal punto di vista di un’azienda come Apple o Sony, essere costretti a rendere i propri Drm interoperabili con quelli della concorrenza, perdendo così le nicchie di mercato che si sono costruite.
Come è noto, infatti, il successo commerciale di iniziative come iTunes è basato anche sul fatto che la musica suona solo sull’Ipod e non su altri player MP3. Intendiamoci, da utente la cosa non può che farmi piacere (meglio ancora se i Drm non esistessero) ma mi sfugge la logica secondo cui i titolari dei diritti (le major dell’audiovisivo) possono fare quello che vogliono per proteggere i propri interessi, mentre chi non fa parte del “club” non può fare profitti sui loro prodotti in piena autonomia. In che rapporto si pongono le posizioni francesi e tedesche con le scelte normative italiane?
Essendo una la lobby che detta le leggi ai parlamenti è evidente che si tratta di norme abbastanza simili che però non possono essere totalmente equiparate. Rimane infatti sullo sfondo – almeno in Italia – la questione irrisolta dell’equo compenso (noto impropriamente come “tassa sui supporti”). La copia privata è un diritto per il quale tutti quelli che acquistano un supporto (anche se non lo usano per registrare musica o video delle major) pagano anticipatamente i diritti su base forfetaria: imporre Drm e vietare la copia privata pretendendo, nello stesso tempo, di fare cassa con l’equo compenso è veramente il segno di una voracità senza limiti che passa sopra a qualsiasi principio di civiltà del diritto.
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