La paralisi della giustizia, che si cerca di superare con protocolli fantasiosi e ricorso alle “nuove tecnologie” ha un effetto molto concreto sulla vita di cittadini e imprese.
I primi non possono difendersi dalle sanzioni ingiustamente applicate da “zelanti” operatori e le seconde, quelle virtuose che nonostante tutto hanno deciso di continuare ad onorare i debiti pagando stipendi e fornitori, non possono recuperare i crediti che vantano nei confronti dei tanti spregiudicati che “per colpa del virus” hanno sospeso a tempo indeterminato i pagamenti pur dovuti.
La giustizia penale ha delle logiche e delle esigenze particolari che – giustamente – soffrono della remotizzazione del processo. Ma nel caso della giustizia civile e amministrativa possono e devono essere gestire a distanza in tutto ciò che lo consente.
Già “in tempo di pace” avviarsi lungo la strada della giustizia significava iniziare un viaggio incerto per durata ed esito, ma farlo adesso significa avere meno possibilità di arrivare a destinazione del kafkiano “Messaggio per l’imperatore“.
Decine di migliaia di persone, oggi, sono sanzionate per violazione delle misure di contenimento dell’infezione virale e altre lo saranno nei giorni a venire. Molti meritano senz’altro di essere puniti – anche penalmente – ma tanti hanno altrettanto certamente subito contestazioni ingiuste o scorrette. E anche se possono consultare un un avvocato a distanza, come possono evitare che le sanzioni diventino esecutive se non è possibile impugnarle davanti al giudice di pace che non accetta il deposito telematico degli atti? Certo, possono inviare gli scritti difensivi all’autorità anche per posta ordinaria e nessuno – ovviamente – potrebbe sanzionarli per essere usciti di casa e avere contribuito alla creazione di assembramenti negli uffici postali. Certo, i termini giudiziari sono sospesi, ma quelli amministrativi?
Breve: avere bloccato di fatto la possibilità di chiedere una revisione del giudizio di un’autorità amministrativa che è autorità non per questo ha ragione “a prescindere” è un atto di grave e inutile limitazione della libertà dei cittadini.
Le imprese, dal canto loro, non hanno una sorte diversa.
Già prima del COVID-19 ampie parti del processo civile non richiedevano realmente la presenza di giudici ed avvocati. Persino in udienza – nella quale a norma di codice il cancelliere verbalizza le dichiarazioni delle parti – si è diffusa la prassi del “preverbale” cioè della dichiarazione anticipata di quello che ciascuno intende comunicare al giudice. E per quanto riguarda il recupero dei crediti è già possibile arrivare quantomeno al decreto ingiuntivo telematico.
Non sono un civilista, ma non mi sembra inverosimile chiedere di porre fine alla finzione dell’udienza civile, trasformandola in uno scambio di atti a distanza (incluse le dichiarazioni testimoniali raccolte dagli avvocati) e prevedere la presenza fisica solo per chiarimenti sulle dichiarazioni rese da testimoni e consulenti. E non mi sembra impossibile arrivare ad eseguire i pignoramenti su conti correnti, mobili registrati e beni immobili in via totalmente digitalizzata, come anche le aste giudiziarie.
Non ci vogliono “commissioni di studio” o “tavoli di lavoro” per ottenere questi risultati. Basta coinvolgere quegli avvocati che – esercitando sul serio la professione sul campo – sono in grado di dire esattamente quali sono i punti da modificare e in che modo, ed emanare un decreto-legge che consenta di compiere questa riforma epocale con interventi mirati, invece che con l’ennesima “riforma di sistema”.
Ma di queste cose da fare in emergenza non si può parlare perchè nessuo ascolta. C’è un’emergenza da gestire.
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