Corrispondenza telematica. Quid juris?

di Andrea Monti

Le vicende connesse alle indagini promosse dalle Procure di Torino e Pesaro hanno evidenziato in modo chiarissimo i limiti dell’attuale legislazione in materia di informatica e telematica, oltre a fornire un panorama alquanto desolante – salva qualche “isola felice” – delle condizioni un cui la Magistratura e la Polizia giudiziaria sono costrette, spesso loro malgrado, ad operare.

Con preoccupante coerenza le indagini hanno seguito dei cliché troppo ingenuamente sommari: in molti casi i sequestri di hardware (INUTILI, come qualcuno sembra finalmente cominciare a riconoscere) sono stati eseguiti nella più totale confusione generata dall’insufficienza delle norme di procedura. Spesso, infatti – in alcuni casi sono stato personalmente coinvolto come difensore – gli elaboratori sequestrati sono stati semplicemente accantonati nelle camere di sicurezza, insieme a monitor ANCORA IMBALLATI; oppure venivano trascurati degli hard-disk perché non venivano riconosciuti come tali… l’elenco potrebbe essere molto più lungo ma l’obbligo del segreto ancora incombe.
Il punto è che insieme a materiale “inerte” è stata sequestrata una notevole mole di corrispondenza privata spesso ricevuta dall’indagato in quanto nodo o point di un network, con il compito di smistarla AUTOMATICAMENTE verso gli altri destinatari. Tale corrispondenza sequestrata, chiaramente, non è cartacea, ma elettronica e nessuno sembra essersi reso conto della carenza delle norme procedurali che ne disciplinano l’acquisizione: la violazione delle norme che tutelano la segretezza della corrispondenza è – a questo punto – evidente.

Qualcuno, per evitare questa conclusione, ha sostenuto che gli unici sistemi di posta elettronica, almeno in Italia, sono quelli riservati allo Stato, riferendosi le altre ipotesi ad un mondo popolato da messaggerie, corrieri elettronici ed altre amenità di questo tipo prive di valore ed efficacia giuridica (salvo poi a riconoscere che i BBS gestiscono una CORRISPONDENZA chiusa…) L’implicazione pratica di questa tesi è che non essendo chi opera in questo settore “addetto al servizio delle poste, dei telegrafi e dei telefoni”, gli sarebbe consentito prendere conoscenza del contenuto di tale corrispondenza – con un luogo poco coerentemente ricorsivo – senza commettere reato alcuno. Il ragionamento parrebbe formalmente corretto ma la questione è certamente più complessa per meritare una soluzione di questo tipo.
“Ubi societas ibi jus”: questa è una delle prime lezioni che vengono impartite al giovane studente che inizia il corso di studi in Giurisprudenza. Se dunque il diritto mutua e recepisce i dati che costituiscono l’oggetto della produzione normativa dalla realtà sociale, ciò significa che la scansione dei tempi evolutivi di una legge deve necessariamente riferirsi ad un qualcosa che sia al di fuori della norma stessa.
In altri termini, e venendo al punto, non ha senso, rifugiandosi dietro schemi di matrice kelseniana, limitarsi ad affermare che l’unica forma di corrispondenza elettronica è quella riconosciuta dalla legge, cioè quella gestita dallo Stato: questo è un falso storico. Del resto, la 547/93 – che introduce la nozione di corrispondenza telematica – non è legge “autoctona”, strutturata cioè sulla realtà italiana, ma è il frutto di una raccomandazione del Consiglio d’Europa che affronta il problema in una prospettiva generale proprio sulla base del riconoscimento dell’universalità del fenomeno.

La realtà concreta è infatti che milioni di persone – sempre più numerosi gli istituti bancari, le grandi aziende e gli enti pubblici – impiegano in tutto il mondo sistemi di “e-mail” (non necessariamente Internet) per scambiarsi posta, concludere transazioni, ricercare dati e compiere atti di volontà: negare a questo fenomeno una tutela giuridica per mere questioni di formalismo giuridico sarebbe assurdo e, sopratutto, antistorico.

