Copyright per le banche dati: in dirittura d’arrivo la nuova legge

di Andrea Monti – PC Professionale n. 100/101

Per una di quelle cavillosità tanto care alla legge, l’estensione al software della tutela prevista per le opere dell’ingegno, effettuata con il famigerato d.lgs. 518/92 non si estendeva automaticamente e necessariamente alle banche dati che – a stretto rigore – di certo programmi non sono.


La conseguenza, per certi versi paradossale, di questa lacuna legislativa è che un’azienda che realizza un prodotto in cui la base-dati è la parte preponderante, (il software per la consultazione spesso è di scarsissima importanza), in caso di duplicazione o riproduzione abusiva poteva essere sanzionata soltanto per l’attività commessa a danno del software e non dei dati.
Il problema era già stato affrontato dall’Unione Europea che nel marzo del 1996 aveva emanato una direttiva che colmava questo vuoto e ora, dopo tre anni, questa normativa sta per essere emanata anche in Italia, con un decreto legislativo che dovrebbe essere già stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Vediamo schematicamente di cosa si tratta.

In primo luogo viene esplicitamente estesa l’applicabilità della legge sul diritto d’autore anche alle banche dati, anzi più esattamente, – come dice l’art.2 – ”la tutela delle banche di dati non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto”.

Ciò significa in altri termini che la protezione giuridica riguarda il lavoro di creazione della struttura del data-base e non i dati che ci finiscono dentro, per i quali è prevista autonoma tutela nel caso si tratti di opere protette. In pratica: se creo una banca dati musicale contenente informazioni, partiture, MP3 ecc. ecc., possiedo io i diritti sul modo in cui è strutturata, ma non acquisto automaticamente quelli sui singoli dati che finiscono nei record.

La nuova legge individua abbastanza rigidamente diritti e obblighi di chi crea la banca dati e degli utenti.

All’autore spetta praticamente il “diritto di vita e di morte” sulla sua creazione ivi compreso quello di distribuirla, riprodurla e via discorrendo, mentre all’utente è consentito, senza l’autorizzazione del primo, l’accesso o la consultazione della banca di dati quando abbiano esclusivamente finalità didattiche o di ricerca scientifica, non svolta nell’ambito di un’impresa, purché si indichi la fonte e nei limiti di quanto giustificato dallo scopo non commerciale perseguito. Nell’ambito di tali attività di accesso e consultazione, le eventuali operazioni di trasferimento, permanente della totalità o di parte sostanziale del contenuto su altro supporto sono comunque soggette all’autorizzazione del titolare del diritto.

Ma la modifica più importante – e preoccupante – è quella che incide sulle sanzioni penali. Ancora una volta è necessario ribadire, prima di andare avanti, che le critiche all’impostazione di questa norma non costituiscono apologia di reato o istigazione a delinquere, ma solo un mezzo per arrivare ad un’applicazione corretta e ragionevole di norme che diversamente si trasformano, come insegna la storia recente, in strumenti di pura e semplice vessazione.

Veniamo al punto: l’art. 171 bis l.d.a. (quello che punisce le varie forme di duplicazione abusiva) è integrato con l’aggiunta del comma seguente: Chiunque, al fine di trarne profitto, riproduce, trasferisce su altro supporto, distribuisce, comunica, presenta o dimostra in pubblico il contenuto di una banca di dati in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 64-quinquies e 64-sexies, ovvero esegue l’estrazione o il reimpiego della banca di dati in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 102-bis e 102-ter è soggetto alla pena della reclusione da 3 mesi a tre anni e della multa da lire un milione a lire 10 milioni. La pena non è inferiore nel minimo a sei mesi di reclusione e a lire 3 milioni di multa se il fatto è di rilevante gravità ovvero se la banca di dati oggetto delle abusive operazioni di riproduzione, trasferimento su altro supporto, distribuzione, comunicazione, presentazione o dimostrazione in pubblico, estrazione o reimpiego sia stata distribuita, venduta o concessa in locazione su supporti contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori ai sensi della presente legge e del relativo regolamento di esecuzione approvato con Rd 18 maggio 1942, n. 1369.”;
Spicca immediatamente la sostituzione – già proposta per quanto riguarda il software (vedi i recenti articoli in argomento su PC Professionale) – della “duplicazione a scopo di lucro” con la “duplicazione a scopo di profitto”.
Ciò significa che diventa penalmente rilevante qualsiasi forma di riproduzione non autorizzata e non la sola cessione a pagamento di copie abusive, mentre si perpetua l’applicazione di una pena più dura quando l’azione illecita riguarda i supporti che recano il bollino SIAE.

