Trib. I Sez. Civile Bergamo
03/03/03
Sent. n.634/03
N. 4351/98 ruolo generale
N. 0634-2003 sentenza
N. 5286 cronologico
N. 1036/03 repertorio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BERGAMO
Sezione I^ civile
Il Tribunale di Bergamo in composizione monocratica in persona della dott.ssa Elda Geraci, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 4351 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 1998 promossa
DA
Giorgio Armani s.p.a., con gli avv.ti Mariacristina Rapisardi e Bruno Lucchini
ATTRICE
CONTRO
Armani Luca, con l’avv. Stefano Bassetta
CONVENUTO
OGGETTO: violazione legge marchi
CONCLUSIONI
Per Giorgio Armani s.p.a.:
voglia il Tribunale Ill.mo, ogni contraria istanza disattesa e respinta nel merito:
1) accertare e dichiarare che la registrazione e l’utilizzazione da parte del convenuto del domain name “armani” è illecita ai sensi della Legge Marchi e conseguentemente ordinarne la cancellazione e inibirne la prosecuzione dell’illecito;
2) accertare e dichiarare che il comportamento del convenuto è illecito anche ai sensi delle norme repressive della concorrenza sleale ex art. 2598 e ss. c.c. e conseguentemente inibire la prosecuzione dell’illecito;
3) inibire al convenuto l’utilizzo della parola “armani” sotto qualsiasi forma ed a qualsiasi titolo qualora non sia accompagnata da elementi idonei a differenziarla dai marchi e dalla ragione sociale dell’attrice per evitare la confondibilità con gli stessi;
4) condannare il convenuto al risarcimento in favore della Giorgio Armani s.p.a. di tutti i danni dalla stessa patiti e patiendi in conseguenza di tutti gli illeciti sopra indicati, in misura da liquidarsi in via equitativa e comunque non inferiore ad euro 300.000;
5) in ogni caso condannare il convenuto al pagamento in favore dell’attrice di una provvisionale di importo non inferiore ad euro 200.000 ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 278 c.p.c.;
6) fissare una somma non inferiore ad euro 10.000 dovuta dal convenuto all’attrice per ogni violazione della sentenza e per ogni ritardo nell’esecuzione dei provvedimenti in essa contenuti;
7) ordinare la pubblicazione dell’emandata sentenza, a cura dell’attrice e a spese del convenuto, sul Corriere della Sera e su Il Sole 24 Ore, nonché su Internet Magazine e Inter.net, nonché sul sito Internet dell’attrice o su altri siti Internet che verranno appositamente creati a tale scopo dall’attrice;
8) con vittoria di spese, diritti ed onorari, oltre il 10% spese generali, Iva e Cpa.
In via istruttoria:
nella denegata ipotesi di ammissione dei capitoli formulati da controparte si chiede ammettersi prova per testi sul seguente capitolo di prova:
“vero che svariati clienti da tutto il mondo mi hanno segnalato di avere avuto problemi con il reperimento del sito della Giorgio Armani s.p.a. a causa della presenza in internet del domain name “armani.it” di titolarità del Timbrificio Armani.
Si indica a teste il sig. Brunello Bianchi presso Giorgio Armani s.p.a., via Borgonuovo 11 Milano.
Per Armani Luca:
voglia l’Ill.mo Giudice del Tribunale di Bergamo, ogni contraria istanza disattesa, così provvedere:
in via principale e di merito:
1) rigettare ogni domanda attrice per quanto concernente l’asserita illecita registrazione ed utilizzazione del domain name “armani.it”, in quanto infondata in fatto e in diritto;
2) rigettare ogni domanda attrice per quanto concerne il presunto ed indimostrato illecito concorrenziale ex art. 2598 c.c. perché infondato in fatto ed in diritto e di conseguenza rigettare ogni istanza di inibitoria e di provvisionale ex art. 278 c.p.c.;
3) rigettare ogni domanda attrice per quanto concerne il risarcimento di preteso ed indimostrati danni patiti e patiendi, in quanto infondata in fatto ed in diritto;
4) accertare e dichiarare la temerarietà della lite svolta dalla Giorgio Armani s.p.a. e per l’effetto ex art. 96 c.p.c. condannare la parte attrice al risarcimento dei danni in favore di parte convenuta nella misura ritenuta di giustizia ed in via equitativa;
5) condannare parte attrice al pagamento delle spese, diritti ed onorari di causa, con distrazione in favore del sottoscritto procuratore anticipatorio.
