Linux & C n. 40
di Andrea Monti
Questo è un documento diffuso da ALCEI (e reperibile online all’indirizzo http://www.alcei.it/documenti/copyright/l04128analisi.htm) che analizza il contenuto della “legge Urbani” (ex “decreto Urbani) completando la documentazione pubblicata sul numero precedente. Rileggendo i due articoli uno dopo l’altro, ne esce fuori un quadro veramente desolante, nel quale il governo si arrende alle pressioni delle lobby e l’opposizione tradisce la fiducia riposta in lei dagli utenti. Fra l’incudine e il martello rimangono, invece, gli utenti la cui posizione sarà, con buona probabilità, ulteriormente aggravata dalla modifica alla neo approvata legge. Difficilmente, infatti, si farà marcia indietro e, anzi, verranno colmati gli spazi di tutela di interessi di settore (software, per esempio) rimasti fuori dal primo “giro di torchio”.
Il 30 maggio 2004 è stato annunciato un nuovo intervento legislativo che (si dice) modifica la L.128/04 che attua il “decreto Urbani” per eliminarne alcuni dei più palesi errori – e per tentare di “placare” le estese proteste suscitate da quelle disposizioni. Se e come questa ennesima “pezza” modificherà la giungla normativa si potrà capire solo dopo che il testo sarà stato pubblicato (e dopo l’iter parlamentare di una sua eventuale definitiva conversione in legge). E’, comunque, forte, la sensazione che l’annunciata modifica serva soltanto a soddisfare gli interessi delle major escluse, piuttosto che a correggere, come sembra illudersi l’opposizione, le storture di principio della legge.
Tutti questi episodi, che continuano a complicare un quadro già molto confuso, rientrano in un percorso che era già iniziato prima del crackdown (http://www.alcei.it/news/sequestr.htm) di cui, pochi giorni fa si è ricordato il decennale – e che è continuamente complicato dall’incrocio delle leggi italiane con (spesso discutibili) norme internazionali.
Senza qui ricostruire tutto quel, percorso, né ricordarne le molte complessità e contraddizioni – si limita a tracciare, in sintesi, il percorso di ciò che è accaduto nel breve periodo di tre mesi – dal marzo al maggio 2004.
Con fretta immotivata e incoerenza ingiustificabile, le modifiche introdotte alla Camera durante i lavori di conversione del DL 72/04 nella L.128/04, se da un lato hanno parzialmente alleggerito gli oneri per gli internet provider (che non sono più obbligati a denunciare gli utenti) e limitato l’ampiezza dei poteri di polizia (che non può più oscurare siti senza il controllo del magistrato), dall’altro hanno introdotto nuovi balzelli e pericolosi principi.
In estrema sintesi, la L.128/04 stabilisce:
– una modifica all’art.171 ter della legge sul diritto d’autore (l.d.a.), con la sostituzione, nel reato di duplicazione/diffusione abusiva di opere dell’ingegno, dello scopo di lucro in fine di profitto, e
– l’aggiunta, nella stessa norma, della lettera a)bis che criminalizza specificamente l’uso della tecnologia peer-to-peer,
– il “prelievo coatto” a favore della SIAE di una parte del prezzo di supporti apparati e software di masterizzazione,
– l’obbligo, per l’immissione in un sistema di reti telematiche di un’opera dell’ingegno, di fornire un idoneo avviso sull’avvenuto assolvimento degli obblighi derivanti dalla normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi,
– un non meglio precisato ruolo di “raccordo” nella raccolta delle segnalazioni sulle violazioni di legge del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero degli interni,
– l’obbligo, per gli ISP, dietro richiesta dell’autorità giudiziaria, di fornire tutte le informazioni in loro possesso utili all’individuazione dei gestori dei siti e degli autori delle condotte segnalate,
– l’obbligo per i soli ISP (i carrier sono esclusi) di porre in essere, per ordine dell’autorità giudiziaria, tutte le misure dirette ad impedire l’accesso ai contenuti dei siti o a rimuovere i contenuti medesimi,
– una sanzione amministrativa da 50.000,00 a € 250.000,00 per gli ISP che non cooperano con l’autorità giudiziaria.
Il “decreto Urbani” è stato approvato a tappe forzate che hanno evidenziato una paradossale e inqualificabile gestione dei lavori, culminata nella incredibile richiesta di approvare la legge così come è, per poi modificarla successivamente.
Il governo si è trovato fra il martello della pressione delle major dell’audiovisivo/editoria e l’incudine di un provvedimento antipopolare. Ne sono prova le dichiarazioni confuse dei suoi esponenti sul non volersela “prendere con i giovani” ma solo “colpire i pirati”, alle quali hanno fatto eco le proteste dell’industria di settore che, fuori da ogni ipocrisia, non tollerava questa “impunità”.
