TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE I^ CIVILE
riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati:
dott. Guido RODA BOGETTI PRESIDENTE
dott. Aurelio CAPPABIANCA GIUDICE RELATORE
dott. Cesare de SAPIA GIUDICE
ha emesso il seguente
D E C R E T O
nel procedimento camerale iscritto al numero di ruolo 600 R.G. 1999, promosso
da
R.C.S. EDITORI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, e
DE BORTOLI Ferruccio, con il procuratore domiciliatario avv. Gilberto Vitale ed il procuratore avv. Silvia Rancati,
OPPONENTI
contro
VALOTI OLCESE Maria Teresa, con il procuratore domiciliatario avv. Maddalena Palladino ed i procuratori avv.ti Adriano Raffaelli e Raffaele Zallone,
e
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, con l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano,
OPPOSTI
*******
I) – Con ricorso in opposizione ex art. 29, 6° e 7° comma, l. 675/96 n. 675 depositato il 7 maggio 1999, la R.C.S. Editori s.p.a. e Ferruccio De Bortoli, editrice e direttore responsabile del quotidiano “Corriere della sera”, esponevano: che, con ricorso ai sensi dei precedenti comma dell’articolo summenzionato, Maria Teresa Valoti, vedova di Vittorio Olcese, aveva richiesto al Garante per la protezione dei dati personali di ordinare ai responsabili delle pubblicazioni del “Corriere della sera” che negli articoli del quotidiano non venisse attribuita ad altri che a sé la qualifica di “signora Olcese” e di adottare tutte le misure ritenute necessarie alla tutela del proprio diritto all’identità personale; che la Valoti fondava, in particolare, le proprie istanze sul rilievo che, nonostante reiterate diffide, gli articoli di cronaca politica e mondana del “Corriere della Sera” persistevano nel qualificare “signora Olcese” la prima moglie di Vittorio Olcese, Giuliana De Cesare, ancorché il relativo matrimonio con l’Olcese (contratto nel 1958) fosse stato dichiarato nullo dal Tribunale della Sacra Romana Rota sin dal febbraio 1976, nonché sulla considerazione che il conseguente collegamento alla propria persona delle opinioni, delle iniziative e delle amicizie della De Cesare comportava una grave distorsione della propria identità; che, con provvedimento emesso il 19 aprile e comunicato il 3 maggio 1999, il Garante aveva “acriticamente” accolto le richieste della Valoti, ordinando ad essi opponenti (che ne avevano disertato la convocazione per la ristrettezza dei termini di comparizione) di cessare il “comportamento illegittimo”, rettificando la registrazione o, comunque, la trattazione dei dati personali della ricorrente in modo tale da “individuare correttamente con l’espressione sig.ra Olcese soltanto la ricorrente Maria Teresa Valoti anziché la sig.ra Giuliana De Cesare”, nonché di divulgare la rettifica con pubblicazione, entro il 15 maggio 1999, di apposito comunicato sul “Corriere della sera”.
Premessa l’esposta narrativa, gli opponenti contestavano la legittimità del provvedimento del Garante in varia prospettiva e, invocata in via preliminare la sospensione della relativa esecuzione, ne chiedevano l’annullamento o la revoca, con vittoria di spese.
Disposta la sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, il ricorso in opposizione ed il decreto di fissazione dell’udienza di comparizione venivano dagli opponenti notificati, oltre che a Maria Teresa Valoti, anche al Garante, presso la sua sede romana.
In esito alla notificazione, si costituivano in giudizio, Maria Teresa Valoti e, per il Garante, l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano: entrambe contrastavano, nel merito, la fondatezza dell’opposizione; l’Avvocatura dello Stato deduceva inoltre, pregiudizialmente, la mancata instaurazione di valido contraddittorio nei confronti dell’Autorità rappresentata.
II) – In sintesi, gli opponenti censurano l’impugnato provvedimento del Garante, prospettandone l’illegittimità in relazione ai seguenti profili: a’) per violazione del contraddittorio e del diritto di difesa, in rapporto alla ristrettezza del tempo frapposto tra la notifica del ricorso (13 aprile) ed i termini accordati per il deposito di memoria difensiva e documenti presso l’Ufficio del Garante (16 aprile) e per l’audizione diretta (17 aprile); a”) per eccesso di potere, fondato sull’assunta estraneità alle competenze attribuite al Garante della diffusione di un dato personale, quale quello dedotto in contesa, meramente isolato e privo di qualsiasi destinazione all’inquadramento strutturale in archivio ed, altresì, sulla considerazione che, provvedendo sul ricorso della Valoti, il Garante, atteso lo specifico oggetto del contendere, si sarebbe arbitrariamente reso giudice della controversia tra Giuliana De Cesare e Maria Teresa Valoti Olcese sull’uso del cognome “Olcese”; a”’) per carenza di legittimazione attiva della ricorrente, sul presupposto dell’afferenza a Giuliana De Cesare e non a Maria Teresa Valoti dei dati oggetto del trattamento contestato; a””) per violazione dell’art. 21 Cost., riscontrata nei contenuti censori del provvedimento opposto.
