Dentro il G-Cans

Il Metropolitan Area Outer Underground Discharge Channel (Shutoken Gaikaku H?suiro) o G-Cans, come è comunemente chiamata, è un’opera gigantesca che protegge Tokyo dagli allagamenti causati da fenomeni atmosferici estremi. Ma è anche un fenomeno culturale che ha catturato la fantasia di produttori, musicisti e videomaker e uno strumento di marketing territoriale di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su MIT Technology Review Italia

La gestione degli effetti disastrosi dei fenomeni naturali è un elemento peculiare della ricerca ingegneristica giapponese e non riguarda soltanto (per così dire) terremoti e tsunami, ma anche gli allagamenti causati da violentissime precipitazioni atmosferiche (un problema che, come è altrettanto noto, da qualche tempo affligge drammaticamente anche l’Italia).

Passeggiando per le città giapponesi, persino il turista più distratto non può evitare di riconoscere i sistemi antisismici anche se vengono realizzati per “confondersi” con l’architettura dei palazzi o, visitando le città costiere, non può evitare di imbattersi nelle barriere marine antitsunami come quella di Rikuzentakata.

Pochi occidentali tuttavia, anche perché per visitarlo è necessario conoscere il Giapponese, hanno avuto la possibilità di vedere dal vivo lo Shutoken Gaikaku H?suiro, più comunemente noto come G-Cans, ad oggi una delle più grandi infrastrutture antiallagamento al mondo, che dalla sua costruzione ha scongiurato, senza perdere un colpo, oltre 140 alluvioni.

Per avere un’idea della capacità del Metropolitan Area Outer Underground Discharge Channel, basta pensare che nel 2015 la struttura ha assorbito be 19 milioni di metri cubi di acqua, approssimativamente equivalenti al volume di 7.600 piscine olimpiche o a quello di circa 1.700 Torri di Pisa.

Come è fatto e come funziona il G-Cans

La progettazione del G-Cans è stata pensata per gestire la peculiarità geologica della prefettura di Saitama, dalla forma “a conca” e ricca di grandi fiumi. Questa combinazione rende il territorio particolarmente vulnerabile ad esondazioni e allagamenti dal momento che l’acqua in eccesso, da un lato, si accumula facilmente e, dall’altro, per via dello scarso gradiente fluviale defluisce lentamente impedendo che l’enorme massa d’acqua accumulatasi per via delle precipitazioni si disperda in tempi sufficientemente rapidi da non provocare (grossi) danni.

Costruito in tredici anni (i lavori sono iniziati nel 1993 e sono terminati nel 2006), il G-Cans è composto da un canale lungo circa 6,3 km e dal diametro di dieci metri soprannominato, per ragioni che saranno chiare fra poco, Sairyu no Kawa (il fiume del dragone colorato).

Il canale raccoglie le acque tracimate che confluiscono in cinque silo interrati profondi 65 metri e larghi 32.

La scelta di progettare un sistema sotterraneo è anche stata necessitata da aspetti economici e giuridici, oltre che tecnici. Come altri ordinamenti occidentali, anche quello giapponese, infatti, prevede che la proprietà del terreno si estenda anche in profondità e che, di conseguenza, sia necessario acquistare o espropriarlo anche nel caso di progetti di pubblica utilità da realizzarsi sottoterra. Tuttavia, la Daishindochika no k?ky?-teki shiy? ni kansuru tokubetsu sochi-h? (legge sulle misure speciali per l’uso pubblico del sottosuolo profondo) stabilisce che quando l’intervento è compiuto a oltre 40 metri di profondità lo spazio può essere usato liberamente. Questa possibilità riduce i tempi e i costi di acquisizione dei terreni e la possibilità di costruire impianti verticali incrementare notevolmente la capacità dei serbatoi.

Tornando alle caratteristiche tecniche dell’opera, il suo funzionamento sfrutta la legge dei vasi comunicanti in modo che l’acqua in eccesso incanalata nel tunnel venga spinta fino a un serbatoio di raccolta (lungo 177 e alto 78 metri per 18 metri di altezza) tenuto in piedi da 59 enormi colonne costruite con tecnologie antisismiche per ridurre il rischio di crollo in caso di terremoto. Ogni colonna è lunga 7 e larga 2 metri, per 18 metri di altezza e viste complessivamente giustificano il soprannome “Tempio sotterraneo” affibbiato al serbatoio.

Una volta entrati nel “Tempio” è inevitabile pensare alla Piscina Mirabilis di Bacoli o al Yerebatan Sarn?c?, il Palazzo sommerso di Istanbul, anche se, per dimensioni, finalità e bellezza, le opere non sono comparabili. Mentre, infatti, i due capolavori dell’ingegneria romana servivano per raccogliere e conservare l’acqua, il “Tempio” è un “semplice” strumento progettato con un’estetica minimalista e razionale per interrompere la violenza del flusso facilitandone così la regolazione della pressione.

L’intero sistema entra in funzione praticamente da solo, al raggiungimento di una determinata soglia oltre la quale si attivano le due turbine a gas adattate dai motori di un Boeing 737 che, muovendo le pompe di drenaggio dalla portata di 200 metri cubi al secondo, spingono l’acqua nel fiume Edogawa attraverso sei condutture lunghe 174 metri, larghe circa cinque metri e alte 7.

Tutta l’infrastruttura è gestita tramite una sala controllo dove, in caso di eventi gravi, si riunisce l’unità di crisi inviata dal governo centrale.