In via subordinata di merito:
Si insiste nelle istanze istruttorie formulate in corso di causa, con particolare riferimento alla memoria istruttoria ex art. 184 c.p.c. del 18.1.2001 sia per interrogatorio formale che per testi, nonché nella istanza di consulenza tecnica diretta ad accertare e descrivere le caratteristiche tecniche del domain name che del sito web www.armani.it opponendosi ad ogni ulteriore nuova e tardiva istanza istruttoria di parte attrice.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 22 ottobre 1998, Giorgio Armani s.p.a. – premesso di vantare una tradizione ultraventennale nel settore della moda nel campo dell’abbigliamento e di essere incontestabilmente una delle società leader dello stesso settore; di avere ampliato il proprio settore produttivo, estendendolo agli accessori di moda, profumi, occhiali, calze, orologi e prodotti di pelletteria; di avere sempre prestato la massima attenzione alla politica promozionale; di essere titolare del marchio Armani, universalmente riconosciuto come marchio supernotorio e celebre, protetto in tutte le sue diverse utilizzazioni per i prodotti ricompresi in quasi tutte le classi di registrazione, come da certificati di registrazioni prodotti a mero titolo esemplificativo; di essersi sempre avvalsa per promuovere la propria immagine e pubblicizzare attività, prodotti ed iniziative di tutti gli strumenti e canali di comunicazione disponibili; di avere quindi avvertito la necessità di comparire sulle rete Internet, costituendo il canale divulgativo più efficace e capillare di ogni tempo, considerando a tal fine che il sito all’interno del quale il pubblico dei consumatori avrebbe potuto reperire notizie, curiosità ed informazioni avrebbe dovuto essere contraddistinto dal domain name costituito dall’universalmente noto marchio “Armani” – esponeva:
che nell’eseguire i controlli preliminari alla richiesta di registrazione del domain name “armani.it” era venuta a conoscenza del fatto che il domain name “armani.it” era già stato registrato da Luca Armani quale titolare del Timbrificio Luca Armani, con sede in Treviglio il quale aveva registrato presso la RA Italiana il dominio “armani.it” per contraddistinguere il proprio sito Internet ed utilizzarlo per la vendita di timbri;
che per la sua funzione – cioè quella di consentire l’accesso alla rete Internet e quindi ad un numero infinito di informazioni, contraddistinguendo sulla rete l’attività d’impresa, i prodotti o il marchio del suo titolare – l’uso del domain name doveva equipararsi all’uso di un segno distintivo;
che tale essendo la funzione del domain name, l’utilizzo del dominio “armani.it” da parte del Timbrificio era idonea a ingenerare nel pubblico degli utenti di Internet confusione;
che, infatti, essendo il marchio Armani di titolarità dell’attrice marchio celebre, l’utente consumatore, nel reperire nel database che raccoglie tutti i domini depositati il domain name “armani.it” sarebbe stato indotto a credere che il sito così individuato appartenesse alla Giorgio Armani s.p.a. e che, analogamente, l’utente che avesse voluto individuare in Internet la presenza di un sito a nome dell’attrice avrebbe senz’altro digitato il domain name “armani.it”, ipotizzandone la coincidenza con il famoso marchio;
che, invece, una volta collegatosi con il sito corrispondente, contrariamente ad ogni legittima aspettativa, il consumatore si sarebbe trovato di fronte ad una pagina WEB costituita da un modulo per l’ordinazione di timbri;
che, pertanto, era evidente la gravità degli illeciti commessi dal convenuto per avere contraffatto le privative di marchio di titolarità dell’attrice e la conseguente applicabilità delle norme regolatrici del conflitto tra segni distintivi;
che, dal confronto tra le date di registrazione dei marchi Armani da parte dell’attrice con la data di registrazione del Timbrificio Armani nel registro delle ditte, doveva necessariamente concludersi che i diritti della Giorgio Armani s.p.a. sulla parola Armani erano senza dubbio anteriori a quello che poteva vantare la ditta convenuta;
che nel caso di specie ricorrevano tutti i presupposti per l’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 1 l.m. ovvero quella di cui all’art. 13 l.m.;
che, in particolare, sussistevano entrambe le condizioni degli indebiti vantaggi e del pregiudizio, richieste peraltro in via alternativa dall’art. 1 l.m., cui la legge subordina la tutela del marchio che gode di rinomanza nello Stato;
che, infine, il comportamento di controparte, oltre che costituire una palese contraffazione delle privative dell’attrice, costituiva atto illecito ex art. 2598 c.c. in quanto idoneo a creare confusione con i segni distintivi legittimamente utilizzati dall’attrice.
Tutto ciò esposto, Giorgio Armani s.p.a. chiedeva A) che fosse accertato e dichiarato che la registrazione e l’utilizzazione da parte del convenuto del domain name “armani” fosse illecita ai sensi della legge marchi e che quindi ne fosse ordinata la cancellazione e inibita la prosecuzione dell’illecito; B) che fosse accertato e dichiarato che la registrazione e l’utilizzazione da parte del convenuto della parola “armani” come domain name fosse illecita ai sensi dell’art. 2598 c.c. e che quindi ne fosse ordinata la cancellazione e inibita la prosecuzione dell’illecito; C) che fosse inibito al convenuto l’utilizzo della parola “armani” sotto qualsiasi forma ed a qualsiasi titolo ove non accompagnata da elementi idonei a differenziarla dai marchi e dalla denominazione sociale dell’attrice per evitare la confondibilità con gli stessi; D) che il convenuto fosse condannato al risarcimento dei danni ed in ogni caso al pagamento di una provvisionale; E) che fosse fissata una somma per ogni violazione della sentenza e per ogni ritardo nell’esecuzione dei provvedimenti in essa contenuti; F) che fosse ordinata la pubblicazione della sentenza; il tutto con vittoria di spese.
