Notoriamente, l’incapacità di gestire l’assunzione di zuccheri è un elemento critico nelle malattie metaboliche come il diabete. Comprendere i meccanismi legati alla loro assunzione è di importanza fondamentale per la prevenzione, per la terapia e per la ricerca di nuovi farmaci e approcci terapeutici. di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su MIT Technology Review Italia
Uno studio realizzato da un gruppo di ricerca coordinato dal professor Ikuo Kimura dell’università di Kyoto e dal professor Junki Miyamoto della Tokyo University of Agriculture and Technology, pubblicato il 29 gennaio 2025 su Nature Communications, ha analizzato il ruolo dello Streptococcus salivarius nella potenziale prevenzione dell’obesità associata a un consumo eccessivo di zuccheri.
Lo studio è partito dalla considerazione che quando il microbiota entra in contatto con il saccarosio produce naturalmente particolari molecole, gli esopolisaccaridi (EPS), che vengono successivamente trasformate in acidi grassi a catena corta (SCFA) in grado di contribuire a regolare il metabolismo, aiutando così la prevenzione dell’aumento di peso corporeo. Inoltre, ha evidenziato che nelle persone in buona salute si osservano alte concentrazioni di questi microbioti, mentre negli individui obesi i livelli di S. salivarius sono notevolmente più bassi e il processo metabolico di trasformazione degli EPS in SCFA è meno efficiente. Da qui, l’ipotesi che lo S. Salivarius possa giocare un ruolo nella gestione degli zuccheri e, indirettamente, nel controllo del peso.
Per quanto la ricerca in questo ambito abbia fornito indicazioni promettenti, per stessa ammissione degli scienziati siamo ancora lontani dall’utilizzo terapeutico dei loro risultati. Tuttavia, è utile approfondirne il significato perché questi finding evidenziano come la capacità di pensare in modo laterale, quella di utilizzare i risultati di ricerche precedenti come punto di partenza per ulteriori evoluzioni e l’importanza, quando si studiano malattie, di non rimanere confinati al mondo dell’estremamente piccolo rappresentino un approccio fondamentale nella ricerca in questi settori.
Un altro aspetto che emerge in tutta la sua criticità dall’intervista è il costo (non solo economico) degli studi clinici per la ricerca accademica (e dunque, finalizzata al soddisfacimento di un interesse pubblico). Anche in Giappone gli studi possono essere lunghi e costosi, e non sempre un gruppo di ricerca può facilmente approfondire delle intuizioni in assenza del necessario supporto economico e —per quanto riguarda la UE, n.d.a. — burocratico e normativo a causa dell’incoerente sovrapposizione fra regolamenti come quello sulla protezione dei dati personali, quello sullo spazio europeo dei dati sanitari e quello sull’IA (ma questo, è un altro tema).
Per approfondire i risultati della ricerca condotta dagli scienziati giapponesi, MIT Technology Review Italia ha intervistato il professor Junki Miyamoto, una delle due prime firme dello studio.
Professor Miyamoto, cosa l’ha spinta a esplorare il ruolo dello Streptococcus salivarius e degli esopolisaccaridi (EPS) nella prevenzione delle malattie metaboliche?
È una storia piuttosto interessante. In passato, il nostro gruppo di ricerca aveva isolato gli EPS dagli alimenti fermentati e aveva scoperto che avevano un ruolo significativo nel produrre effetti anti-obesità. Dunque, ci siamo chiesti se anche i microbi intestinali potessero produrre EPS simili con effetti analoghi. Ecco perché abbiamo pensato che correlare i nostri dati con quelli di individui obesi potesse fornire informazioni preziose.
Avete notato lacune o aree trascurate nella precedente ricerca sul microbioma intestinale che vi hanno portato a concentrarvi specificamente sui batteri che preferiscono il saccarosio?
Direi proprio di sì. Mentre studiavamo i batteri che producono EPS, ci siamo resi conto della loro unicità: utilizzare il saccarosio specificamente come substrato per produrre EPS. Questo ci ha spinto ad approfondire il loro funzionamento.
Ci sono state particolari difficoltà quando si è trattato di isolare e caratterizzare questi batteri produttori di EPS da campioni umani?
Sicuramente. Gli esseri umani hanno abitudini alimentari diverse, tra cui l’assunzione di farmaci, integratori e alimenti fermentati, a differenza degli animali da laboratorio che sono gestiti in modo standard. Inoltre, l’obesità è spesso accompagnata da altre condizioni mediche, il che ha complicato i nostri sforzi per ottenere un campione di dimensioni adeguate e sufficientemente accurate. Superare questi ostacoli ha richiesto molto tempo e una meticolosa selezione dei partecipanti.
Alla luce di questi risultati, quanto ritiene fattibile lo sviluppo di terapie mirate che utilizzano il S. salivarius per la prevenzione dell’obesità e del diabete?
Onestamente, la strada da percorrere non è facile. Soprattutto in Giappone, gli studi clinici possono essere incredibilmente lunghi e costosi. Tuttavia, siamo incoraggiati dagli sviluppi in Europa, dove è già in corso uno studio clinico con il microbo intestinale Akkermansia muciniphila. Dunque, l’uso diretto dell’EPS negli studi clinici potrebbe essere un’altra strada promettente. L’auspicio è che la nostra ricerca possa contribuire in modo significativo alla prevenzione dell’obesità e del diabete.
Realisticamente, quanto tempo pensa che ci vorrà prima che questi risultati si traducano in trattamenti o integratori pratici per i disturbi metabolici?
È sempre difficile fare previsioni. In quanto ricercatori accademici, non operiamo in ambito clinico o farmaceutico. Quindi è difficile stimare con precisione i tempi. Ma certamente siamo impegnati a far sì che questo avvenga il prima possibile.
Data la presenza consistente di carboidrati ad alto indice glicemico come il riso nella dieta tradizionale giapponese, pensa che queste abitudini culinarie abbiano un ruolo significativo nello sviluppo dei disturbi metabolici e nel diabete? La vostra ricerca potrebbe aiutare a contrastare alcuni di questi effetti?
Questo è un ottimo punto. La ricerca indica che i giapponesi hanno in genere livelli di secrezione di insulina inferiori rispetto agli europei o agli americani, il che implica che la loro gestione della glicemia è altamente sensibile. Tuttavia, le diete tradizionali giapponesi sono intrinsecamente ben bilanciate, combinando carboidrati con verdure e pesce. Dato che mantenere l’equilibrio nutrizionale è fondamentale per la salute generale, ma soprattutto per un efficace controllo della glicemia, crediamo che i nostri risultati potrebbero effettivamente aiutare a rafforzare gli effetti di questi vantaggi dietetici.
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