In un altro passo del certamente apocrifo decreto-legge attribuito al governo si legge (fra parentesi le parti eliminate dall’ignoto estensore) che
ART. 3 – (Misure urgenti di carattere regionale o infraregionale)
1. Fermo quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento (ovvero di attenuazione) del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre (ovvero sospendere), limitatamente a detti ambiti territoriali, l’applicazione di una o piu? delle misure di cui all’articolo 1, comma 2,
rincarando la dose al comma 2, dove questo potere viene attribuito addirittura anche al sindaco
2. Il Sindaco, negli stessi casi di sopravvenienze cui al comma 1, puo? introdurre ovvero sospendere nel territorio comunale, con propria ordinanza, l’applicazione di una o piu? delle misure di cui all’articolo 1, comma 2
Si tratta chiaramente di una norma-pezza-a-colore che, nell’intenzione dell’apocrifo legislatore, serve a risolvere il conflitto fra governo centrale e regione (come Lombardia, Abruzzo, Marche, Puglia e Campania) hanno emanato provvedimenti riservati all’esecutivo. Le emergenze di protezione civile e la gestione di ordine e sicurezza pubblica inclusa quella sanitaria sono – infatti e comprensibilmente – da gestire in modo centrale e centralizzato per evitare “fughe in avanti” e “sorpassi a destra” come quelli che si sono puntualmente verificati.
E’ vero che, grazie a giochi di parole come “la pubblica sicurezza è del governo, la sicurezza urbana è del sindaco” (art. 54 testo unico enti locali) e a interpretazioni forzatamente estensive del concetto di autonomia sanitaria delle regioni” tutto si può giustificare. Ma il dato di fatto è che l’apocrifo articolo 3 crea un problema di violazione dell’articolo 25 della Costituzione, quello che stabilisce che nessuno può essere punito se un fatto non è previsto dalla legge come reato.
Se i provvedimenti emanati da regioni e comuni, acquisiscono il potere di derogare direttamente a quelli dell’esecutivo vuol dire che la responsabilità penale e quella per violazione di sanzioni amministrative dipenderà anche dalle regolamentazioni locali e non – come dovrebbe essere – dalla sola legge nazionale. Come dire: paese che vai, reato che trovi.
Concettualmente parlando, non ho preconcetti sulla ridefinizione dei rapporti fra Stato, Regioni e Comuni nelle attribuzioni di ordine e sicurezza pubblica. Se si decide che il modello deve essere quello basato su minieserciti locali che rispondono al presidente della Regione, minipolizia di sicurezza che risponde al sindaco e minitribunali che applicano la legge del luogo, va bene così.
Ma allora questa decisione deve essere adottata in modo chiaro, cambiando – almeno – la Costituzione, il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e relativo regolamento, il Testo unico sugli agenti e ufficiali di pubblica sicurezza, legge quadro sull’ordinamento della polizia municipale e riducendo le attribuzioni dei prefetti.
Insomma: bentornati nel Medioevo, dove i feudatari legiferavano, amministravano la giustizia ed esigevano le tasse, mentre l’Impero cadeva a pezzi.
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