Con comparsa depositata il 25.3.1999, si costituiva Armani Luca il quale chiedeva il rigetto della domanda e contestava la qualificazione del domain name alla stregua di un segno distintivo, consistendo esso piuttosto in un mero indirizzo che identifica un certo sito o un server sulla Rete; deduceva che non aveva contraffatto il marchio Giorgio Armani s.p.a. in quanto si era limitato a dare il proprio cognome al proprio indirizzo nella rete; che, da una rapida e non esaustiva ricerca, si potevano rinvenire ben 1064 Armani nella rete Internet ed affinando la ricerca si rinvenivano nella sola Italia 187 domini con Armani identificativi nella loro pagina web, oltre a Giorgio Armani s.p.a., anche di rivenditori di piastrelle, studi di geometri, panetterie etc.; e che proprio l’enorme quantità di siti similari, aveva portato la giurisprudenza a considerare che, fino a quando l’utente non accede effettivamente alla pagina web, il domain name non ha alcuna attinenza o relazione con i servizi o beni offerti da quel sito, sicchè la confusione e l’uso illegittimo del marchio altrui andava determinata al momento dell’accesso alla pagina web, allorché l’utente viene in contatto con le pagine pubblicitarie del sito cui si collega; che, pertanto, era infondata la domanda formulata con riferimento alla tutela del marchio in quanto l’uso di un domain name su Internet, riproducente un marchio registrato da altra società, per fornire a sua volta dei servizi sulle rete telematica, poteva integrare la fattispecie della contraffazione del marchio, solo in quanto attività idonea a creare confusione tra gli utenti, limitatamente ai servizi e ai prodotti resi da entrambi i soggetti nel medesimo settore di attività; che, nel caso di specie, l’evidente differenziazione delle attività espletate dalle due società escludeva ogni pericolo di confusione; che non era corretta l’affermazione dell’attrice secondo cui l’uso del dominio in contestazione da parte del convenuto impediva all’attrice stessa di poter usufruire della stessa forma di pubblicità e del servizio Internet, rendendo concreto e reale il pericolo di confusione da parte di un potenziale cliente, ben potendo infatti l’attore richiedere l’uso di un dominio top level a livello internazionale; che era altresì privo di fondamento il contestato illecito concorrenziale ai sensi dell’art. 2598 c.c., anche in ragione della notevole differenziazione tra i prodotti e servizi resi dall’attrice con quelli del convenuto.
Nel corso del giudizio le parti si scambiavano le comparse ai sensi degli artt. 170 e 180 c.p.c., depositavano le memorie ex art. 183 ultimo comma c.p.c. e quelle per deduzioni istruttorie.
Quindi la causa, senza assunzione di mezzi di prova, era rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 17 ottobre 2002.
A tale udienza le parti precisavano le conclusioni trascritte in epigrafe, con richiesta di termini ex art. 190 c.p.c., decorsi i quali la causa era trattenuta dal giudice per la decisione.
Motivi della decisione
Con il giudizio promosso, Giorgio Armani s.p.a. chiede la tutela accordata dalla legge marchi e dalle norme del codice civile in tema di concorrenza sleale in quanto ritiene che la registrazione e l’utilizzazione da parte di Luca Armani, titolare dell’impresa individuale Armani Luca, del nome a dominio “armani”, al fine di accedere al suo sito Internet utilizzato per la vendita di timbri, integri la fattispecie della contraffazione del marchio Armani di cui essa è titolare, in tutte le sue diverse utilizzazioni per i prodotti ricompresi in quasi tutte le classi di registrazione, nonché della concorrenza sleale confusoria per l’utilizzazione di segni distintivi confondibili con quelli legittimamente usati dall’attrice stessa (art. 2598, n. 1 c.c.).
In assenza di una normativa che regolamenti le modalità di risoluzione dei conflitti tra titolari di nomi a dominio e titolari di altri diritti sui segni corrispondenti, il punto di partenza per valutare il fondamento della domanda dell’attrice non può che essere l’esame della funzione del nome a dominio in ragione della quale può pervenirsi alla successiva qualificazione giuridica dello stesso e alla conseguente individuazione della normativa ad esso applicabile.
Sotto tale profilo – contrariamente a quanto deduce il convenuto il quale invoca l’improcedibilità della domanda poiché nell’ordinamento giuridico vigente manca una normativa specifica concernente la rete Internet, sicchè la materia dovrebbe essere regolata dagli aspetti operativi, tecnici e logici propri del Domain Name System – va anzitutto affermato che le regole di naming dettate dalla Naming Authority e cioè quelle che stabiliscono la procedura per l’assegnazione dei nomi a domino, costituiscono mere regole contrattuali di funzionamento del sistema di comunicazione delle rete Internet, di carattere amministrativo interno, che non possono essere utilizzate dal giudice atteso che l’autorità giudiziaria è chiamata ad applicare la legge e non una normativa amministrativa interna.
Pertanto, l’assenza di una legge specifica importa non certo il ricorso alle regole interne di naming, bensì il ricorso all’analogia e quindi alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe alla fattispecie relativa all’utilizzo dei nomi a dominio.