In subordine, gli opponenti formulano eccezione d’illegittimità costituzionale degli artt. 29 l. 675/96 e 20 d.p.r. 501/98, in relazione agli artt. 24 e 97 Cost., per inadeguatezza delle forme di contraddittorio previste ai fini del procedimento davanti al Garante, nonché, ove ne risultasse suffragato un ambito d’applicazione non circoscritto al trattamento di dati strutturati in archivio, dell’intera normativa sulla privacy, in riferimento agli artt. 3, 21, 24, 25, 101, 102, 104 – 108, 111, 113 Cost., per le limitazioni alla tutela giurisdizionale di diritti fondamentali, che, inevitabilmente, ne discenderebbero.
L’opposta contrasta la prospettata illegittimità del provvedimento impugnato, sostenendo: b’) che all’eccezione relativa all’assunta violazione del diritto di difesa presenta carattere meramente strumentale, anche in considerazione del fatto che i difensori degli opponenti sono i medesimi che li hanno assistiti in una procedura ex art. 700 c.p.c. nei loro confronti, sullo stesso tema, in precedenza instaurato da Vittorio Olcese: b”) che il potere del Garante d’intervenire sulla questione propostagli trova fondamento nel fatto che è la stessa l. 675/96 a disporre esplicitamente (al primo comma dell’art. 1) che il trattamento dei dati personali deve svolgersi nel rispetto, in particolare, del diritto all’identità personale dei soggetti tutelati; b”’) che la propria legittimazione ad investire il Garante deriva dal fatto che gli articoli del “Corriere della sera”, identificando come “signora Olcese” la De Cesare nella divulgazione di fatti di cronaca a lei riferibili, comportano la violazione della propria identità personale; b””) che il provvedimento del Garante non presenta alcun contenuto censorio, giacché non implica l’ordine di non pubblicare notizie concernenti la signora De Cesare, ma, semplicemente, quello di pubblicarle corettamente.
L’opposta nega, peraltro, fondatezza alla introdotte questioni di legittimità costituzionale, facendo rilevare, quanto alla prima, che la speditezza, del resto caratterizzante anche altre peculiari forme procedimentali, non comporta di per sé stessa violazione del diritto di difesa e del contraddittorio e sottolineando, quanto alla seconda, la natura amministrativa del provvedimento del Garante e l’immancabile ricorrenza della garanzia giurisdizionale, se non altro in via d’opposizione alla determinazione del Garante.
L’Avvocatura distrettuale dello Stato, deduce per il Garante, inferendone il difetto di valido contraddittorio, la nullità della notificazione del ricorso introduttivo, in quanto effettuata presso la sede dell’autorità destinataria e non, in base alle prescrizioni di cui all’art. 11 r.d.l. 1611/33, presso l’Ufficio della competente Avvocatura. Prestata adesione alle argomentazioni ed alle conclusioni dell’opposta in merito alla legittimità del provvedimento impugnato, l’Avvocatura dello Stato contesta, inoltre, la fondatezza di tutte le eccezioni di costituzionalità sollevate dagli opponenti, sul presupposto che il Garante, non si sostituirebbe all’A.g.o. nella tutela dei diritti della personalità, ma si affiancherebbe ad essa nell’esercizio di un’attività di natura eminentemente amministrativa, in quanto investito del solo compito di controllare la correttezza (e non la legittimità) dell’utilizzo di dati personali inseriti in banche date o in archivi.
III) – Puntualizzati i termini della controversia, deve preliminarmente esaminarsi l’eccezione svolta dall’Avvocatura dello Stato, in quanto costituitasi nell’interesse del Garante, in ordine alla regolarità del contraddittorio instaurato nei confronti dell’Autorità rappresentata.
L’eccezione è infondata e va disattesa.
In proposito, appare decisivo rilevare l’assoluta superfluità, al fine del valido e compiuto radicamento del giudizio di opposizione ex art. 29, 6° e 7° comma, l. 675/96, della notifica del correlativo ricorso introduttivo al Garante e dell’instaurazione del contraddittorio nei suoi confronti.
