L’articolo 5 delle norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali, varate dal governo Meloni nel suo primo consiglio dei Ministri e contenute nel decreto legge 162 del 31 ottobre 2022 ha suscitato polemiche condizionate da una mancanza di prospettiva. La lettura di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law nel Corso di laurea magistrale in Digital Marketing dell’università di Chieti-Pescara – Inizialmente pubblicato su Formiche.net
Le vicende che hanno dato origine al decreto anti-rave e le polemiche accese che hanno fatto seguito alla pubblicazione della norma in Gazzetta Ufficiale richiedono di essere inquadrate nel tema più generale del rapporto fra poteri-doveri di pubblica sicurezza e quelli di repressione penale. Come è noto, i primi spettano al ministro dell’interno, i secondi sono esercitati dalla magistratura nell’ambito delle norme approvate dal Parlamento che, in materia penale, è destinatario di una riserva di legge assoluta (il che, ma è un altro discorso, implicherebbe anche di riconsiderare la legittimità dell’iperattivismo comunitario in materia). Fatta questa premessa, è necessario iniziare l’analisi della vicenda legata al decreto dalla sua “tenuta” costituzionale.
Ammissibilità del ricorso alla decretazione d’urgenza
I dubbi di legittimità sono stati espressi in rapporto alla scelta di presentare un decreto legge in assenza dei requisiti per la sua emanazione. A stretto rigore, considerata la natura episodica dei rave e di eventi similari è difficile sostenere che sussistano “necessità e urgenza”. Va detto tuttavia che, tanto per rimanere ai tempi recenti, il governo Conte si comportò allo stesso modo con il decreto legge 105/19 sul perimetro nazionale cibernetico. A sostegno dell’urgenza venne invocato un pericolo per la sicurezza nazionale anche se l’infrastruttura complessiva che fa funzionare il 5g non è ancora oggi nemmeno completata nella sua parte minima che è l’installazione degli apparati di trasmissione, mentre dei data-centre di prossimità, dei device “intelligenti” e delle piattaforme software necessarie a gestire l’escosistema non c’è ancora traccia.
Critiche analoghe a quelle mosse al decreto 162, all’epoca, non vennero minimamente formulate e, come in tanti decreti-legge che nel corso dei decenni sono stati emanati ricorrendo a forzature semantiche o all’utilità strategica, è la componente politica, non quella giuridica, a sostenere o meno il ricorso a questo strumento. Ed è proprio la prevalenza dell’aspetto politico su quello tecnico giuridico ad essere la chiave di lettura dello scenario.
L’idoneità attuale del sistema normativo di pubblica sicurezza per la gestione di raduni e assembramenti
Il sistema dei poteri di pubblica sicurezza che ha il suo fondamento nel R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (noto come Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza – Tulps) ha consentito la gestione del caso Modena, senza nemmeno dover arrivare all’utilizzo dell’ “ordine di discioglimento” previsto dall’art. 23 Tulps, essendo stato sufficiente, nel caso specifico, formulare l’”invito” previsto dall’articolo precedente.
Esiste già anche il raccordo con l’autorità giudiziaria: se viene rilevata la commissione di reati perseguibili d’ufficio, gli ufficiali di pubblica sicurezza devono procedere alla denuncia. Inoltre, essendo anche ufficiali di polizia giudiziaria, essi devono procedere alla messa in sicurezza delle prove e compiere gli eventuali atti urgenti in attesa dell’arrivo del pubblico ministero.
Si deduce da quanto sopra che l’attuale sistema dei poteri di sicurezza consente, in generale, un ampio spazio di manovra per gestire casi come rave o altre forme di manifestazioni non autorizzate. Dunque, la scelta del se intervenire e di come operare è valutata a seconda dello scenario che si presenta e delle questioni di opportunità politica che necessariamente richiedono il coinvolgimento del Ministero dell’interno se non addirittura, nei casi più seri, della Presidenza del Consiglio. Per quanto riguarda gli uffici pubblici, infine, è già possibile sanzionarne l’invasione finalizzata all’occupazione ai sensi del combinato disposto degli articoli 633 e 639-bis del Codice penale. In questo senso, dunque, la nuova norma si aggiunge allo schema sanzionatorio preesistente.
