La legislazione di emergenza, in emergenza, non funziona perchè ci sono emergenze da gestire.
Sembra una (cattiva imitazione) delle battute di Totò, e invece è la sintesi del decreto 416/2020 pronunciato dalla Quinta Sezione del TAR Campania pubblicato il 18 marzo 2020.
Non si tratta – lo dico per i non addetti ai lavori – di un ennesimo provvedimento governativo, ma di una decisione giudiziaria assunta in un procedimento d impugnazione dell’ordinanza della Regione Campania n. 15/2020 che impone limitazioni e restrizioni all’esercizio di diritti costituzionali come la libertà di circolazione.
La decisione riguarda una aspetto centrale della legislazione di emergenza: la possibilità o meno per una Regione di emanare provvedimenti che impongono misure per disciplinare “situazioni regionalmente localizzate” pur essendo stata dichiarata un’emergenza nazionale di protezione civile.
Rigettando la richiesta di sospensione dell’ordinanza, il TAR Campania esprime in quattro righe questo principio:
Nella valutazione dei contrapposti interessi, nell’attuale situazione emergenziale a fronte di limitata compressione delle situazione azionata, va accordata prevalenxza alle misure approntate per la tutela della salute pubbblica.
Tradotto: è vero che l’ordinanza regionale comprime diritti costituzionali, ma lo fa “solo un pochino” e quindi, vista la situazione di emergenza, intanto il provvedimento continua ad avere efficacia, poi, a “bocce ferme”, si vedrà.
Questo decreto è lo specchio della distanza abissale che separa la legge dalla vita. Delibere, decreti, ordinanze e gli altri parafernalia giuridici addobbano l’Istituzione di un’armatura di rigore e gerarchia per andare in guerra contro l’emergenza, e poi un giudice – come il bambino de Gli abiti nuovi dell’imperatore – dice candidamente la verità: il re è nudo.
I fondamenti della legislazione di emergenza sono chiari e sono contenuti nell’articolo 120 della Costituzione: l’emergenza nazionale è di esclusiva competenza del Governo, quindi, tutte le altre norme vanno lette sulla base di questo presupposto.
Ci si potrebbe chiedere: sarebbe stato difficile inserire questo principio nella normativa vigente, in modo da evitare i contrasti fra Governo ed Enti locali di cui siamo testimoni?
No, non è difficile, tanto che sia il TULPS (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, articolo 214 e seguenti), sia il Codice della protezione civile (articolo 7 comma 1) parlano rispettivamente di “pericolo pubblico” e di “emergenza di rilievo nazionale”. Entrambi provvedimenti distinguono emergenze nazionali da emergenze locali, ma mentre il TULPS ne affida la gestione, rispettivamente, al Ministro degli interni e ai prefetti, il Codice della protezione civile omette di dire chiaramente che (o se) l’emergenza di rilievo nazionale prevale su quelle regionali o locali.
Il problema, però, è nell’interpretazione.
Se si legge la norma ritenendo che in caso di emergenza nazionale gli enti locali non hanno autonomia e l’unico autorizzato a “legiferare” è l’esecutivo, allora l’ordinanza campana, come quelle lombarde e abruzzesi, è illegittima. Se, invece, si ritiene che pure in caso di emergenza nazionale gli aspetti locali possono essere gestiti in autonomia dalle Regioni e dai Comuni, allora le ordinanze regionali sono legittime.
A questo tavolo di potenti, la parte del convitato di pietra è rappresentata dai diritti costituzionali che, sulla carta, possono essere limitati solo dalla legge, della quale però – come dice il TAR Campania – non possiamo preoccuparci in questo momento: c’è un’emergenza di salute pubblica.
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