Cass. SU Sent. 111/04

SENTENZA N.111/04
Reg. Gen. N. 311132/03
udienza in Camera di Consiglio del 26 aprile 2004

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Composta da Ill.mi Sigg. Magistrati:
1. dott. Nicola MARVULLI Presidente
2. dott. Paolo FATTORI Componente
3. dott. Mariano BATTISTI Componente
4. dott. Giorgio LATTANZI Componente
5. dott. Pietro Antonio SIRENA Componente
6. dott. Giovanni SILVESTRI Componente
7. dott. Pierluigi ONORATO (rel.) Componente
8. dott. Antonio Stefano AGRO’ Componente
9. dott. Giovanni CANZIO Componente
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Prato nel procedimento penale a carico di:
1. GESUALDI Mario, nato a Prato il 24.1.1972;
2. ROSSI Maurizio, nato a Foggia il 25.3.1972;
3. LO IOCO Francesco, nato a Nicosia il 22.9.1952;
4. NUTI Fabrizio, nato a Prato il 22.3.1971;
5. PRATESI Simone, nato a Prato il 22.7.1974;
6. ESPOSITO Carmine, nato a Sarno il 25.9.1959;
7. REMOLLINO Eugenio, nato a Muro Lucano (PZ) il 3.1.1962;

Avverso l’ordinanza resa il 15.7.2003 dal Tribunale del riesame di Prato.
Udita in udienza camerale la relazione svolta dal Consigliere dott. Pierluigi ONORATO;
Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona dell’Avv. Gen. Dott. Giovanni PALOMBARINI, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Uditi i difensori degli indagati, avv. Daniela AGNELLO, per tutti, avv. Roberto A. IACCHIA, per Esposito, avv. Arturo MERLO, per Remollino, avv. Francesco MISIANI, per Nuti, che hanno chiesto il rigetto del ricorso,

Osserva:
Svolgimento del procedimento

1. Il pubblico ministero presso il tribunale di Prato apriva un procedimento penale a carico di: Gesualdo Mario, quale gestore della Gesualdi Mario, Elaborazione Elettronica Dati, sita in Prato; Rossi Maurizio, quale gestori della Rossi Maurizio Elaborazione Elettronica Dati, sita in Prato; Lo Ioco Francesco, quale gestore della Lo Ioco Francesco Altri servizi n.c.a., sita in Prato; Nuti Fabrizio, quale gestore della Nuti Fabrizio Altri servizi n.c.a., sita in Montemurlo; Pratesi Simone, quale gestore dell’esercizio Laura di Simone Pratesi, sito in Prato; Esposito Carmine e Remollino Eugenio, quali gestori della Winner di Remollino Eugenio e Esposito Carmine & C., sita in Prato; ipotizzando il reato di cui agli artt. 88 del R.D. 18 giugno 1931 n. 7733 (t.u.l.p.s.), come sostituito dall’art. 37 comma 4, della legge 23 dicembre 2000 n. 388, e dalla legge 13 dicembre 1989 n. 401 (come modificato dall’art. 11, comma 35 della legge 24 dicembre 1993 n. 537, dall’art. 11 comma 4, del D.L. 30 dicembre 1993 n. 557, convertito con modificazione nella legge 26 febbraio 1994 n. 133 e dall’art. 37 comma 5, della legge 23 dicembre 2000 n. 388), in particolare del comma 4 bis, per avere, in assenza di concessione autorizzazione o licenza ai sensi dell’art. 88 t.u.l.p.s., esercitato l’organizzazione del gioco di scommesse c/o concorsi a pronostici, che la legge riserva allo stato o ad altro ente concessionario, per conto di allibratore estero (nella specie un bookmaker inglese, la Stanley International Bering Limited di Liverpool).
Su istanza del p.m. il giudice delle indagini preliminari di Prato disponeva, in data 20 giugno 2003, il sequestro preventivo delle aziende condotte dagli indagati.