Invero – nell’adottare i provvedimenti di cui all’art. 29, 1° – 5° comma, l. 675/96 (provvedimenti che, per il relativo carattere di decisioni contenziose su ricorso non-impugnatorio, non trovano rispondente in relazione ad altre figure di Autorità indipendenti) – il Garante per la protezione dei dati personali interviene a comporre, nell’ambito di competenza specificamente delineato e in regime di concorrenza alternativa con l’A.g.o. (cfr. l’ultima parte dei comma 1 e 2), conflitti intersoggettivi in posizione di assoluta terzietà. Quale che sia la natura che s’intenda riconoscere a detti provvedimenti, l’Autorità predetta assume pertanto, ai fini della relativa adozione, un ruolo di neutralità paragiurisdizionale, che priva in radice di qualsiasi giustificazione la sua partecipazione al rapporto processuale (destinato a restare circoscritto alle parti del contenzioso davanti ad essa esplicatosi in prima cura) relativo all’impugnativa giudiziale di seguito eventualmente introdotta ai sensi dei successivi comma del medesimo art. 29.
Deve, peraltro, rilevarsi che ogni eventuale irregolarità di contraddittorio nei confronti del Garante risulterebbe nella specie, in ogni caso, sanata dall’avvenuta costituzione dell’Autorità predetta, a mezzo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato territorialmente competente, con formulazione (nella memoria di costituzione 6 luglio 1999 e, altresì, nella replica 15 settembre 1999) di ampie controdeduzioni anche di merito. Costituisce, infatti, ius receptum (cfr., tra le altre, Cass. 21 ottobre 1995 n. 10.959, Cass. 27 marzo 1996 n. 2757, Cass. 3 ottobre 1997 n. 9654) che, in conseguenza dell’intervento “correttivo” di cui a Corte cost. 8 luglio 1967 n. 97, anche alla nullità della notificazione dipendente dall’inosservanza delle prescrizioni di cui all’art. 11, 1° e 2° comma, r.d. 1611/33 si applica il generale principio, espresso dall’art. 156 c.p.c., secondo il quale la nullità dell’atto non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato.
IV) – Esclusi vizi di contraddittorio nel presente giudizio di opposizione, occorre analizzare, per restare ai temi formali della controversia, le contestazioni svolte dagli opponenti sull’idoneità dei termini di convocazione loro assegnati dal Garante, rispetto al fine della predisposizione di un’adeguata difesa e della realizzazione, in prima istanza, di un equilibrato contraddittorio.
Al riguardo, è innegabile che i termini accordati dal Garante agli (attuali) opponenti per il deposito di controdeduzioni scritte (due giorni) e per l’eventuale audizione diretta (tre giorni), ancorché oggettivamente angusti, non possono considerarsi in contrasto con la disciplina legale, giacché le caratteristiche strutturali del procedimento davanti al Garante risultano normativamente improntate a criteri di estrema speditezza, tanto da contemplare, in ottica di silenzio-rigetto, l’adozione del provvedimento finale nel termine massimo, originariamente, di venti, attualmente, di trenta giorni dalla presentazione del ricorso (cfr. artt. 29, 4° comma, l. 675/96 e 20, 3° comma, d.p.r. 501/98 e d.lg. 281/99).
In ordine ai profili d’illegittimità costituzionale in proposito denunciati dagli opponenti – sospeso ogni definitivo giudizio (in quanto necessario solo eventualmente, in esito all’accertamento dell’effettiva rilevanza della questione sulla soluzione del caso concreto) – appare sufficiente limitarsi, in questa sede, ad alcune preliminari considerazioni di massima.
In particolare – atteso che, per contrastare l’eccezione, l’Avvocatura dello Stato sostiene (a pag. 6 della memoria di replica 15 settembre 1999, con proposizione che, tuttavia, disvela una qualche incoerenza rispetto alle posizioni conclusive) che il Garante ha semplicemente la funzione amministrativa “di accertare l’utilizzo corretto o non corretto (e non legittimo o illegittimo) dei dati personali inseriti in banche date o in archivi”, senza alcuna sostituzione della tutela giurisdizionale delle situazioni soggettive che vi risultassero implicate – merita, per un verso, considerare che, ove tale risultasse confermato il compito normativamente assegnato al Garante, la rispondenza ai canoni dell’art. 24, 2° comma, Cost. dell’embrionale contraddittorio previsto ai fini del correlativo procedimento, risulterebbe, con ogni probabilità, non difficilmente riconoscibile (anche in rapporto alla specificità del contenzioso ed alla meccanicità della connessa decisione), in funzione della previsione della facoltà d’impugnativa giurisdizionale del provvedimento finale (seppur solo nelle forme del rito camerale), con quella garanzia di doppio grado che risponde al requisito minimo prescritto dall’art. 111, 2° comma, Cost..
Ciò posto, si deve, per converso, in primo luogo constatare che, nel caso di specie, alla cognizione del Garante non è stato certamente devoluto un conflitto sulla mera materiale correttezza di dati personali, in funzione dei riflessi che derivano dalla loro attitudine alla conservazione in una qualsiasi sorta di banca dati, e nemmeno sulla legittimità del loro trattamento in rapporto alla categoria d’appartenenza, ma è stato, bensì, devoluto un conflitto sulla legittimità del trattamento di dati personali, prescindenti da qualsiasi finalità d’archiviazione, in relazione alla liceità della loro utilizzazione nell’esercizio di attività di cronaca giornalistica (con tutte le connesse implicazioni anche in tema di bilanciamento di situazioni soggettive egualmente protette a livello costituzionale).