Dal canto suo, l’opposizione ha dato spettacolo con un vero e proprio “balletto” fatto di questioni di costituzionalità ed emendamenti, prima presentati e poi ritirati in cambio della “promessa di cambiare la legge”. Ma si è fatta passare sotto il naso la fondamentale modifica del dolo specifico nel reato previsto e punito dall’art.171 ter l.d.a. da lucro in profitto che punisce le azioni illecite commesse a danno di opere audiovisive.
Allineando l’articolo al precedente 171bis (che si occupa specificamente di software) la modifica rende punibili gli illeciti compiuti “per trarne profitto” (prima si parlava, più restrittivamente, di azioni commesse “a scopo di lucro”). In pratica questo significa che prima della modifica era, sostanzialmente, punito chi vendeva copie abusive. Ora può essere punito anche chi compie il reato per fini diversi dall’arricchimento economico.
Viene poi specificato che la norma si applica, esplicitamente, a chi “comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche… un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore”.
Ma siccome l’art.171 ter ancora dice esplicitamente che non c’è alcun reato se il fatto è commesso per uso personale, vuol dire che tutte le modifiche della legge Urbani non si applicano con l’ampiezza che la SIAE e il ministro avevano immaginato. In pratica, non sono reato tutte quelle azioni, pur descritte nell’articolo in questione, i cui effetti rimangono all’interno della sfera privata del soggetto. Così, se è illecito mettere a disposizione di chiunque opere protette (ma non c’era bisogno di modificare la legge per ottenere questo risultato), era e rimane lecito effettuare copie private pur non possedendo l’originale, perché le duplicazioni sono effettuate su supporti per i quali, a monte, si paga già l’equo compenso (impropriamente definito la “tassa”).
E, a proposito di “equo compenso” dal marasma parlamentare, “spuntano” anche una nuova “tassa” sui supporti e sui software di masterizzazione, oltre che l’obbligo di apporre una sorta di “bollino digitale” su tutte le opere dell’ingegno. Cioè una dichiarazione che attesti l’avvenuto pagamento dei diritti SIAE, con l’indicazione delle sanzioni per chi viola la legge sul diritto d’autore.
E’ appena il caso di notare che, a prescindere dalla fattibiltà tecnologica, si tratta di una norma vessatoria per gli autori indipendenti e culturalmente incivile, che aumenta lo strapotere della SIAE e segna un ulteriore avanzamento nell’attribuzione a questa struttura del diritto di stabilire cosa sia “arte” e cosa no. Sempre in base al principio che chi usa un computer è “delinquente presunto” e che quindi userà questi oggetti per duplicare abusivamente opere protette, la “tassa” è stata estesa anche ai masterizzatori e ai software di masterizzazione. Andando quindi a colpire anche utenti – la maggioranza, per la verità – che impiegano questi strumenti per lavorare e non per registrare canzonette o film che durano meno di una stagione.
Ma l’aspetto più grave dei contenuti della L.128/04 è il trattamento riservato ai provider. Da un lato, infatti, è stato eliminato l’obbligo per gli ISP di denunciare i propri utenti, che è stato annacquato eliminando il riferimento diretto agli operatori. Nello stesso tempo, però, la legge prevede che:
– il Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero degli interni raccolga le “segnalazioni di interesse” per la prevenzione e la repressione dei reati in materia di diritto d’autore,
– a fronte di un provvedimento della magistratura l’ISP deva fornire tutte le informazioni in proprio possesso sulle condotte segnalate.
Entrambe le norme non sono accettabili nel principio ancora prima che nella formulazione tecnica.
Quella che trasforma il Ministero degli interni in un “collettore di segnalazioni” è ambigua e probabilmente incostituzionale perché attribuisce al potere esecutivo (un ministero) funzioni di raccolta di denunce penali (perché di questo si tratta) che invece spettano esclusivamente alla magistratura).
Quella che impone agli ISP l’obbligo di cooperazione crea una vera e propria falla nel diritto alla difesa. Perché così come è scritta significa che l’ISP dovrà, in piena autonomia e sopportandone i costi, eseguire complesse attività di indagine sui propri sistemi (analisi dei log, incrocio dei dati ecc.) e fornire direttamente i risultati alla magistratura. Che dunque potrà limitarsi a “prendere per buono” quello che dice l’ISP senza preoccuparsi se i dati siano effettivamente attendibili.
Il risultato pratico è che gli ISP sono rimasti “investigatori a mezzo servizio” e che quindi dovranno strutturarsi autonomamente per dare puntuale riscontro alle richieste della magistratura e rischiando comunque di pagare elevatissime sanzioni amministrative (da 50.000 a 250.000 Euro).
E’ evidente, a questo punto, che le preoccupazioni espresse nella richiesta di apertura di procedimento per violazione della direttiva 98/34 presentata alla Commissione europea, rispetto alla creazione di disparità per la prestazione di servizi della società dell’informazione erano e sono tutt’altro che pellegrine. E che questa deficienza della legge potrà essere rilevata in tutti i processi nei quali saranno invocate le nuove norme a “difesa” del diritto d’autore.
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