PC Professionale n. 159 – giugno 2004
Decreto Urbani: la rete è sotto controllo con la scusa del peer to peer
Ancora una volta un principio giusto (la protezione degli autori) viene strumentalizzato per tutelare interessi di lobby e per vessare i cittadini. È quanto accade grazie al “decreto Urbani”, emanato il 22 marzo 2004 (e ora in corso di conversione in legge), che, con la scusa di combattere la illecita distribuzione di opere cinematografiche anche tramite reti P2P, vessa in pari modo gli operatori di Internet e gli utenti. Ma che, soprattutto, rappresenta l’occasione per far passare censura e repressione.
Tutto questo si capisce facilmente leggendo le varie “versioni” del provvedimento, da quella precedente la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale al testo inviato alle camere per la conversione in legge, fino a quello approvato dalla Camera e (alla data di questo articolo) in discussione al Senato.
Come bene evidenzia l’analisi pubblicata dall’Alcei l’obiettivo dichiarato del ministro Urbani era: imporre un sistema di data-retention addirittura più esteso di quello già istituito, invocando la lotta al terrorismo, qualche mese prima con la L. 45/04 (obbligo di conservazione dei dati di traffico) criminalizzare l’uso della crittografia; attribuire alla DIGOS (polizia politica) il potere di oscurare siti e rimuovere contenuti in via preventiva, senza la supervisione di un magistrato; obbligare gli ISP a “segnalare” – che in pratica significa “denunciare” – i propri utenti.
Alcune di queste previsioni – quella sulla crittografia e della data-retention, per esempio – sono state eliminate già dal testo definitivo del decreto. Altre sono state modificate – nella forma, più che nella sostanza – durante i lavori di conversione.
Parallelamente si sono registrate polemiche al calor bianco sollevate, da una parte, dal “partito degli esclusi”, dall’altra dagli ISP e ancora dalle associazioni per la tutela dei diritti civili. I primi (quei comparti dell’audiovisivo che erano stati tagliati fuori dall’iperprotezione del decreto legge) si lamentavano appunto della “disparità” di trattamento fra film (più tutelati) e musica (non inclusa nel decreto Urbani).
I secondi, seppur con varia articolazione, contestavano di doversi trasformare in “poliziotti privati” al servizio delle major, nella fornitura di servizi Internet. I terzi, infine, hanno denunciato come il decreto Urbani poco abbia a vedere con la tutela degli autori e moltissimo con la tutela di interessi tanto specifici quanto forti. Infatti, in sede di conversione del decreto, sono comparse anche le proposte di aggiungere alla “tassa” sui supporti (per cui il prezzo dei supporti viene maggiorato in modo da “risarcire” le major per la copia privata), anche quella sui costi dell’accesso alla rete; apporre un “bollino virtuale” tipo quello che precede l’inizio di cassette e DVD per ogni opera protetta; trasformare, ai fini dell’esistenza del reato di diffusione abusiva di opere cinematografiche, lo “scopo di lucro” in “scopo di profitto”. Ampliando così, come già accaduto con il software, lo spettro dei comportamenti punibili.
Né l’opposizione, praticamente da sempre latitante su tutto ciò che riguarda la rete, ha svolto un ruolo significativo. Si è solo limitata a “cavalcare” immediatamente un tema di grande appeal popolare (per non dire populistico). Ha “cantato vittoria” per qualche scaramuccia vinta, ma non si è clamorosamente accorta di cosa realmente significasse la modifica del reato di “diffusione abusiva a scopo di lucro” in “diffusione abusiva a scopo di profitto”. E così ha lasciato via libera all’applicazione di sanzioni penali anche per situazioni dove non c’è un guadagno economico e che dunque dovrebbero essere di esclusiva competenza, seppure, del giudice civile.
Che fare? Praticamente nulla, purtroppo. A quanto pare, il voto definitivo al Senato sarebbe “blindato” e dunque non ci sarebbero concrete possibilità di bloccare la conversione in legge. L’unica speranza è la Commissione europea, che dovrà pronunciarsi sulla violazione, da parte del governo italiano, della direttiva 98/34 che obbliga gli Stati membri a notificare in anticipo le leggi che interferiscono con la prestazione di servizi della società dell’informazione. L’Italia – nel caso del decreto Urbani – non ha assolto a questo dovere e dunque se pure il decreto sul P2P dovesse entrare in vigore, potrebbe essere “cassato” in sede europea.
Questa possibilità, tuttavia, non fa venir meno il pericolo intrinseco rappresentato dal decreto Urbani. Perché seppure oggi dovesse inciampare sulla buccia di banana di un cavillo formale, la prossima volta ciò non accadrebbe di sicuro.
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