Va, ancora, osservato che la questione introdotta dagli opponenti sull’aderenza al dettato costituzionale del contraddittorio garantito ai fini della tutela davanti al Garante, per l’incisivo sbilanciamento in danno del resistente dei tempi di difesa oggettivamente consentiti dalla rapidità della procedura, trova eco in perplessità d’analogo tenore diffusamente riscontrabili nell’ambito della dottrina processualcivilistica, in considerazione del carattere non meramente interinale o provvvisorio di detta tutela e del rapporto di concorrenza alternativa, con facoltà di scelta tuttavia unilateralmente rimessa al soggetto che si reputa leso nel diritto alla persona, che la lega all’ordinaria tutela giurisdizionale; perplessità, per taluno, non superabili nemmeno in forza della previsione dell’opposizione giurisdizionale in doppio grado, a causa del deficit di contraddittorio immanente alla sommarietà del rito camerale all’uopo prescelto, ritenuto intollerabile qualora si verta in materia di diritti confliggenti.
V) – 1. Come emerge anche da quanto appena riferito, l’esame del merito della controversia richiede, preliminarmente, l’identificazione dell’ambito di applicazione della l. 675/96 e dei limiti delle competenze dalla stessa legge, in conseguenza, attribuite al Garante.
2. In proposito, occorre innanzitutto affermare, in dissenso con quanto da taluno pure sostenuto in sede di primo commento, che la l. 675/96 – ancorché conclami in preambolo la “finalità” di garantire il “rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali nonché della dignità” della persona, “con particolare riguardo alla riservatezza ed all’identità personale” (cfr. il titolo dell’art. 1 ed il contenuto del relativo 1° comma) – non può essere né riguardata alla stregua di un vero e proprio “statuto generale della persona” né ritenuta più accentuatamente rivolta alla tutela della persona che alla disciplina sul trattamento dei dati.
Simili impostazioni appaiono, infatti, inficiate da un vizio di prospettiva, giacché confondono aspetti diversi e concettualmente infungibili, quali la ratio della normativa (ruolo, nella specie, testualmente assegnato alla protezione dei fondamentali diritti della persona: cfr. la rubrica ed il 1° comma dell’art. 1) e la sua sfera di operatività (nella specie, univocamente identificabile, alla luce del titolo e della complessiva disciplina della legge, nel fenomeno del “trattamento dei dati personali”); aspetti diversi, che solo complementarmente integrandosi concorrono a definire compiutamente il bene giuridico oggetto della tutela accordata: i diritti fondamentali della persona con specifico, ed esclusivo, riferimento alle implicazioni inerenti all’attività di “trattamento di dati personali”.
3. Sulla base dell’esposta premessa, ai fini della soluzione del problema, si rivela cruciale l’identificazione della portata, che, nel quadro della discipina comunitaria in cui s’iscrive (senza, tuttavia, costituirne tecnicamente attuazione), la l. 675/96 attribuisce alla locuzione “trattamento di dati personali”; e, per quanto qui più segnatamente rileva, acclarare se detta portata deve ritenersi circoscritta (come presupposto dagli opponenti) all’utilizzazione dei soli dati (e, cioé delle sole informazioni: v. art. 1, comma 2) comunque destinate a lasciar traccia in una qualche sorta d’archivio ovvero estesa (come sostenuto dall’opposta) anche a quelli, quali in particolare gran parte dei dati personali diffusi nell’esercizio dell’attività di cronaca giornalistica, non destinati ad alcuna sorta d’archiviazione, ed oggetto, quindi, di “trattamento” (per così dire, ad immediata consumazione) mediante diffusione meramente istantanea.
Al tal fine, va premesso che, diversamente da quanto dimostra d’intendere l’opposta, la Direttiva 95/46/CE circoscrive in modo inequivocabile il proprio ambito di applicazione al trattamento dei dati personali (anche in forma d’immagine o di suono: cfr. 14° considerando) comunque destinati all’archiviazione ancorchè non automatica ma semplicemente manuale.
Il tenore testuale dell’art. 3, è assolutamente univoco in tal senso (“Le disposizioni della presente direttiva si applicano al trattamento di dati personali interamente o parzialmente automatizzato nonché al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti o destinati a figurare negli archivi”), non diversamente, del resto, da quello delle premesse di cui ai “considerando” 15° e 27°.