La rilevanza della scelta di politica criminale
Il tema dell’articolo 434-bis del Codice penale, di conseguenza, non riguarda l’esercizio concreto dei poteri/doveri di pubblica sicurezza, ma la scelta di politica criminale sull’opportunità di affiancare alla prevenzione anche la repressione di condotte specificamente connesse a un dato fenomeno —nel caso di specie, l’organizzazione di pericolose manifestazioni di massa.
La scelta in sé non è sindacabile perché, come si usa dire, la politica è libera nel fine (questo spiega, peraltro, perché sia concettualmente sbagliato confrontare le pene previste per il reato X con quelle per il reato Y. Il Parlamento ha deciso, e tant’è). Ciò che rileva, invece, è il modo nel quale l’obiettivo politico viene raggiunto. Dunque, considerato che al momento l’articolo 434-bis ha forza di legge, va analizzato con le regole dell’interpretazione del diritto penale.
Le difficoltà di lettura e di applicazione dell’articolo 434-bis
Il nuovo reato è inserito nel Codice penale al Capo I – Dei delitti di comune pericolo mediante violenza del Titolo VI – Dei delitti contro l’incolumità pubblica. La “posizione sistematica” della norma già ne delimita l’ambito di utilizzo, escludendo che possa essere applicata anche in casi nei quali l’incolumità pubblica non è il “bene giuridico” attinto dalla condotta. Manifestazioni pacifiche e proteste anche accese non sono dunque, in quanto tali, a rischio.
L’intitolazione del decreto, “Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali” definisce in concreto la scelta di politica criminale e fissa l’obiettivo che il Governo ha individuato e che il Parlamento sarà chiamato a convalidare. Nello specifico, il Governo propone di adottare una forma di tutela anticipata al momento organizzativo del raduno illegale che, in quanto compatibile con l’istituto del delitto tentato, consentirebbe di intervenire con provvedimenti cautelari ancora prima che il raduno si verifichi. Questa scelta è sorretta, appunto, dall’avere posizionato la norma in un Titolo del Codice penale che disciplina i delitti di comune pericolo, cioè quelli che non richiedono di dover attendere che qualcosa accada per poter avviare un’indagine.
In questo senso, la scelta del termine “raduno” al posto di “manifestazione” o “evento” è, nello stesso tempo, più e meno garantista. Da un lato, infatti, sono soggette alla norma nel testo vigente i raduni a prescindere dal motivo per il quale sono stati organizzati. Dall’altro lato, l’intervento del magistrato diventa obbligatorio fin dalle primissime fasi, il che implica un maggior controllo giurisdizionale sulle attività di polizia.
Venendo alla formulazione tecnica della norma, è lecito avanzare qualche dubbio sul rigore dell’applicazione del principio di tassatività —cioè della descrizione chiara e precisa degli elementi del reato, che incide sulla formulazione del capo di imputazione eventualmente formulato a valle delle indagini.
Innanzi tutto, mentre il decreto parla di “occupazione”, la norma utilizza il termine “invasione”. Le due parole descrivono comportamenti diversi e quindi sarebbe necessario decidere se deve essere sanzionato il mero atto di superare illecitamente un “confine” oppure se deve essere punita la permanenza, cioè il trattenersi per un certo periodo di tempo in un luogo senza aver titolo per farlo, eventualmente escludendo il legittimo proprietario dal godimento del bene.
Un altro aspetto che meriterebbe di essere chiarito è il momento nel quale è possibile, per il pubblico ministero, prendere notizia di reato. La norma, infatti, fissa la soglia del penalmente rilevante quando sussistono due elementi contestuali: “lo scopo di organizzare un raduno” e la necessità che dal raduno possa derivare “un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumita? pubblica o la salute pubblica.” Questo significa che l’indagine potrà partire solo quando ci saranno almeno gli elementi per individuare, secondo la formula del delitto tentato, “atti idonei e univocamente diretti” a commettere il fatto (l’organizzazione) e le sue possibili conseguenze (il pericolo).