Queste in estrema sintesi sono le novità introdotte dal decreto legislativo in questione, che però riserva qualche sorpresa (probabilmente non prevista nemmeno dal legislatore) per quanto riguarda la sua applicazione all’internet.

Per “banca dati” la legge intende le raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti e individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o
in altro modo.

È abbastanza ragionevole pensare che un sito web rientri a pieno titolo in questa definizione, e d’altra parte, i data-base accessibili on line diventano sempre più numerosi… Bene, se nel secondo caso la situazione sembra abbastanza chiara, nel primo le cose sono molto diverse.

Tanto per buttare qualche domanda in ordine sparso: linkare un sito richiede la preventiva autorizzazione del titolare dello stesso? È (ancora) legale fare il grabbing dei contenuti di un web? Rientra nell’applicazione di questa legge la tutela dell’impostazione delle pagine (struttura, collegamenti ecc. ecc.)? Risposte certe, al momento, non ce ne sono e – come al solito – bisognerà aspettare che qualche controversia giudiziaria cominci a produrre sentenze e precedenti, fatto sta che le attività in Rete potrebbero essere significativamente complicate e burocratizzate.

Nel frattempo, possiamo salutare un altro pezzetto di libertà che è partito verso destinazione sconosciuta.

Aste on line fuori legge?

Il proliferare da un lato di attività “tradizionali” sull’internet e dall’altro di leggi che cercano faticosamente di “mettere una pezza” ai problemi (o presunti tali) creati dalle nuove tecnologie produce sempre più spesso effetti collaterali indesiderati.

Uno degli esempi più recenti è costituito dal decreto legislativo sulla riforma del commercio che fra le tante cose ha trovato anche il tempo di occuparsi (anche se non direttamente) dell’internet.
Fra le tante, pur positive, innovazioni contenute nel testo di legge infatti c’è un articolo che vieta le aste televisive o diffuse con qualsiasi altro mezzo di comunicazione. Il motivo che ha spinto il legislatore all’adozione di una norma del genere è l’elevata inaffidabilità delle case d’asta televisive che – pare – in più di un’occasione non si sono dimostrate il massimo della correttezza. Per evitare i classici “aggiramenti all’italiana” però il divieto è stato esteso anche all’impiego di altri sistemi di comunicazione ma non esplicitamente alla Rete, nella cui porzione tricolore cominciano ad arrivare servizi on line di questo tipo.

Le aste on line sono dunque fuorilegge in Italia?

Come sempre la risposta è “ni” perché molto dipende da come è organizzato il servizio e dalla sua strutturazione giuridica, molto spesso ciò che viene presentato come asta non lo è affatto, trattandosi piuttosto di attività di intermediazione.

In questa sede non è possibile approfondire maggiormente questi profili giuridici, a meno che non desideriate un modo rapido per procurarvi un gran mal di testa, ma è importante sottolineare come ancora una volta il legislatore abbia scelto la soluzione più semplice e non la più razionale.

Le aste on line non sono intrinsecamente pericolose o truffaldine, sono le persone che le rendono tali… e allora perché penalizzare indiscriminatamente un’attività invece – come sarebbe stato più normale – di punire chi fa il furbo? In definitiva… credo che si possa affermare la non automatica illegalità di questo tipo di servizi, anche se è prevedibile che entrino subito nel mirino di qualche associazione di consumatori o di qualche operatore dell’autorità giudiziaria.

Staremo a vedere, ma nel frattempo mi ronza in testa una domanda a proposito di questa legge: sarebbe costato veramente troppo essere un po’ più chiari?

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