Né, in tale quadro, sembra minimamente convincente il tentativo di estendere l’operatività della direttiva ai dati personali non organizzati in archivio in base al rilievo che la scelta comunitaria di assoggettare anche la stampa allo statuto della privacy comporta inevitabilmente la sottoposizione ad esso anche della diffusione (non infrequente ed, anzi, normale per il giornalista) di informazioni personali non destinate ad esser conservate in archivio.
Appare, infatti, ineludibile la considerazione che, se la Direttiva 95/46/CE sulla privacy prende in considerazione l’attività giornalistica (e ciò, peraltro, al solo scopo di assicurarle un trattamento preferenziale a garanzia della libertà di manifestazione di pensiero e del suo equilibrato bilanciamento con il diritti della personalità: v. il 37° “considerando” e l’art. 9), lo fa evidentemente con riferimento all’ambito di applicazione assegnatosi e, quindi, con riguardo ai dati personali oggetto dei grandi o piccoli archivi (anche fotografici o televisivi) strumentali all’esercizio dell’attività giornalistica e non anche a quelli non organizzati in insieme strutturato ed esclusivamente oggetto di “trattamento” mediante semplice ed immediata diffusione a scopo informativo.
4. Resta, quindi, da valutare se, ampliando la propria sfera d’azione rispetto alla direttiva comunitaria che ne costituisce la principale fonte d’ispirazione, la l. 675/96 abbia esteso il proprio ambito d’applicazione anche alla raccolta ed alla diffusione, a scopo informativo o comunque di esplicazione di pensiero, di dati personali non strutturati in archivio né destinati ad esserlo.
L’indicata evenienza non sembra, peraltro, poter essere convincentemente ancorata, come sostiene l’opposta, alla previsione del primo comma dell’art. 1 della legge. La necessità, in precedenza segnalata, di ravvisare in detta previsione la ratio, l’obiettivo della normativa (così come non consente di riguardare la legge, in funzione di essa, alla stregua di uno “statuto generale della persona”: v. sub n. 2) preclude ogni possibilità di riconoscere alla proposizione in essa contenuta carattere immediatamente e generalizzatamente precettivo.
Posto che la normativa comunitaria e quella statale non attribuiscono latitudine diversa alla nozioni di “dato” ed a quello di “trattamento” (da entrambe, in sostanza, rispettivamente intese quale informazione di qualsiasi genere, e consistente quindi anche in suono o un’immagine, riferibile ad una determinata persona e quale operazione di qualsiasi tipo, dalla raccolta alla diffusione, avente ad oggetto dati personali), sintomo di una maggior dilatazione dell’orizzonte operativo della l. 675/96 sembra poter essere ravvisato, per differenza, nel fatto che il testo normativo interno, diversamente da quello comunitario, è privo di qualsiasi esplicita limitazione della propria operatività al trattamento dei soli dati comunque strutturati. Si tratta, tuttavia, di un sintomo, di per sé stesso, non ancora decisivo, soprattutto ove si consideri che l’esigenza di maggior tutela dei diritti della personalità che le normative comunitaria ed interna mirano a soddisfare è incontrovertibilmente correlata al fenomeno dell’evoluzione e della diffusione delle tecniche di archiviazione dei dati.
Indice più significativo, ancorché indiretto e quasi surrettizio, dell’estensione dell’operatività della l. 675/96 al trattamento del dato anche singolo e non strutturato sembra potersi, invece, cogliere nella circostanza che, rendendo la legge medesima fonte del Codice deontologico dei giornalisti (v. l’art. 25) e conferendo in relazione ad esso penetranti poteri al “Garante per la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali”, il legislatore dimostra di aver voluto attribuire alla legge in esame ruolo e natura di vera e propria Carta dell’informazione, in quanto tale tendenzialmente destinata a regolarla in ogni suo profilo ancorché scollegato dalle implicazioni attinenti al tema dell’archiviazione dei dati.
5. Non può, peraltro, sottacersi che una lettura estensiva del relativo ambito di applicazione viene inevitabilmente ad aggravare l’esposizione della l. 675/96 sul piano della legittimità costituzionale, giacché (come emerso in relazione alle perplessità prospettate sulla legittimità costituzionale del contraddittorio previsto al fine del(l’alternativo ad opzione unilaterale) sistema di tutela davanti al Garante, cfr. sub IV, e come emergerà in prosieguo a proposito della contestata rispondenza alla previsione dell’art. 21, 2° comma, Cost. dei poteri attribuiti al Garante dall’art. 29 l. 675/96 ove incidenti su attività di cronaca giornalistica, cfr., infra, sub VIII) la “tenuta” costituzionale del sistema introdotto, nell’integrità delle sue articolazioni, appare (salvo emendamenti in itinere nell’ottica della delega di cui alla l. 676/96) tanto più certa quanto più il relativo ambito applicativo resti aderente alla stretta specificità del fenomeno che ne costituisce l’effettiva ragion d’essere.
