Sta facendo il giro della rete la non-notizia che un servizio di TGR Leonardo del 2015 parlava della creazione, in un progetto sino-americano, di un COVID estratto da un pipistrello e in grado di infettare direttamente l’uomo.
Benchè il video sia assolutamente originale e le informazioni corrette, l’effetto della sua “riesumazione” dalle teche della RAI ha provocato una marea di “telavevodettocheeracolpadeicinesi” o di condivisioni online che, più timidamente, si sono limitate alla pubblicazione del link senza ulteriori commenti (evidentemente, per potersi “difendere” nel caso il video fosse stato alterato o falso.
Eppure, in un’epoca in cui il “fact-checking” è un luogo comune superato soltanto dalla “difesa della privacy”, prima di condividere il video sarebbe stato necessario verificare che il servizio (come spiega Il Fatto Quotidiano) si riferiva a uno studio del 2015, e che il nuovo COVID-19 è di origine totalmente naturale. Il che avrebbe reso inutile la ripubblicazione del servizio giornalistico, come peraltro evidenzia la stessa Nature con un’aggiunta all’articolo che dice
Editors’ note, March 2020: We are aware that this story is being used as the basis for unverified theories that the novel coronavirus causing COVID-19 was engineered. There is no evidence that this is true; scientists believe that an animal is the most likely source of the coronavirus. (Sappiamo che il nostro articolo è usato come base per teorie non verificate…)
Il punto è che nelle questioni tecniche, non solo in quelle scientifiche ma anche in quelle giuridiche, dovrebbe essere obbligatorio per legge rispettare il monito ne supra crepidam, sutor (ciabattino, limitati alla scarpa) che Apelle di Kos rivolse al calzolaio che, dopo avergli spiegato come era fatta una scarpa, pretendeva di mettere bocca sull’intera statua. E già che ci siamo si dovrebbe imporre per legge anche il principio contenuto nei Salmi, Timor domini principium sapientiae in modo da rendere obbligatorio farsi un’esame di coscienza prima di aprire bocca.
In attesa di queste due norme che non arriveranno mai, e in un’epoca in cui i diritti fondamentali (tranne l’intoccabile “privacy” possono essere liberamente compressi da chiunque, ci ha pensato la delibera 129-20 CONS dell’Autorità dell’Autorità per le comunicazioni a imporre che
1. I fornitori di servizi di media audiovisivi e radiofonici sono invitati ad assicurare una adeguata e completa copertura informativa sul tema del “coronaviruscovid-19”, effettuando ogni sforzo per garantire la testimonianza di autorevoli esperti del mondo della scienza e della medicina allo scopo di fornire ai cittadini utenti informazioni verificate e fondate.
Da un lato, è sicuramente da applaudire il fatto che finalmente l’Autorità distingue ruolo e responsabilità delle piattaforme (Google, Facebook ecc. per capirci) da quelle degli Internet Service Provider, e quindi c’è da sperare che anche su diritto d’autore e streaming confermi questo orientamento.
Dall’altro, è incomprensibile l’imposizione ai mezzi di informazione di un “invito” (istituto giuridico altrettanto inesistente delle “raccomandazioni” dei DPCM della Presidenza del Consiglio) a sforzarsi di fornire un’informazione corretta. Perchè, viene da domandarsi, potrebbero fare qualcosa di diverso? Senza questa delibera sarebbero liberi di veicolare qualsiasi panzana?
E’, invece, grave e pericolosa la disapplicazione del divieto generale di sorveglianza degli utenti stabilito dalla direttiva 31/00 e, in Italia, dal d.lgs. 70/03 stabilito con il comma 2 della delibera, secondo il quale
2. I fornitori di piattaforme di condivisione di video adottano ogni più idonea misura volta a contrastare la diffusione in rete, e in particolare sui social media, di informazioni relative al coronavirus non corrette o comunque diffuse da fonti non scientificamente accreditate. Le predette misure devono prevedere anche sistemi efficaci di individuazione e segnalazione degli illeciti e dei loro responsabili.
Dunque, se da un lato l’Autorità ha (almeno per ora) differenziato correttamente gli ISP dai gestori di piattaforme, dall’altro ha creato il presupposto per superare (pur non avendo il potere di farlo) divieti comunitari e nazionali di affidare a soggetti privati la gestione di sorveglianza e censura.
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