Ne consegue che le regole per l’assegnazione dei nomi a dominio fondate sul principio first come first served per il quale il nome a dominio viene assegnato a chi lo richiede per primo, così come le procedure di riassegnazione del nome a dominio per valutare se sussistano o meno in capo al richiedente i requisiti per l’ottenimento e il mantenimento del nome a dominio assegnatogli in base alla suddetta norma tecnica del first come first served, non possono rappresentare le regole cui fare riferimento per la soluzione della controversia sottoposta all’attenzione di questo Tribunale, dovendosi invece fare ricorso alla analogia che, anzitutto, implica che sia individuata la funzione del nome a dominio sì da accertare se essa sia equivalente a quella dei segni distintivi dell’impresa.
Tanto premesso, il nome a dominio attraverso il quale si accede alla rete Internet – che, come è noto, è composto da diverse parti: quella iniziale comune a quasi tutti i nomi (http://www); quella centrale specificatamente individualizzante e quella finale che indica la cosiddetta estensione (com, net, org, edu, gov, it) – costituisce lo strumento indispensabile che consente di rendere visibile all’interno della rete un certo contenuto o attraverso il quale possono essere cercate notizie o informazioni su determinati argomenti.
In quanto strumento che concorre all’identificazione di un sito e, quindi, dei beni e/o servizi offerti per il suo tramite, non è contestabile che ad esso vada per lo più riconosciuta una funzione non limitata alla stregua di un mero indirizzo che consente tecnicamente all’utente l’accesso al sito contrassegnato, bensì anche di segno distintivo, perchè volto ad attirare l’attenzione degli utenti e ad invogliarli a visitare il sito.
La funzione di indirizzo è svolta dal nome a dominio nella sua integrità, mentre l’altra funzione si concentra nella parte centrale del nome che svolge quindi una funzione distintiva, con la conseguenza che, ove si tratti di siti commerciali, assume una funzione di segno distintivo di impresa e, pertanto, dei beni e/o servizi offerti dalla stessa.
La precisazione relativa al fatto che si tratti di siti commerciali consente di rilevare che è priva di pregio l’obiezione svolta dal convenuto nel contestare l’equiparazione del nome a dominio ad un segno distintivo dell’impresa: al riguardo, osserva il convenuto che, mentre il marchio ha una funzione commerciale e contraddistingue dei prodotti, il nome a dominio ben può essere utilizzato per fini diversi da quelli commerciali, dato che Internet non è solo strumento di sviluppo di industrie ed imprese, ma anche area di veicolazione di opinioni ed idee che non rientrano in una logica esclusivamente commerciale.
Incontestabile la ben più ampia area di Internet, non certamente circoscritta alle attività commerciali, il rilievo del convenuto non supera la conclusione sopraesposta, ma piuttosto vale ad evidenziare l’estrema varietà delle situazioni che possono venire in considerazione attraverso lo strumento in esame; tale enorme varietà, peraltro, deve solo portare ad escludere che al nome a dominio possa attribuirsi una qualificazione unica, dovendosi invece analizzare la concreta situazione, in quanto – a seconda delle circostanze del caso e avuto riguardo al contenuto e alla configurazione del sito – potrà a ragione, allorché il sito abbia carattere commerciale, equipararsi il nome a dominio ad un segno distintivo del tipo marchio d’impresa; nelle altre e diverse ipotesi in cui, ferma restando la funzione distintiva del nome a dominio nella sua parte descrittiva, esso sia utilizzato non già per accedere ad un sito commerciale e quindi non in funzione di individuazione di un’attività economica, bensì di trasmissione di opinioni e di idee, verrà certamente a mancare la ratio sottesa all’equiparazione del nome a dominio ai segni distintivi di impresa, con conseguente, e del tutto legittima, diversa qualificazione del nome a dominio.
Tanto rilevato, nelle ipotesi in cui il nome a dominio consente di accedere ad un sito commerciale, esso, nella parte individualizzante, sostanzialmente, viene a svolgere la funzione propria del marchio di distinzione di prodotti e servizi e, pertanto, è senz’altro suscettibile di entrare in conflitto con altri segni distintivi, ponendosi di conseguenza i problemi tipici dei segni distintivi d’impresa e correlativamente delle condizioni di tutelabilità dei segni stessi. Tale essendo, in queste ipotesi, la funzione del nome a dominio e quindi stante la sua notevole affinità con i segni distintivi tipici, in mancanza di una legislazione specifica in materia, deve ritenersi corretto il riferimento alla disciplina dei marchi registrati.
Ne deriva che l’uso di un nome a dominio su Internet corrispondente ad un marchio registrato altrui va considerato lesivo del diritto di esclusiva spettante al titolare del marchio ex art. 1 l.m. e che al conflitto tra domain name e marchio debbono applicarsi le norme che disciplinano i conflitti tra segni distintivi; ne deriva altresì che il titolare del marchio può opporsi all’adozione di un nome a dominio uguale o simile al proprio segno distintivo se, a causa dell’identità o affinità fra prodotti e servizi, possa crearsi un rischio di confusione che può consistere anche in un rischio di associazione.