VI) – Pur a dover propendere per l’estensione dell’ambito di applicazione della l. 675/96 ad ogni e qualsiasi dato personale (e, quindi, anche al dato non strutturato in archivio), l’opposizione dispiegata dalla R.C.S. Editori e da Ferruccio De Bortoli si rivela, non di meno, fondata e meritevole di accoglimento.
In proposito, occorre premettere che, in punto di fatto, risulta oggettivamente attestato dalle emergenze processuali: a) che i contestati articoli del “Corriere della Sera” riferiscono ed intendono riferire vicende esclusivamente riguardanti la vita e l’attività di Giuliana De Cesare; b) che in detti articoli la De Cesare è identificata anche con il cognome “Olcese”; c) che tale identificazione non è frutto di un’autonoma determinazione redazionale, ma è indotta dal fatto che è la stessa Giuliana De Cesare, che (nonostante l’intercorsa, ed ormai risalente, conciliazione della controversia sull’uso da parte sua del cognome “Olcese”), continua, nell’attività che la porta agli onori della cronaca, a presentarsi al pubblico, a qualificarsi anche in siti Internet ed a firmare con il cognome “Olcese”.
In particolare, la circostanza da ultima indicata (del resto incontrastata: cfr. la memoria di costituzione della Valoti a p. 19) si desume inequivocamente dall’ampia allegazione di dispacci di agenzia e di estratti di articoli delle più disparate testate (prodotti anche dall’opposta), che, non diversamente dai contestati articoli del “Corriere della Sera”, riferiscono alla De Cesare il cognome “Olcese” (v. docc. 6 – 10 del fasc. di parte opponente e 21 del fasc. di parte opposta).
Alla luce delle rilevate circostanze, non immeritevoli di considerazione si rivelano, innanzitutto, le contestazioni svolte dalle opponenti in ordine alla legittimazione attiva di Maria Teresa Valoti Olcese alla proposizione dell’istanza avanzata al Garante e da questi accolta.
Come osservato in precedenza (cfr. sub n. 2), la l. 675/96, non configurando uno “statuto generale della persona”, non si applica generalizzatamente ad ogni situazione soggettiva comunque riconducibile al novero dei diritti della personalità, ma soltanto a quelle tra le predette situazioni soggettive che rientrano nell’ambito di applicazione della l. 675/96 come normativamente delineato in relazione al fenomeno del “trattamento di dati personali”. Ne deriva che, a differenza di quanto presuppone l’opposta, la circostanza che essa agisca a tutela del diritto all’identità personale non la legittima, di per sé stessa, ad invocare la normativa sulla privacy e la tutela del Garante ivi prevista.
Dalle nozioni di “trattamento”, di “dato personale” e d'”interessato” normativamente definite al secondo comma dell’art. 1 della l. 675/96 e dalla loro correlazione con la previsione dei successivi artt. 13 e 29, emerge, d’altro canto, che soggetto tutelato dalla legge in esame, in quanto tale legittimato ad investire il Garante ai sensi del relativo art. 29, è esclusivamente la persona, comunque identificata o identificabile, costituente l’oggettivo termine di riferimento del “dato” e, cioé, dell’informazione “trattata” (raccolta, registrata …, diffusa, ecc.) e che, di conseguenza, nel “trattamento di dati personali” consistente nella diffusione di informazioni a scopo di cronaca giornalistica, soggetto tutelato dalla legge sulla privacy e legittimato alla proposizione del ricorso al Garante è solo la persona di cui l’informazione giornalistica obiettivamente riferisce, colui che, comunque identificato o identificabile (ancorché, per avventura, in modo inappropriato e, magari, interferente con altrui diritti), costituisce l’effettivo termine di riferimento della notizia propalata.
Si deve, quindi, necessariamente dedurre che, dal momento che gli articoli del “Corriere della Sera” di cui l’opposta si duole riferiscono inequivocabilmente della persona di Giuliana De Cesare e non di quella di Maria Teresa Valoti (anche se, per questa, in modo errato e lesivo di propri diritti fondamentali) è solo la prima ad essere astrattamente legittimata a ricorrere al Garante per porre rimedio ad eventuali vizi del “trattamento”, mentre la seconda, priva di legittimazione a ricorrere al Garante per l’inibizione o la modifica del “trattamento” medesimo (che non la riguarda), non può che affidare agli ordinari rimedi giurisdizionali pretese che ritenga di poter avanzare in relazione ad eventuali violazioni di propri diritti.
VII) – Alla luce delle circostanze di fatto sopra evidenziate, l’opposizione proposta dalla R.C.S. Editore e da Ferruccio De Bortoli si rivela, in ogni caso, fondata e meritevole di accoglimento, perché, il “trattamento” contestato da Maria Teresa Valoti Olcese e censurato dal Garante – anche a volerlo ritenere riferibile all’opposta e a voler conseguentemente ritenere quest’ultima attivamente legittimata alla proposizione del ricorso introduttivo – non risulta realizzato in violazione delle prescrizioni di cui alla l. 675/96.
