Corretta la considerazione del Garante dei dati personali sul rischio che l’uso di Microsoft Teams possa comportare l’acquisizione di metadati relativi alle parti coinvolte nell’udienza penale a distanza, come anche condivisibile la preoccupazione delle camere penali sulla scomparsa della fisicità dell’udienza. Ma ci sono due questioni che non vengono affrontate da chi si sta occupando di trovare un modo di celebrare le udienze penali in tempi di emergenza sanitaria.
La prima questione è di ordine generale: dopo la sicurezza e le indagini, stiamo consegnando anche la gestione della giustizia nelle mani di soggetti privati e per di più extracomunitari. Non è (solo) una questione di tutela dei dati personali, ma di autosottomissione al controllo tecnologico, in termini di costi diretti e indiretti, alle scelte commerciali di un’azienda e di rischio geopolitico in forza del quale – come già accaduto con Google e Adobe – una direttiva governativa può bloccare l’uso di determinati software in Paesi nemici o non più (abbastanza) amici.
La seconda questione è più tecnica, ma può essere compresa soltanto da chi ha pratica dello svolgimento dell’udienza penale.
Il processo penale, come il teatro, è fatto di tempi e dunque di riflessi. Se una richiesta non è formulata al momento giusto, la parte decade irrimediabilmente. Se l’eccezione su una produzione documentale è formulata anche solo con un attimo di ritardo, oramai la il contenuto è entrato nel “patrimonio conoscitivo del giudice”. Se il teste renitente o bugiardo non può essere incalzato dall’avvocato o dal pubblico ministero ha il tempo di pensare a come sostenere le sue bugie. Per non parlare, poi, dei “trucchi” utilizzati da tutte le parti per minare l’efficacia dell’azione accusatoria o difensiva che si basano, appunto, sullo spezzare il ritmo dell’azione avversaria.
Questi comportamenti, che distinguono il buon difensore o il buon inquisitore da quelli meno abili, presuppongono la capacità di “prendere il tempo” all’avversario nè più nè meno come farebbero un attaccante che dribbla il difensore con una “finta di corpo” oppure un pugile che colpisce l’altro combattente con un diretto d’incontro.
Nell’udienza a distanza tutto questo non è possibile perchè la videoconferenza non consente un’interazione dialettica ma costringe all’esposizione “seriale”: prima parla uno, poi l’altro, poi l’altro ancora. Sicuramente questo modo di fare consente uno svolgimento ordinato dell’udienza, ma presuppone che le parti, TUTTE le parti, si comportino in modo formalmente e sostanzialmente corretto, evitando di strumentalizzare i limiti oggettivi dell’uso della videoconferenza nel processo penale.
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