La conclusione che precede è conforme al prevalente orientamento dei giudici di merito – tra le numerose, vedi Trib. Roma 2.8.1997 e 9.3.2000; Trib. Napoli 25.5.1999; Trib. Viterbo 24.1.2000: Trib. Cagliari 30.3.2000; Trib. Reggio Emilia 20.5.2000 e 30.5.2000; Trib. Parma 9.6.2000; Trib. Milano 3.2.2000; Trib. Brescia 10.10.2000 e 30.11.2000 – che ha senz’altro superato il contrario indirizzo espresso da alcuni Tribunali – Trib. Firenze 29.6.2000 ed anche Trib. Empoli 23.11.2000, richiamati dalla difesa del convenuti – che, invece, avevano attribuito al nome a dominio la funzione di un mero indirizzo elettronico. Siffatta qualificazione del nome a dominio, alla luce dei rilievi sopraesposti, coglie solo una funzione del segno in esame, tralasciando di considerare l’innegabile ed ulteriore funzione distintiva che la dottrina più attenta e la giurisprudenza ormai prevalente ha, a ragione, colto nel nome a dominio, valutando proprio la sua capacità di concorrere all’identificazione del sito e dei servizi commerciali offerti al pubblico attraverso esso.
Venendo quindi a considerare il caso sottoposto all’esame di questo tribunale, anzitutto si rileva che, come da documentazione in atti, attraverso il sito cui si accede digitando “armani.it” sono proposti i prodotti della impresa individuale Luca Armani (la cui attività precipua è la produzione di insegne luminose, targhe, timbri ed intarsio mobili, incisoria meccanica e commercio all’ingrosso di materiale elettrico per insegne luminose).
E’ pertanto pacifico, alla luce del contenuto del sito, che il nome a dominio “armani.it” registrato in favore di Armani Luca è utilizzato per identificare l’attività economica che fa capo al convenuto e che, stante la natura commerciale del sito, in forza di tutto quanto si è esposto e, quindi, della riconosciuta funzione di segno distintivo di impresa del nome a dominio, vengono in considerazione le norme che regolano il conflitto tra segni distintivi ed in particolare quelle dettate a tutela del titolare del marchio registrato, visto che l’attrice è titolare del marchio Armani e non è oggetto di alcuna discussione il fatto che quel marchio sia un marchio celebre.
La qualificazione del marchio Armani come marchio registrato che gode di rinomanza comporta che il titolare benefici della tutela ampliata, che esorbita cioè il limite dell’identità o affinità tra prodotti e servizi, potendo egli – ai sensi dell’art. 1, comma 1 lett. c) l.m. – vietare a terzi l’uso di un segno identico o simile, a prescindere dal rischio di confusione, laddove l’uso del segno consenta, alternativamente, di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca ad esso pregiudizio.
La tutela merceologicamente ampliata riconosciuta dalla legge del marchio celebre – quindi al di là della confondibilità in quanto, in tale ipotesi, il bene protetto non è l’interesse alla non confondibilità, bensì l’interesse di chi ha reso rinomato il segno a non vedersi sottratte o pregiudicate le utilità economiche che possono derivare da tale rinomanza – ogni volta che ricorra una delle condizioni previste dal citato articolo 1 l.m. sgombera il campo dalla rilevanza delle ulteriori difese del convenuto.
Secondo il convenuto, l’uso illegittimo del marchio altrui andrebbe valutato solo nel momento in cui l’utente viene in contatto con la pagina web e cioè con i beni e servizi offerti dal sito, nel senso che potrebbe ravvisarsi la fattispecie della contraffazione del marchio, allorché il domain name, utilizzato per fornire servizi sulla rete telematica riproducente il marchio registrato da altra società, sia idoneo a creare confusione tra gli utenti circa i servizi ed i prodotti resi dai soggetti nel medesimo settore di attività.
E’ agevole osservare che la ben più ampia tutela di cui gode il marchio celebre, sganciato dalla confondibilità tra prodotti e/o servizi, evidenzia come il tema di indagine proposto dal convenuto sia del tutto irrilevante al fine di valutare se ricorrano o meno gli elementi costitutivi della fattispecie della contraffazione del marchio celebre, che, come si è scritto, sono previsti nell’art. 1, comma 1, lett. c), l.m. (precisato sin d’ora che a conclusioni differenti si perverrà con riguardo alla fattispecie della concorrenza sleale confusoria, pure invocata dall’attrice a tutela dei propri diritti).
Orbene, tutte le condizioni previste dalla norma in esame ricorrono nel caso di specie.
In primo luogo, il nome a dominio “armani.it” è identico al marchio di cui la società attrice è titolare.
In secondo luogo, sussistono entrambe le ulteriori condizioni, peraltro richieste in via alternativa dalla legge.
Per quanto riguarda l’indebito vantaggio, l’adozione come nome a dominio della parola corrispondente ad un marchio che per la sua celebrità è entrato nel patrimonio di tutti i consumatori e che, pertanto, ha una fortissima capacità attrattiva, nonchè valore evocativo, consente al convenuto di procurarsi una vastissima notorietà, in quanto non vi è dubbio che l’utente Internet che desideri reperire il sito del celebre stilista digiterà proprio “armani.it” trovandovi, peraltro, indicazioni sui prodotti della ditta di Treviglio di cui è titolare il convenuto. Ne consegue che il titolare del timbrificio, sfruttando l’indiscutibile capacità attrattiva del marchio Armani, ottiene un notevole guadagno in termini di pubblicità (come è anche comprovato dalla rassegna stampa riportata nel sito del convenuto – doc. n. 9 dell’attrice – da cui emerge che i consumatori dei prodotti della celebre casa di moda digitino armani.it al fine di cercare il sito del noto stilista, imbattendosi, per errore, nel sito del convenuto), guadagno peraltro indebito perché derivato dallo sfruttamento dell’enorme fama acquisita dal marchio in questione che richiama un vastissimo numero di utenti Internet.