Cessata l’emergenza, quattro turbine pompano l’acqua residua nel fiume Edogawa e svuotano integralmente il Tempio che, prima di tornare accessibile per la manutenzione e le visite, deve essere ripulito dalla terra e dal materiale trascinato dalle acque tramite una ruspa calata dall’alto e fatta scendere lungo il silo.

 

Evoluzione continua

Nonostante la sua dimensione gigantesca, l’infrastruttura del G-Cans è in continua evoluzione per incrementare l’efficienza del suo funzionamento. Per esempio, successivamente alla costruzione, le bocche di ingresso dei silo numero 3 e numero 5 sono state modificate per ridurre l’impatto della cascata di circa 60 metri che si produceva dall’intersezione contemporanea dei flussi provenienti da due fiumi le cui esondazioni venivano indirizzate verso lo stesso serbatoio.

Per quanto sia stato progettato per gestire eventi avversi di portata ben maggiore di quella per la quale era stato progettato, anche il G-cans, come le barriere antitsunami, non è invincibile e di fronte all’incremento della dimensione e dell’intensità dei fenomeni climatici nel giugno 2023 non è riuscito a scongiurare l’allagamento di circa 4.000 abitazioni nell’area del fiume Nakagawa. Questo ha portato il governo giapponese a progettare l’espansione dei sistemi di contenimento delle acque (argini e sistemi di drenaggio) che prevedono, entro il 2027, di gestire anche le esondazioni dei fiumi Kanda e Shirako incanalandole verso la baia di Tokyo.

L’impatto ambientale

La costruzione di impianti come il G-cans pone chiaramente una serie di problemi di impatto ambientale come, per esempio, quello della dimensione stessa del progetto (e di progetti analoghi) rispetto alla frequenza degli eventi avversi, quello dello smaltimento dell’enorme quantità di materiali di risulta generati dalla costruzione e poi dalla tracimazione delle acque. Inoltre, ci si comincia a chiedere se non si possa gestire in modo alternativo la quantità di acqua accumulata nei serbatoi, recuperandola invece di scaricarla nell’Oceano Pacifico.
Non è semplice valutare questioni di questo genere perché certamente, da un lato, interventi ingegneristici come quelli di cui stiamo parlando incidono permanentemente, e a vari livelli, sull’ambiente circostante. Ma è anche vero, dall’altro, che il numero di vite salvate e i danni evitati dalle infrastrutture di contenimento delle inondazioni spingono a privilegiare un approccio bilanciato nel quale la protezione della vita umana sia un elemento centrale dell’equazione che governa le scelte da compiere.

L’impatto sociale e culturale

Le soluzioni tecnologiche e progettuali che hanno consentito la realizzazione di un’infrastruttura come il G-Cans sarebbero, da sole, già sufficienti per attrarre l’interesse non solo di esperti ma anche di appassionati di ingegneria civile e idraulica. Tuttavia questo non è “soltanto” un progetto tecnologico ma esprime anche una serie di valori culturali che ne hanno ispirato la concezione e l’utilizzo, rendendolo degno di attenzione anche per chi si occupa di antropologia e studi sociali.

Il G-cans è, innanzi tutto, un simbolo della assoluta determinazione umana nel combattere le forze della natura. Sul lungo periodo la guerra è probabilmente persa, ma questo non fa venire meno l’importanza di provare a vincere quante più battaglie possibili.

La componente, per così dire, ideale di un progetto del genere emerge chiaramente dal breve video che spiega ai visitatori cosa stanno per vedere, proiettato nel piccolo auditorium del Ryukyukan, il museo all’interno della Showa Drainage Pump Station (dalla quale si accede al “Tempio”). Il video, infatti, si apre con il racconto di una leggenda —creata appositamente— su un drago che abita il tunnel e che protegge la città dalla furia delle acque fino alla fine dei tempi.

L’idea del dragone come forza protettrice non è soltanto un riferimento alla cultura tradizionale perché i secondi successivi del video mostrano la struttura nel suo complesso che, in effetti, ricorda la forma di un drago, il cui corpo è costituito dal canale e dai silo e la testa dalla Drainage Pump Station. Il collegamento con il G-Cans diventa, dunque, evidente e spiegherebbe il perché del nome — il fiume del dragone colorato— imposto appunto al canale che trasporta le acque verso il tempio.

Il ruolo culturale del G-Cans è ulteriormente testimoniato dalla celebrazione di un matsuri (festa tradizionale) dedicato appunto al fiume del dragone colorato che si tiene anche all’interno del Tempio sotterraneo, e dal suo impiego in produzioni cinematografiche e musicali che utilizzano l’atmosfera mistica e irreale che si respira nel gigantesco serbatoio di raccolta, oltre che, recentemente, per esercitazioni della Jieitai (la forza armata giapponese per l’autodifesa nazionale).

Anche la sala controllo appare in film e serie televisive, per esempio quella dedicata a Ultraman, un personaggio molto famoso in Giappone, e questo proposito è curioso il contrasto fra l’ambientazione fantascientifica dei racconti e la palese vecchiezza dei monitor ancora in uso, alcuni dei quali sono ancora in formato 4:3.

Insieme alla possibilità di visitare l’impianto, tutto questo genera anche ricadute positive per l’area circostante che, diversamente, non avrebbe grandi attrazioni turistiche.

Rispetto allo scopo per cui è stato concepito il G-Cans, queste considerazioni potrebbero sembrare marginali ma in realtà non lo sono perché evidenziano un approccio alle scelte politiche e alla progettazione —in questo caso— di enormi infrastrutture senza trascurare il territorio sul quale insistono.

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