Essendo incontestabilmente inerente all’esercizio dell’attività giornalistica e non incidente su dati di natura “sensibile” di cui all’art. 22 l. 675/96 (sicché è da escludere l’operatività sia della previsione dell’art. 25 della legge citata sia di quella dell’art. 5 del Codice di deontologia), il “trattamento” in esame deve ritenersi regolato, per i profili che qui interessano, dal combinato disposto dagli artt. 12 e 20 lett. d) l. 675/96, che affranca da ogni vincolo il trattamento dei dati personali effettuato nell’esercizio della professione giornalistica, per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, entro i limiti del diritto di cronaca ed in applicazione del codice di deontologia.
Ciò posto, deve considerarsi che il “trattamento” censurato – consistendo nella divulgazione a fini giornalistici di eventi politici e cultural-mondani, con le connotazioni in essi oggettivatesi in conseguenza del comportamento dalla protagonista (come si è già visto, il “Corriere della sera”, non diversamente da altri organi di stampa, attribuisce alla De Cesare, nel riferirne le vicende, il cognome “Olcese”, perché è questa a qualificarsi ed, addirittura, a firmarsi come tale nella propria attività pubblica) – costituisce espressione di esercizio di diritto di cronaca corretto sotto ciascuno dei canonici criteri della “verità”, dell'”interesse pubblico” e della “continenza” ed, altresì, aderente alle prescrizioni del codice di deontologia.
Né per escludere la ricorrenza del requisito della “verità” appare convincente il richiamo, in via d’analogia, alla giurisprudenza per la quale, in relazione all’intervista giornalistica, la “verità” non è espressa dalla fedeltà della riproduzione delle dichiarazioni raccolte ma dal contenuto informativo di queste, sicché al richiamato requisito non risponderebbero gli articoli del “Corriere della Sera” che, nel riferirne le vicende, identificano come “Olcese” Giuliana De Cesare, aderendo acriticamente al suo modo di presentarsi al pubblico.
Al riguardo, deve, invero, osservarsi che, nella prospettiva richiamata dall’opposta, la responsabilità del giornalista per il contenuto diffamatorio delle dichiarazioni raccolte in sede d’intervista non appare sempre configurata come automatica, ma è sovente, implicitamente o esplicitamente, correlata alle specifiche caratteristiche di fatto della fattispecie (natura delle dichiarazioni diffamatorie, modalità con cui vengono riportate, ruolo e qualità personali dell’intervistato, circostanze in cui l’intervista viene rilasciata), in funzione delle quali soltanto è possibile cogliere la ricorrenza o meno, in concreto, dei requisiti del corretto esercizio del diritto di cronaca (per la giurisprudenza di legittimità, v., esplicitamente in tal senso, Cass. 17.2.1995, Bardi e 25.1.1999, Ferrara).
Si deve, inoltre, rilevare che la proposta assimilazione delle due situazioni al fine di estendere alla seconda canoni ermeneutici sviluppatisi in relazione alla prima non risulta condivisibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, per il rilievo che il diverso peso specifico degli interessi che dette situazioni, rispettivamente, contrappongono al diritto di cronaca (reputazione e identità personale: la prima delle quali, soltanto, ritenuta dall’ordimento meritevole di presidio penale), ben potrebbero giustificare un differente punto di bilanciamento con il diritto antagonista. In secondo luogo, per il fatto che, nella vicenda in esame, l’oggetto degli articoli giornalistici asseritamente lesivi non è costituito da soggettive valutazioni altrui esplicitamente offensive, quanto, piuttosto, da eventi come obiettivamente emergenti dalla realtà fenomenica, che l’organo d’informazione non può che registrare e riferire come percepiti.
Se ne inferisce che il “trattamento” oggetto delle contestazioni di Maria Teresa Valoti Olcese deve ritenersi, in ogni caso, pienamente coperto dalla “scriminante” prevista dalla l. 675/96 per i “trattamenti” realizzati nell’esercizio dell’attività giornalistica.
VIII) – Attesone lo specifico contenuto, l’opposto provvedimento del Garante, risulta, peraltro, inammissibilmente collidente con il precetto costituzionale di cui all’21, 2° comma, Cost..
Nel prescrivere che “la stampa non può essere sottoposta ad autorizzazioni o censure”, la richiamata disposizione costituzionale pone il divieto assoluto, alla pubblica autorità, di adottare provvedimenti diretti ad esercitare controlli o assensi preventivi sul contenuto delle pubblicazioni (cfr. Corte cost. 115/57, 44/60, 159/70, 93/72, 38/73), così precludendo, imprescindibilmente, a qualsiasi autorità (anche giurisdizionale) di prescrivere preventivamente (in positivo o in negativo) il contenuto di una notizia di stampa e le modalità con cui essa deve essere data.