L’utilizzo del nome Armani da parte del convenuto, poi, reca pregiudizio all’attrice sol ove si consideri che impedisce alla stessa di utilizzare il proprio marchio come nome a dominio per l’estensione “it”.
Sotto tale profilo, il principio del “first come first served” – dettato dalla necessità tecnica per cui il corretto funzionamento della rete Internet esclude che vi possano essere identici nomi a dominio con la conseguenza che, se il nome prescelto è già stato assegnato ad un soggetto, non può essere assegnato ad altri, se non dopo il fruttuoso esperimento della procedura amministrativa di riassegnazione del nome a dominio – comporta che il titolare del marchio, che sia stato registrato da altri come domain name, non potrà utilizzare il proprio segno distintivo come nome a dominio.
La privazione della facoltà di utilizzare il proprio segno distintivo come nome a dominio costituisce pregiudizio per il titolare del segno stesso dal momento che l’indiscutibile diritto di ciascuna impresa di presentarsi attraverso il proprio nome e marchio al pubblico, secondo ogni modello di comunicazione, comporta che l’uso del segno distintivo in Internet debba essere ritenuta una prerogativa del titolare del segno, costituendo tale uso null’altro che esplicazione delle diverse e molteplici forme di uso commerciale del nome riservate al titolare della privativa.
E’, quindi, ravvisabile il pregiudizio per l’attrice che, in ragione della condotta del convenuto, non può presentarsi sulla rete Internet proprio attraverso il celebre marchio che costituisce indiscutibile richiamo per numero elevatissimo di consumatori, con conseguente perdita di tutti quegli utenti meno esperti delle rete Internet che limitino la propria ricerca al dominio armani.it. (fatto comprovato dai dati risultanti dai siti che rilevano il numero di utenti che hanno visitato il sito del convenuto, numero pari, in relazione ad un trimestre, a tre volte al numero degli utenti che hanno visitato il sito “giorgioarmani.it”).
Si osserva, inoltre, che è del tutto irrilevante la ricerca svolta dal convenuto il quale ha verificato l’esistenza di numerose pagine web riconducibili alla Giorgio Armani s.p.a., ricerca attraverso la quale il convenuto intende confutare l’affermazione dell’attrice secondo cui a causa dell’illegittimo comportamento di controparte il marchio Armani non può trovare ingresso in Internet.
Ed invero la ricerca svolta ha ad oggetto le pagine web in cui è presente la parola armani e non i nomi a dominio dei relativi siti: ciò premesso, è indiscutibile che, proprio in ragione della celebrità della parola “armani”, essa non può che comparire frequentemente nelle pagine web, ma ciò nulla ha a che fare con la questione oggetto del giudizio relativa al riconoscimento del titolare del marchio di utilizzare in via esclusiva il proprio marchio come domain name al fine di contraddistinguere il proprio sito.
Il pregiudizio è anche ravvisabile sotto il profilo dell’annacquamento del celebre segno in quanto, utilizzato in associazione alla vendita di timbri e targhe, viene a perdere la sua unicità sul mercato e per essa la forza di identificazione con i prodotti del celebre stilista, con conseguente indebolimento del carattere distintivo del marchio medesimo.
Per tutto quanto esposto, la registrazione e l’utilizzazione come nome a dominio della parola armani da parte del convenuto, per accedere al sito ove sono posti in vendita timbri, costituisce ipotesi di contraffazione del marchio di cui è titolare la società attrice.
Non vi sono le condizioni per ritenere applicabile in favore del convenuto la riserva posta dall’art. 1 bis l.m. che limita lo “ius excludendi”, spettante al titolare del marchio allorché il terzo utilizzi nell’attività economica il proprio nome e indirizzo purchè l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale e quindi non in funzione di marchio, ma solo in funzione descrittiva.
Al riguardo, il convenuto contesta di avere contraffatto il marchio altrui, osservando di essersi limitato ad utilizzare il proprio patronimico come nome a dominio, “considerato che il domain name è principalmente per sua natura un indirizzo elettronico” e, quindi, realizzando una condotta lecita ai sensi dell’art. 1 bis l.m..
L’eccezione del convenuto si sviluppa lungo l’erroneo presupposto che il nome a dominio costituisca un mero indirizzo elettronico, qualificazione che porterebbe conseguentemente a ritenere che l’uso della parola “armani” non sia in funzione di marchio.
Ricordato che l’art. 1 bis l.m. limita lo ius excludendi spettante al titolare della privativa allorché il terzo utilizzi nell’attività economica il proprio nome e indirizzo purchè l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale e quindi non in funzione di marchio, ma solo in funzione descrittiva, si osserva che la riconosciuta funzione distintiva del nome a dominio, cioè di identificazione dell’attività economica e per essa dei relativi prodotti e servizi, è circostanza che comprova l’erroneità della qualificazione operata dal convenuto e, al contempo, vale ad affermare che l’utilizzo del segno in esame come nome a dominio costituisce una forma di impiego di quel segno proprio in funzione del marchio.
