Fra le tante scienze che sono state maltrattate a causa del COVID-19, la statistica è senz’altro quella che più di altre a subito il destino peggiore. Da mesi veniamo bombardati da analisi e “letture” dei fatti basati su confusioni concettuali, dati inattendibili ed errori grossolani.Il primo – e fondamentale – errore di pensiero commesso nell’analisi dell’evoluzione COVID-19 è pensare che la “curva” dei contagi sia frutto di una “formula” (tipo, per capirci, la celeberrima y=ax2+bx+c che popolava gli incubi dei liceali tetragoni alla geometria analitica) quando invece è costruita sulla base della rilevazione periodica di dati. La differenza è sostanziale perchè nel primo caso la curva è “predittiva” nel senso che consente di calcolare i valori delle coordinate in qualsiasi punto della curva stessa. Nel secondo caso, invece, la curva è “ricognitiva”, consente cioè di avere “valori istantanei” ma senza che il passato e il presente consentano di dire qualcosa sul futuro.
A questo, si aggiunge l’inattendibilità dei dati che generano le “curve”: il numero dei contagiati è calcolato per addizione e non per analisi statistica di un campione. In altri termini: oggi ho 10 contagiati, domani 39, dopodomani 23 e via discorrendo. Questo significa che non c’è una logica nei numeri, ma solo che sto contando i malati che incontro, se sono in grado di riconoscerli. Inoltre, il dato dei contagiati dipende dalle scelte organizzative: faccio tamponi a tappeto? Rilevo soltanto le segnalazioni di pronto soccorso, oppure includo anche gli asintomatici? Non mi fido dei tamponi ma faccio le analisi del sangue? Altro sarebbe se avessi costruito un campione statisticamente rilevante (cioè costruito secondo criteri di neutralità ed equilibrio) che avrebbe avuto – quello si – almeno una qualche attitudine descrittiva e predittiva.
Ragionamento analogo – ma anche più articolato – vale per i decessi. Alcuni muoiono per effetto diretto del COVID-19, in altri il virus è “concausa” a fronte di “plurimorbidità pregresse”, altri ancora muoiono perchè pur non avendo contratto l’infezione, non possono essere curati in tempo – per esempio, in caso di infarto, ictus o shock anafilattico – visto il sovraffollamento degli ospedali e l’impossibilità di soccorrere tutti. Questa distinizione può essere irrilevante se la “lettura” è finalizzata a valutare l’impatto complessivo della pandemia ma è, al contrario, indispensabile per valutazioni di tipo strettamente medico-scientifico. Dunque, anche i dati sui decessi hanno una scarsa capacità esplicativa.
Quanto agli errori grossolani, oramai i mezzi di informazione “professionali”, quelli che inneggiano al rigore e al “fact-cheking” che soltanto loro sono in grado di fare, hanno oramai deciso che il rapporto fra contagiati e deceduti (nonostante l’inattendibilità di cui sopra) è IL modo di informare il pubblico sull’andamento della pandemia, supportati in questo dalla fatto che pure le istituzioni adottano lo stesso criterio.
E’ una situazione grave per due ordini di ragioni: il primo è che l’informazione trasmessa alla cittadanza è inattendibile, ma il pubblico non se ne rende conto; il secondo è che se le scelte politiche sono adotatte sulla base degli stessi errori concettuali, le strategie per gestire l’emergenza saranno meno efficaci di quanto ci si sarebbe potuto aspettare.
E’ senz’altro vero che è facile parlare senza avere la responsabilità di dover fare delle scelte, ma è anche vero, però, che il fatto di avere delle responsabilità (di governo) non esime costoro dal dovere di competenza, che non significa “fare del proprio meglio”, ma produrre risultati.
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