Stando così le cose, allora, appare evidente che il pregio della coerenza formale, pur riconosciuto alla tesi qui confutata, non è da solo sufficiente a legittimarne l’accoglimento.
Certo, chiarire la nozione di corrispondenza elettronica nella direzione qui indicata causerebbe molte contraddizioni – non certo quella del divieto di analogia – nell’ordinamento vigente, la più evidente delle quali – ma non l’unica – riguarda il valore giuridico da attribuire alla posta elettronica: è efficace una costituzione in mora via e-mail? Allo stato certamente no, ma se la e-mail (e si è visto cosa dovrebbe intendersi con questa sigla) viene tutelata penalmente, perché non le si riconosce validità giuridica piena?
La risposta a questo interrogativo non può essere trovata in via interpretativa, ma richiede una valutazione attentissima da parte del legislatore che deve provvedere a rimuovere le disarmonie fra le varie disposizioni ristabilendo la perduta coerenza dell’ordinamento, oltre che con se stesso, anche con quello internazionale cui deve necessariamente rifarsi.

Tutto ciò de jure condendo… ma nel frattempo? I problemi connessi allo statuto giuridico della e-mail infatti coinvolgono direttamente la condizione di chi questa e-mail gestisce: quali gli obblighi, ma, e sopratutto, quale tutela?
C’è da fare una considerazione di ordine generale: la telematica per così dire “tradizionale”, quella cioè basata su strutture gerarchiche (fido-like, per intenderci) sta progressivamente perdendo terreno. La prepotente diffusione di WWW realizza di fatto un sito “distribuito” il cui contenuto muta di volta in volta a seconda dei link stabiliti. Controllo non può esserci per ragioni tecniche: diverrà illegale anche usare Netscape?
Ogni utente, dunque, diventa sysop della sua personalissima banca-dati, il cui contenuto è sparso in tutto il mondo: preoccuparsi ancora di fenomeni destinati a perdere progressivamente importanza è un po’ come pensare a regolamentare la transumanza al centro di New York…

Ciò detto, non si possono non esprimere perplessità anche sui luoghi comuni particolarmente radicati nell’immaginario collettivo, con riferimento ai BBS tradizionali e alle implicazioni penali che se ne vogliono trarre. BBS fonti di illeciti… può essere, ma non più di quanto lo sia la Telecom: nessuno pensa di incriminarne l’Amministratore delegato per associazione a delinquere ogni volta che due criminali usano il telefono per concordare le modalità di commissione di un delitto…
Come per la Telecom sarebbe impossibile controllare il contenuto di ogni telefonata, 24 ore al giorno 365 giorni all’anno, così anche il Sysop di un BBS non può stare dietro al traffico di posta e messaggi del proprio nodo. Chiunque abbia provato anche solo una volta l’esperienza del polling sa – e questo è un FATTO – che in poco tempo la “message-base” diventa impossibile da  gestire analiticamente, specie con riguardo alla posta in transito.

Dice in proposito il Giudice Sarzana nel suo molto puntuale intervento in questo Forum: “Il sysop, al fine di esercitare il suo legittimo controllo sulla regolarità del servizio, dovrebbe riservarsi esplicitamente il diritto di penetrare, nei casi sospetti, anche nell’interno delle singole caselle e di controllare quindi il contenuto dei messaggi esistenti, avvalendosi della disposizione di cui all’articolo 51 del Codice Penale italiano, (per il quale l’esercizio di un diritto esclude la punibilità)”.
Ma punibilità per cosa? Non certo per la violazione delle norme sulla corrispondenza telematica, se come egli sostiene, “…i veri e propri sistemi di posta elettronica, almeno in Italia, sono riservati allo Stato…”.
Sysop privi di obblighi, dunque? No, certamente no, ma neanche presunti colpevoli fino a prova contraria.
(12.06.95)

Il dr. Andrea Monti è membro del Comitato di garanzia di ALCEI e responsabile del settore Studi giuridici dell’Associazione.

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