In un mondo oramai fruito artificialmente tramite schermi di varia foggia e dimensioni, le Big Tech hanno saputo sfruttare magistralmente alcuni degli aspetti più profondi e inquietanti della debolezza umana. Dietro la promessa dinuove forme di interazione o di intrattenimento stanno capitalizzando una condizione di profondo disagio: l’incapacità di far fronte ai nostri limiti e all’isolamento che spesso accompagna la vita moderna di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – La Repubblica – Italian Tech
Ciò che è particolarmente preoccupante è il modo in cui queste aziende perseguono l’obiettivo, incentivando la fuga dalla realtà e assottigliando la linea di demarcazione tra l’avere dei desideri e l’insistere sul fatto che questi desideri vengano soddisfatti in quanto diritti. L’ascesa delle piattaforme digitali ha coinciso con, e forse esacerbato, un diffuso senso di solitudine che viene incanalato verso la ricerca di “nuovi mondi” dove ricominciare da zero o, più modestamente, vivere una “realtà separata”.
Sebbene queste piattaforme pretendano di mettere in contatto le persone, spesso fanno il contrario, favorendo una cultura in cui le interazioni superficiali sostituiscono relazioni significative. Gli strumenti messi a disposizione dalle piattaforme social, filtri per le foto, ma anche “stili” di comunicazione basati sull’autocelebrazione vuota, sul suscitare invidia, o presentarsi per quello che non si è, incoraggiano gli utenti a costruire versioni idealizzate o addirittura inesistenti di loro stessi, offrendo agli altri una percezione del tutto alterata.
Questa presenza online più o meno artefatta può attirare like e commenti, ma raramente porta a un legame umano di qualche solidità. Al contrario, essa aumenta la percezione di vuota solitudine: dimostra alle persone l’irrilevanza del loro essere, e può avere conseguenze molto spiacevoli quando, proprio in virtù di questa immagine finta, si viene chiamati a un confronto non mediato da una tastiera e da un monitor.
Le Big Tech non solo hanno capito l’importanza di questa solitudine, ma l’hanno trasformata in un modello industriale, il “capitalismo della solitudine”. Offrono piattaforme che promuovono valori artificiali (non solo l’ubiquo like, ma anche gli inutili ‘badge’ o altre patacche da esibire sul proprio profilo) in cui le persone possono cercare riconoscibilitàe connessioni. Tuttavia, queste piattaforme sono progettate in modo tale da far sì che, come nelle slot-machine, gli utenti perdano praticamente sempre, per tornare a chiedere di più, alla continua ricerca di ciò che raramente troveranno: essere “certificati” come esistenti in vita dal fatto che qualcuno si accorge di loro. E quando questo non accade, o scoprono che quel “cenno di riscontro” che pensavano di avere avuto è privo di significato, non si rassegnano al fatto che per la maggior parte attraverseranno questa terra senza che nessuno se ne sia accorto. Ma invece di impegnarsi per migliorare se stessi e creare interazioni socialmente sane, si affidano agli algoritmi che guidano queste piattaforme, che invece sono costruiti per mantenere gli utenti impegnati a seguire illusioni, creando un circolo vizioso in cui più le persone si sentono isolate, più si rivolgono alle interazioni digitali per trovare conforto, e più si staccano dalla realtà.
Questa condizione è aggravata da un’altra tendenza preoccupante: l’erosione del confine tra desiderio e diritto. Tradizionalmente, i desideri sono visti come aneliti che potrebbero non essere sempre soddisfatti. Il rifiuto o l’impossibilità di fare quello che vogliamo o che vorremmo fanno parte dell’esperienza umana, e sono qualcosa che impariamo a gestire, stipulando un patto fra noi e la realtà. Tuttavia, nel contesto delle Big Tech, questi desideri vengono sempre più presentati agli utenti come pretese che devono essere soddisfatte immediatamente e completamente.
Questo cambiamento è evidente nel modo in cui operano le piattaforme di interazione sociale. L’idea-guida è che qualsiasi nostro desiderio debba essere immediatamente accessibile e realizzabile. Che si tratti del desiderio di attenzione, della necessità di sentirsi potenti o della voglia di evadere dalle sfide della vita, queste piattaforme sono progettate per soddisfare queste pulsioni senza alcun indugio. Basta pagare in soldi —o più spesso in dati personali e tempo di vita passato davanti a uno schermo grazie, ancora una volta, alla promessa di “superpoteri” e “magie”. Non è un caso che il marketing dei gadget che ruotano attorno a questo disto-sistema abusi proprio di questi concetti, in modo da trasferire il desiderio di fuga dalla realtà anche alle interazioni non tecnologicamente mediate, come dimostrano i sempre più numerosi casi di interventi di “chirurgia ricreativa” che, senza nessuna ragione medica, trasformano l’apparenza esterna delle persone in quella di esseri demoniaci o simil animaleschi, o quelli che impiantano chip e sensori di varia natura nel corpo umano.
Tuttavia, questa gratificazione istantanea ha un costo. Eliminando le barriere naturali che esistono tra il desiderio e la sua realizzazione —o meglio, il diritto alla sua realizzazione— le Big Tech promuovono una percezione distorta di cosa sia un diritto. Gli utenti iniziano ad aspettarsi che i loro desideri e le loro esigenze vengano sempre soddisfatte,rimanendo frustrati quando la realtà non si conforma ai loro diktat. Questo non vale solo per i diritti, ma anche per gli altri ambiti della vita, influenzando il modo in cui gli individui percepiscono le loro relazioni, le loro carriere e persino la loro identità.
Il risultato è una società in cui le persone non solo sono più isolate, ma anche più insoddisfatte, costantemente alla ricerca di qualcosa che sembra fuori portata, spinte da piattaforme che promettono la luna nel pozzo ma raramente consentono di raggiungerla, mentre la persona —che nel frattempo si è tuffata a testa in giù— non può far altro che annegare nelle acque torbide e limacciose che hanno preso il posto del luminoso satellite riflesso sulla superficie.
Questa dinamica incide anche sul modo in cui gli individui si relazionano con gli altri. Il costante rafforzamento della pretesa al diritto può erodere la capacità di essere pazienti, empatici e di affrontare le difficoltà, che sono qualità essenziali per il vivere civile. Quando, infatti, i desideri vengono trattati come diritti, l’approccio si sposta dalla comprensione reciproca e dalla capacità di mediazione alla volontà di realizzare la propria pretesa individuale a tutti i costi, senza curarsi del resto.
In un contesto sociale più ampio, l’enfasi sulla gratificazione istantanea e l’eliminazione dei limiti crea una cultura in cui l’egocentrismo diventa la norma, con conseguente declino della coesione sociale e aumento dei conflitti. L’enfasi sui desideri personali, non controllata dai vincoli oggettivi della realtà, può minare le basi della comunità e della cooperazione che sono essenziali per una società che funzioni in modo accettabile.
Il ruolo delle Big Tech in questo cambiamento culturale è evidente. Hanno creato e continuano a promuovere sistemi che sfruttano e mettono in contraddizione la solitudine umana e il naturale desiderio di relazione, incoraggiando al contempo una volontà di sopraffazione dell’altro e di fuga dal reale.
Così facendo, non solo traggono profitto dal diffuso senso di isolamento e insoddisfazione, ma contribuiscono anche a perpetuarlo, senza preoccuparsi troppo di quello che stanno facendo alla vita di ciascuno di noi.
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