Detta in termini ancora diversi, non potendosi configurare una forma di responsabilità oggettiva, la possibilità di avviare un procedimento penale sarà condizionata dall’accertamento effettivo che il raduno —pur non autorizzato— sia effettivamente pericoloso.
L’efficacia relativa della norma e il problema dei reati di massa
La conseguenza di questa impostazione è che, almeno in linea di principio, bisognerà attendere che l’organizzazione giunga a un livello tale da consentire di valutare quali conseguenze è in grado di provocare. Questo limita fortemente la possibilità di ricorrere a forme di intercettazione o captazione informatica, a meno di non voler compiere forzature interpretative in sede giurisprudenziale. Per esempio, usare un social network per organizzare un raduno indicando come luogo di incontro un capannone abbandonato e pericolante potrebbe giustificare l’avvio dell’indagini. Viceversa, limitarsi a parlare di una riunione senza fornire elementi sul “dove” non consentirebbe di ritenere sussistente il requisito del pericolo e dunque, in assenza degli elementi di fattispecie, non sarebbe consentito l’avvio delle attività di polizia giudiziaria (ferme restando, però, quelle di pubblica sicurezza).
A prescindere da questo, pur rilevante, aspetto c’è, tuttavia, un tema più generale che si pose già vent’anni fa con le prime indagini sulla diffusione abusiva di opere protette dal diritto d’autore: la complessità di dover gestire (all’epoca) centinaia oppure (oggi) migliaia di potenziali indagati.
Se il rave di Modena avesse dato avvio a un procedimento penale nei confronti di tutti i partecipanti, gli uffici di polizia e quelli della procura della Repubblica sarebbe stati inondati da uno tsunami di fascicoli che avrebbe ridotto fortemente la capacità di funzionamento degli uffici, causando ritardi e inefficienze anche ad altre indagini.
Il fatto che oggi, anche grazie alla maggiore facilità di auto-organizzazione, sia più facile che si verifichino illeciti commessi da un numero elevato di persone richiede, in termini di politica criminale, una profonda riflessione sul modo in cui sono individuate le condotte da punire, su come sono strutturate le norme di diritto sostanziale e in che modo condizionano quelle processuali in materia di indagini e rito.
Dunque, benché non esplicitata, proprio la necessità di intervenire colpendo gli organizzatori (anche ricorrendo alle norme sul concorso nel reato o all’associazione per delinquere) prima che possano radunare una massa di persone che sarebbe impossibile o estremamente difficile da gestire potrebbe essere una delle ragioni che hanno motivato l’emanazione della norma.
Conclusioni
Dall’analisi che precede è possibile concludere che è relativamente utile analizzare le tecnicalità dell’articolo 434-bis perché, a monte, è il tema di politica criminale posto dal Governo a dover essere affrontato nel dibattito parlamentare. Dunque, le Camere saranno chiamate a decidere se sia opportuno creare le basi per l’ampliamento della responsabilità penale “per organizzazione” già presente nel Codice con gli articoli 416 (associazione a delinquere) e 416-bis (associazione a delinquere di stampo mafioso).
Se venisse recepita la proposta del Governo, il decreto 162 aprirebbe la strada ad altri futuri provvedimenti diretti a colpire possibili fenomeni criminali nelle fasi iniziali della loro diffusione, prima che si propaghino oltre la soglia della contrastabilità.
Questo cambio di strategia nel contrasto ai fenomeni criminali richiederà necessariamente una scrupolosa attenzione da parte del potere giudiziario, dal momento che l’anticipazione della sanzionabilità al momento della causazione del mero “pericolo” potrebbe agevolare forme di giustizia sommaria e compromettere fra gli altri, anche l’esercizio del diritto di difesa.
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