Per effetto del legame di funzionale complementarità con la previsione del terzo comma del medesimo art. 21 Cost., la disposizione in esame costituisce, in particolare, espressione dell’attenzione del Costituente per il ruolo che la stampa assume in democrazia quale strumento della libertà di pensiero e della sua conseguente determinazione di regolamentare il conflitto tra interesse (collettivo o individuale) a misure di cautela preventiva rispetto a possibili illeciti perpetrati a mezzo stampa ed interesse alla circolazione della stampa, lasciando facoltà al legislatore ordinario di privilegiare il primo soltanto con previsione espressa, solo con la misura del sequestro e, peraltro, esclusivamente in caso di delitti o di violazione di norme sull’indicazione dei responsabili; così, per converso, sancendo, in ogni altro caso, la prevalenza dell’interesse alla circolazione della stampa e la possibilità d’intervenire su illeciti ad essa eventualmente connessi solo, a posteriori, in ottica risarcitoria.
Sulla base di tali rilievi, appare evidente che – nell’ordinare agli opponenti, in relazione alla loro attività di cronaca giornalistica, di cessare il “comportamento illegittimo” e d'”individuare … con l’espressione sig.ra Olcese soltanto la ricorrente Maria Teresa Valoti anziché la sig.ra Giuliana De Cesare” – il provvedimento impugnato (promanante da un’autorità nemmeno giurisdizionale, ma amministrativa, ancorché indipendente), sancendo in via preventiva e sotto comminatoria penale (cfr. l’art. 37 l. 675/96) le modalità cui dovranno conformarsi ulteriori articoli di cronaca del “Corriere della sera” sul conto di Giuliana De Cesare, si pone in insanabile contrasto con il richiamato precetto costituzionale, e si rivela conseguentemente, anche sotto tale profilo, illegittimo.
Dal momento che la rilevata illegittimità non potrebbe che afferire anche alla norma ordinaria da cui si ritenesse che il provvedimento indefettibilmente promani, emerge qui (come anticipato sub V n. 5) un ulteriore profilo per il quale la lettura estensiva dell’ambito di applicazione della l. 675/96 suggerita dalle considerazioni in precedenza espresse sub V, tende ad aggravare l’esposizione della normativa sul versante della legittimità costituzionale.
I poteri coercitivi attribuiti al Garante dall’art. 29 l. 675/96 – se, per quanto detto, sono del tutto incompatibili con il precetto costituzionale, ove incidenti su “trattamenti” consistenti nella “diffusione” d’informazioni a fini giornalistici – rivelano ai fini considerati una “tenuta” certamente maggiore (almeno nella prospettiva di cui a Corte cost. 38/73), ove incidano su “trattamenti”, che, concernendo “dati” destinati alla conservazione in archivio, si concretino in attività solo strumentali e propedeutiche alla pubblicazione giornalistica.
IX) – Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impongono l’accoglimento dell’opposizione e l’annullamento del provvedimento opposto, mentre in tali determinazioni restano assorbite le dedotte questioni di legittimità costituzionale.
In base al criterio della soccombenza, l’opposta va condannata a rivalere gli opponenti delle spese di procedura, liquidate come in dispositivo. Ricorrono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese in relazione al rapporto processuale intercorso tra gli opponenti ed il Garante.
P. Q. M.
visti gli artt. 29 l. 675/96 e 737 e ss. c.p.c.
ogni diversa istanza, deduzione, eccezione disattesa;
– annulla il provvedimento 19 aprile 1999 emesso dal Garante per la protezione dei dati personali, ad istanza di Maria Teresa Valoti Olcese, nei confronti della s.p.a. R.C.S. Editore e di Ferruccio De Bortoli;
– condanna Maria Teresa Valoti Olcese a rivalere la R.C.S. Editore s.p.a. e Ferruccio De Bortoli delle spese di procedura liquidate in complessive 7.000.000;
– dichiara interamente compensate le spese in relazione al rapporto processuale intercorso tra gli opponenti ed il Garante;
manda alla Cancelleria per la comunicazione alle parti.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 27 settembre 1999.
Il presidente
Possibly Related Posts:
- Chatbot troppo umani, i rischi che corriamo
- Chi ci protegge dal dossieraggio tecnologico?
- Webscraping e Dataset AI: se il fine è di interesse pubblico non c’è violazione di copyright
- Perché Apple ha ritirato la causa contro la società israeliana dietro lo spyware Pegasus?
- Le sanzioni UE ad Apple e Google aprono un altro fronte nella guerra contro Big Tech (e incrinano quello interno)