Da ciò consegue che Giorgio Armani s.p.a., quale titolare del marchio Armani fondatamente può vietare al convenuto l’impiego nell’attività economica come nome a dominio del suo patronimico “armani” in quanto effettuato in funzione di marchio.
Si aggiunga che la circostanza che il convenuto abbia registrato come nome a dominio la sola parola “armani”, in luogo di quella corrispondente alla ditta sotto la quale esercita l’attività economica, conferma che di tale parola è fatto un uso non conforme ai principi della correttezza professionale, stante l’assenza di ogni doverosa aggiunta sì da differenziare il proprio domain name dal celebre marchio dell’attrice.
Neppure vale il richiamo operato dal convenuto alla disposizione dell’art. 21 l.m. a mente della quale la registrazione del marchio non impedirà, a chi abbia diritto al nome, di farne uso nella ditta da lui prescelta.
L’art. 21, coordinato con la disposizione di cui all’art. 13 che vieta l’adozione come ditta del marchio altrui e letto alla luce dell’art. 2563 c.c. che detta il contenuto obbligatorio della ditta laddove stabilisce che deve comunque “contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore”, va inteso nel senso di consentire all’avente diritto al nome di usare il nome stesso nella ditta da lui prescelta, ma anche di escludere che la ditta medesima possa consistere esclusivamente in quel nome ove l’inserimento di esso possa dar luogo a risultati confusori.
La facoltà attribuita dalla norma in commento concerne quindi l’uso del nome nella ditta, nel contesto di elementi idonei a differenziarla dal marchio registrato in modo da escludere il rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni.
Ciò rilevato, da un lato si osserva che non viene affatto contestato al convenuto la facoltà di impiegare nella ditta prescelta il proprio nome Armani; dall’altro lato, peraltro, è di tutta evidenza che laddove il convenuto impiega come nome a dominio la sola parola “armani” si è al di fuori della previsione della norma invocata, essendo la ditta prescelta dal convenuto – “Armani Luca” – diversa dal nome a dominio “armani”; pertanto, non è corretto invocare l’art. 21 l.m. per ottenere la tutela di un segno non corrispondente alla ditta e che, proprio perché differente da essa, ha di fatto comportato la mancanza di ogni elemento che valesse a differenziarlo dal marchio registrato della controparte.
Si conferma, pertanto, che la registrazione e l’utilizzazione da parte del convenuto del nome a dominio “armani” costituisce contraffazione dell’altrui marchio registrato; ne consegue che al convenuto, ai sensi dell’art. 63 l.m., deve essere inibito l’utilizzo della parola “armani” presso la rete Internet come nome a dominio, ove non accompagnata da elementi idonei a differenziarla dal marchio dell’attrice.
Ai sensi dell’art. 65 l.m., allo scopo di ristabilire chiarezza presso il pubblico dei consumatori circa la riconducibilità del nome a dominio “armani” al titolare del relativo marchio, il dispositivo della presente sentenza dovrà essere pubblicato, a spese del convenuto, sui quotidiani “Il Corriere della Sera” e sulla rivista “Internet Magazine”, oltre che sul sito Internet dell’attrice medesima.
L’attrice invoca anche la tutela prevista dal codice civile per le ipotesi della concorrenza sleale confusoria ex art. 2598 c.c..
Secondo Giorgio Armani s.p.a., il comportamento del convenuto, il quale utilizza come nome a dominio la parola corrispondente al marchio “Armani” registrato dall’attrice, è atto illecito anche ai sensi dell’art. 2598 c.c. in quanto idoneo a creare confusione con i segni distintivi legittimamente utilizzati dall’attrice.
La sussistenza della fattispecie invocata dall’attrice è contestata dal convenuto che deduce la mancanza di un rapporto di concorrenza tra attrice e convenuto i quali operano in settori merceologici del tutto differenti.
L,art. 2598, n. 1 comma I, c.c., laddove sanziona l’imprenditore che usa nome o segni distintivi idonei a produrre confusione con nomi o con segni distintivi legittimamente usati da altri, accorda una tutela limitata dalla necessità dell’effetto confusorio; ciò comporta che vi deve essere confondibilità sotto il profilo merceologico o del tipo di attività svolta in quanto, in mancanza, non è ravvisabile confusione in senso proprio e cioè la riconduzione di un prodotto o di un’attività da un imprenditore diverso dal suo autore. Occorre pertanto, o che i prodotti contrassegnati dai segni confondibili siano a loro volta confondibili, ovvero che, pur trattandosi di prodotti tra loro non confondibili, per il fatto di essere contraddistinti da segni confondibili e di essere merceologicamente affini, fanno ritenere al pubblico che vadano ricondotti all’attività produttiva o commerciale di un imprenditore diverso da quello cui competono.
Osservato che la tutela della disposizione in commento va accordata anche al segno distintivo costituito dal marchio registrato, sebbene trovi la propria specifica tutela nella legge marchi, si rileva che non sempre la contraffazione di un marchio costituisce anche concorrenza sleale confusoria, attesi i limiti della disciplina di quest’ultima rispetto alla tutela prevista nella legge marchi.
