Le sanzioni penali applicabili per violazione diretta o indiretta di norme legate all’emergenza COVID-19 afferiscono essenzialmente a tre ambiti:
- mancato rispetto delle prescrizioni di cui ai DPCM 8, 9 e 11 marzo 2020,
- violazione delle norme a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (D.lgs. 81/08),
- violazione delle norme sul divieto di controllo a distanza dei dipendenti nel caso di telelavoro.
Nel primo caso, i reati contestabili sono l’inosservanza dell’ordine dell’autorità (art. 650 c.p.) e la falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 495 c.p.). A questo proposito, è fondamentale ricordare che l’onere della prova rispetto alla commissione del reato è e rimane a carico dell’autorità giudiziaria. Ne consegue che l’autodichiarazione richiesta dalla normativa emergenziale non implica anche l’obbligo di conservare le “prove” del suo valore di verità. Se, dunque, l’operatore di polizia che raccoglie l’autodichiarazione non verifica, nell’immediatezza, la sua veridicità (e questo a prescindere dall’effettiva possibilità di farlo), successivamente non si potrà richiedere all’indagato di fornire evidenza di quanto dichiarato.
Nel secondo rientrano, ad esempio, i reati di lesioni colpose per mancata adozione di prescrizioni per le gestione del rischio biologico (e dunque: omesso adeguamento del DUVRI e conseguente danno subito dal lavoratore ). L’elemento principale che condiziona la responsabilità penale del datore di lavoro è innanzi tutto l’elemento “oggettivo” dell’avere o meno adottato misure adeguate rispetto al rischio (anche residuo) al quale è esposto il lavoratore. Il secondo elemento è il merito – cioè l’efficacia concreta – della misura prescritta dal responsabile della sicurezza e prevenzione. Quindi, se a seguito di una adeguata motivazione, venisse prescritto il monitoraggio continuo dello stato di salute dei dipendenti per poter tutelarne in prima battuta la salute e (successivamente) mettere a disposizione dell’autorità sanitaria questi dati, non si potrebbe invocare – per esempio – una violazione quantomeno penale della normativa sul trattamento dei dati personali. Mancherebbe il dolo (fine di provocare danno o trarre profitto) e anche le sanzioni amministrative in materia sarebbero difficilmente configurabili attesa la necessità, da un lato, di tutelare il bene salute e, dall’altro, di rispettare una prescrizione che, se violata, implicherebbe una sanzione penale.
Il terzo caso è molto più complesso perchè l’emergenza sanitaria ha costretto all’attivazione del lavoro a distanza, non per scelta del datore di lavoro ma per obbligo . o meglio “suggerimento – normativo. Questo significa che non c’è stato il tempo di organizzarsi per rispettare le norme che – nonostante le deroghe – sono pienamente vigenti, come appunto quelle sul controllo a distanza. Si pone dunque il tema dell’efficacia scriminante della violazione fattuale (ma non volontaria) degli articoli 4 e 4bis dello Statuto dei lavoratori, e di quelle del Codice dei dati personali. Non sarebbe pensabile, a fronte dell’adozione in emergenza di meccanismi per il telelavoro, contestare la mancata revisione delle politiche trattamento dei dati di dipendenti o l’adozione di ulteriori misure di sicurezza. Queste attività richiedono tempo ma – soprattutto – risorse organizzative ed economiche: già solo un’impresa con qualche centinaio di dipendenti dovrebbe impiegare settimane per dotare i dipendenti di strumenti aziendali (PC, SIM, tablet e smartphone) o per configurare gli apparati dei dipendenti. Figuriamoci cosa accad(rebb)e quando i numeri dei dipendenti diventano ben maggiori.
In sintesi, dunque, la violazione fattuale di norme penali in relazione ai comportamenti adottati dalle aziende in condizioni di stato di emergenza (dichiarato per legge) non implica necessariamente e automaticamente la responsabilità del datore di lavoro che va accertata caso per caso, e sempre a cura dell’autorità procedente.
Attenzione, però, perchè questa non è una scorciatoia per violare impunemente la legge dal momento che qualsiasi scelta organizzativa venisse adottata dovrà in ogni caso essere adeguamente motivata e giustificata, non potendosi limitare a sostenere che una determinata (non)scelta à stata adottata “per colpa del virus”.
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