Per fare sparire le nostre informazioni dalla rete, è necessario che non ci siano ragioni di interesse pubblico a mantenerle disponibili. Lo dice la Cassazione di Andrea Monti – Originariamente pubblicato da Wired.it
L’ordinanza 13524/21 emessa lo scorso 18 maggio dalla I sezione civile della Corte di cassazione ribadisce un principio, noto ma ancora non pienamente compreso dai più, secondo il quale il cosiddetto “diritto all’oblio” non può essere usato, come la scolorina, per cancellare a nostra discrezione quei contenuti disponibili online che non ci piacciono o “ledono la nostra reputazione”. Per fare sparire le nostre informazioni dalla rete, infatti, è necessario che non ci siano ragioni di interesse pubblico a mantenerle disponibili. Di conseguenza, tutte le volte che un’informazione viene diffusa online per via di una legge o di un diritto fondamentale non è possibile chiedere che venga rimossa dalla fonte o deindicizzata dai motori di ricerca.
La causa che ha originato la decisione è stata avviata da un debitore che voleva che l’informazione su di un temporaneo mancato pagamento del mutuo venisse definitivamente cancellata dai registri pubblici. La Corte ha rigettato la richiesta rilevando che la permanenza di questa informazione era necessaria per quanto stabilito dall’articolo 2818 del Codice civile nell’ambito più generale della certezza degli scambi e delle attività economiche. In altri termini: rendere pubbliche le informazioni sui debitori serve a evitare “brutte sorprese”.
I riflessi “mediatici”
La decisione della Corte ha riguardato una complessa questione relativa alle procedure di cancellaziona delle ipoteche (il “blocco” giuridico dei beni di un creditore moroso eseguito dai creditori), ma il ragionamento della Corte è utile anche e soprattutto per il mondo dei media e dell’informazione.
Innanzitutto (ma su questo la Corte non si è pronunciata) bisogna dire che “dato personale” è diverso da “notizia”. Se si può concepire il diritto a cancellare uno specifico dato, non è minimamente accettabile che vengano eliminate delle notizie in quanto tali. Tanto è vero questo, che lo stesso Regolamento sulla protezione dei dati personali include anche il diritto di informazione e la libertà di espressione fra le eccezioni all’esercizio dalle richieste di cancellazione.
Dunque, la Corte ha correttamente limitato la possibilità di esercitare il diritto di ottenere la cancellazione di dati. Ha evidenziato, infatti, che il diritto alla cancellazione cede il passo di fronte a una norma di legge o a un diritto fondamentale. Ovviamente, per quanto riguarda i media, questo non significa che siano liberi di fare ciò che vogliono perché a una grande libertà corrisponde una grande responsabilità. Se, infatti e anche alla luce di questa ordinanza, le testate non sono obbligate a cancellare intere notizie, dall’altro lato hanno il dovere giuridico, se le rendono disponibili online, di tenerle aggiornate. Questo significa, come già accade nel giornalismo anglosassone, seguire le vicende di cui ci si è occupati e aggiornare l’articolo che le racconta man mano che ci sono sviluppi. Oppure evidenziare che il “pezzo” è datato e che potrebbe contenere informazioni non più aggiornate. Dunque, chi si lamenta (in buona fede) della presenza sui media di informazioni che lo riguardano dovrebbe chiederne l’aggiornamento, piuttosto che la cancellazione.
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