di Andrea Monti – PC Professionale n. 147
Duplicare software, per uso personale, diviene un reato sanzionabile penalmente. Nel mirino del decreto i software di masterizzazione che eludono le protezioni anticopia
Il decreto legislativo 68/2003 (www.ictlaw.net/internal.php?sez=normL&IdT=6&IdTN=1&IdN=75&lang=1) che recepisce la discussa direttiva 29/01 sul diritto d’autore è stato criticato essenzialmente nella parte in cui estende il cosiddetto “equo compenso” (cioè il “risarcimento preventivo” da pagarsi agli autori come “contropartita” della copia privata) anche ai supporti non dedicati alla memorizzazione di dati audiovisivi. Il che produce un aumento generalizzato dei prezzi che – nonostante da più parti si stia dichiarando il contrario – potrebbe estendersi anche agli hard disk e dunque, in definitiva, anche ai Pc.
La norma in questione, infatti, pur essendo evidentemente pensata sui “tagli” di memoria Cd e Dvd (che in futuro possono tranquillamente cambiare) non esclude specificamente dal proprio campo di azione i dischi rigidi. Il risultato paradossale è che l’intero comparto IT – grandemente estraneo alle polemiche di bottega del copyright – si troverà a subire aumenti ingiustificati di costi (e dunque diminuzione di profitti) per retribuire persone che con l’informatica non hanno nulla a che fare. Ma le insidie del decreto non finiscono qui. Intanto, viene rimesso in discussione quello che sembrava un principio oramai consolidato nella giurisprudenza e cioè la rilevanza meramente civilistica della copia privata di software. Cioè il fatto che chi duplica software per uso personale compie un illecito civile che dà origine al risarcimento del danno e non alla violazione di una norma penale.
L’articolo 71-sexies stabilisce infatti che “è consentita la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali, nel rispetto delle misure tecnologiche di cui all’articolo 102- quater”.
Come è evidente, di software in questo articolo non si parla. E dunque, vista anche la modifica dell’articolo 171 bis della legge sul diritto d’autore che punisce la duplicazione a scopo di profitto e non più a scopo di lucro, sembra proprio di poter concludere che ora duplicare software torna a essere un’azione sempre sanzionata penalmente. Specie se si considera che il decreto legislativo in questione abroga l’articolo 16 della L. 248/00 (quella del bollino SIAE sul software) nella parte in cui stabiliva una semplice sanzione amministrativa per chi “duplica, riproduce, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno tutelata dalla normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi al suo esercizio”.
La regolamentazione della copia privata – che, ripeto, non si estende al software – prevede inoltre che “i titolari dei diritti sono tenuti a consentire che, nonostante l’applicazione delle misure tecnologiche di cui all’articolo 102-quater, la persona fisica che abbia acquisito il possesso legittimo di esemplari dell’opera o del materiale protetto, ovvero vi abbia avuto accesso legittimo, possa effettuare una copia privata, anche solo analogica, per uso personale, a condizione che tale possibilità non sia in contrasto con lo sfruttamento normale dell’opera o degli altri materiali e non arrechi ingiustificato pregiudizio ai titolari dei diritti”. Sarà interessante studiare l’applicazione pratica di questa norma.
In linea di principio chi acquista musica e video ha il diritto di effettuare una copia privata (che, nella nuova norma, si può confondere con la copia di backup che è una cosa diversa) e dunque i produttori dovrebbero gestire i sistemi di protezione in modo che possano essere disabilitati o comunque che non incidano sul legittimo esercizio dei diritti da parte dell’acquirente. Nei fatti, posso immaginare che, pur di non consentire l’esercizio di questo diritto, i produttori faranno di tutto per sfruttare l’eccezione contenuta nella norma stessa, configurando i prodotti in modo che consentire la copia privata significherebbe rendere eccessivamente oneroso il tutto.
Altro elemento importante a proposito della copia privata è che non può essere realizzata da terzi. In altri termini, per essere qualificata come tale, la copia personale deve integralmente essere prodotta “in casa”. Segue logicamente che non si possono prestare “servizi commerciali” per effettuare copie private di opere protette. Menzione di (de)merito anche per la lettera f bis dell’articolo 171 ter della legge sul diritto d’autore (introdotta sempre dal decreto legislativo). La norma punisce chi “importa, distribuisce, vende, …, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l’uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche di cui all’articolo 102- quater ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l’elusione di predette misure”. A tacere d’altro, cosa vuol dire che si punisce chi “importa, distribuisce, vende… pubblicizza per la vendita prodotti che abbiano la prevalente finalità o l’uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche”?
La competizione commerciale nel mercato del software e hardware per la masterizzazione si gioca in modo particolare sulla versatilità dei prodotti e sulla loro capacità di offrire funzionalità ad ampio spettro. Applicando la norma in questione chi opera in questo settore dovrebbe verificare che i propri prodotti non consentano di eludere alcun sistema di protezione (anche il più sconosciuto), esponendosi, diversamente, al rischio di un’azione legale che, seppure dovesse poi rivelarsi infondata, intanto provocherebbe conseguenze negative di breve periodo non banali.
Analogamente a quanto potrebbe accadere a un giornale che recensisse (o, per dirla con la legge, pubblicizzasse per la vendita) software e periferiche in questione. Qual è il limite oltre il quale un software di masterizzazione diventa illegale? E dunque, quale direttore responsabile si assumerà il rischio di pubblicare notizie relative a questi “pericolosissimi strumenti”, a fronte della possibilità di un’azione legale anche di natura penale?
Certo, il diritto di cronaca e la libertà di stampa dovrebbero mettere al riparo da certe interpretazioni degeneri della legge sul diritto d’autore. Ma perché ciò accada sarebbe comunque necessario passare attraverso un processo (il cui esito, peraltro, non sarebbe poi così scontato). In definitiva, si stanno avverando puntualmente le previsioni di chi, novella Cassandra, aveva messo in guardia dalle conseguenze nefaste dello “straripamento” del diritto d’autore dagli argini che gli erano stati costruiti. A chi toccherà la prossima volta?
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