Ciò premesso, se vi è concorrenza sleale allorché si utilizza un segno altrui per prodotti identici o affini, essendo in tale caso ravvisabile il rapporto di concorrenza, non altrettanto può dirsi quando si tratti di prodotti non affini.
In tale ipotesi il titolare del marchio contraffatto non può invocare anche la tutela dell’articolo in commento, in quanto non ricorrerà la concorrenza sleale per mancanza del presupposto del rapporto di concorrenza. In altri termini, mentre la legge marchi conosce una categoria di segni – i marchi che godono di rinomanza – tutelati ben oltre il principio di relatività, e quindi al di là del limite dell’affinità tra prodotti, questi stessi segni non sono tutelabili ai sensi dell’art. 2598 c.c. laddove, per la mancanza di affinità tra prodotti, non sussista il rapporto di concorrenza.
Applicando questi principi al caso di specie si vede come l’utilizzo da parte del convenuto del nome “armani” come nome a dominio per accedere ad un sito ove sono offerti prodotti e servizi del tutto distanti da quelli di pertinenza dell’attrice e quindi per contrassegnare un settore produttivo che non è in rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2598 c.c. con quello dell’attrice, non è riconducibile all’ipotesi della concorrenza sleale confusoria di cui al numero 1 dell’articolo citato.
Il richiamo operato dall’attrice al concetto di concorrenza potenziale – per cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 2598 c.c., sarebbe sufficiente un rapporto di concorrenza potenziale tra i soggetti coinvolti – accolto da una parte della giurisprudenza nella prospettiva di estendere l’ambito di applicazione della norma in commento, non è idoneo a superare la conclusione sopraesposta. Ed invero, valutata la concorrenza potenziale sotto il profilo merceologico, essa può ravvisarsi, non già considerando astrattamente la mera potenzialità espansiva dell’impresa, bensì allorché appaia razionalmente prevedibile una estensione dell’ambito operativo di un’impresa a quello dell’altro.
Orbene, riconoscendo certamente la sicura tendenza espansiva della società attrice nei diversi settori dell’attività produttiva, come comprovato, tra l’altro, dall’ampliamento dal settore dell’abbigliamento a quello dei suoi più disparati accessori, nonché agli articoli per la casa, libri, composizioni floreali, dolci, deve escludersi che tale estensione possa in futuro portare ad un’operatività dell’attrice nel settore in cui opera il convenuto, vista l’assoluta estraneità dell’attività esercitata dall’uno rispetto a quella dell’altro.
Alla luce di quanto precede, deve escludersi che nei fatti dedotti dall’attrice siano ravvisabili gli elementi costitutivi dell’illecito concorrenziale confusorio.
Non viene invece presa in esame la fattispecie di cui al n. 3 dell’art. 2598 c.c., invocata per la prima volta dall’attrice in comparsa conclusionale, mentre in atto di citazione (pag. 16) la condanna del convenuto era stata chiesta solo ai sensi del n. 1 del citato articolo, avendo l’attrice fatto esplicito riferimento alla idoneità del comportamento del convenuto a creare confusione con i segni distintivi legittimamente utilizzati dall’attrice medesima; essendo le fattispecie contemplate dall’art. 2598 c.c. tra di loro autonome, è inammissibile la richiesta di condanna formulata per la prima volta in comparsa conclusionale ai sensi del n. 3 in luogo del n. 1 della citata disposizione del codice civile.
Venendo infine a considerare la domanda di risarcimento del danno, tale domanda non può essere accolta, non avendo l’attrice fornito alcun elemento di prova relativo al lucro cessante in concreto ad essa derivato dall’altrui condotta illecita, tenuto conto che il ricorso alla liquidazione equitativa del danno non è ammissibile laddove la parte ometta del tutto di fornire specifici dati di fatto al fine della determinazione del danno stesso.
Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e, pertanto, sono poste a carico del convenuto.
P.Q.M.
il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica, rigettata ogni altra ogni domanda, eccezione, deduzione, definitivamente pronunciando, così provvede:
– dichiara l’illiceità della registrazione e della utilizzazione da parte del convenuto del domain name “armani” ai sensi della legge marchi e per l’effetto ordina la cancellazione della parola “armani” nel nome a dominio registrato in favore del convenuto ed inibisce al convenuto stesso l’uso della parola “armani” come nome a dominio, ove non accompagnata da elementi idonei a differenziala dal marchio “Armani”;
– fissa la somma di euro 5.000 dovuta dal convenuto all’attrice per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della presente sentenza;
– ordina la pubblicazione del dispositivo della presente sentenza, a cura dell’attrice e a spese del convenuto, sul quotidiano il “Corriere della Sera”, sulla rivista “Internet Magazine”, nonché sul sito Internet dell’attrice;
– condanna Armani Luca alla rifusione delle spese del giudizio sostenute da Giorgio Armani s.p.a., che liquida in complessivi euro 13.526 di cui euro 10.000 per onorari, euro 2.536 per diritti, euro 990 per spese, oltre spese generali su diritti ed onorari Iva e Cpa;
Bergamo, 3 marzo 2003
Il Giudice Elda Geraci
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