2. Gli indagati presentavano istanza di riesame, e il Tribunale di Prato, con ordinanza 15 luglio 2003 annullava il provvedimento di sequestro, previa disapplicazione delgi artt. 4, comma 4bis, della legge n. 401 del 1989 e 88 del t.u.l.p.s per contrasto con i principi comunitari.
Al riguardo il Tribunale osservava che:
• “le restrizioni poste dall’art. 4 legge 401/1989 alla gestione del servizio delle scommesse, ovvero la necessità di concessione o autorizzazione rilasciata dai Ministeri o da altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse o incarico da parte dei concessionari o dei titolari di autorizzazione al fine di poter ottenere la licenza per l’esercizio delle scommesse prevista dall’art. 88 t.u.l.p.s. appaiono contrastare con il principio di libero stabilimento per le imprese degli Stati membri nel territorio della Comunità e con il conseguente loro diritto di avvalersi di collaboratori nella sede di stabilimento”;
• “la disciplina interna non sembra giustificata da alcune delle esigenze che secondo quanto stabilito dal Trattato, giustificano le restrizioni in questione…in quanto la disciplina in essere comprime il diritto di stabilimento, ma non appresta alcuna reale garanzia ai fini di tutela dell’ordine pubblico posto che essa lungi dal diminuire la possibilità di giochi allo scopo di tutelare le economie delle famiglie e dei singoli, ha comportato un forte incremento delle scommesse…essendosi allargato ili numero dei soggetti autorizzati a gestirle”;
• la disciplina nazionale “non è finalizzata alla sicurezza perché non sono previste particolari limitazioni atte ad impedire infiltrazioni di associazioni criminali tra i concessionari, non essendo previsti tra i presupposti per l’aggiudicazione delle concessioni incensuratezza né accertamenti circa la non appartenenza ad associazioni criminali”;
per tutte queste ragioni il Tribunale concludeva per la disapplicazione (rectius non applicazione) delle disposizioni nazionali con il conseguente annullamento del disposto sequestro.

3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il pubblico ministero ai sensi dell’art. 606, comma1 lett. b) ed e) c.p.p. sostenendo l’esistenza nell’attività posta in essere dagli indagati della organizzazione richiesta dall’art. 4 della legge 401/1989, così come precisata dalla giurisprudenza costante della corte di cassazione, stante il fatto che nei centri dagli stessi gestiti veniva svolta l’attività preparatoria alle scommesse (pubblicità, ricevimento delle quote, divulgazione degli eventi soggetti alle scommesse), il ricevimento delle puntate, la raccolta e trasmissione dei dati alla sede inglese della Stanley, nonché l’attività di pagamento delle puntate. Il ricorrente sostiene conseguentemente che gli indagati dovevano essere muniti di un’apposita concessione ad operare, della licenza di polizia di cui all’art. 88 t.u.l.p.s. nonché dell’autorizzazione rilasciata dal Ministero delle Comunicazioni, atteso che lo svolgimento dell’attività di raccolta di scommesse + subordinata per legge al preventivo rilascio di una concessione, di una licenza di pubblica sicurezza e, ove si svolga per via telefonica o telematica, di un ulteriore autorizzazione ad hoc.

4. il difensore degli indagati, avv. Daniela Agnello, ha presentato memoria in data 10 novembre 2003, chiedendo il rigetto del ricorso.
Richiama la decisione Gabelli della Corte di Giustizia europea, emessa per un caso analogo il 6.11.2003 ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, ed in particolare il dictum secondo il quale “una normativa nazionale contenente divieti – penalmente sanzionati – di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, ad eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dalla Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previsti, rispettivamente, agli art. 43 CE e 49 CE. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi.”
Il difensore ricorda altresì che, secondo la Corte Costituzionale, il diritto comunitario – così come interpretato dalla Corte di Giustizia europea – è immediatamente applicabile nell’ordinamento italiano, anche se configgente con leggi nazionali anteriori o posteriori: e ribadisce che la legislazione restrittiva italiana è ispirata da obiettivi che non sono idonei a giustificare gli ostacoli alle libertà tutelate dalla comunità europea.
In linea di fatto il contributo difensivo sottolinea che la “società madre”, ovvero la Stanley International Betting Licensig Limited, è autorizzata a operare come bookmaker con provvedimento della Betting Licensig Commite di Liverpool ai sensi del Betting Garning and L…. Act del 1963;
che a tal fine corrisponde la tassa sulle scommesse (General Betting Daty); che infine viene sottoposto ai controlli previsti dal Fisco Inglese (Irland Revennes e Custorn & Excise), da società private di A…(controllori), e dagli organi di vigilanza per le società quotate in borsa.
Il difensore precisa altresì che gli indagati, regolarmente iscritti alla camera di commercio, sono titolari di “centri trasmissione dati” (CDA), i quali, sulla base dei dati forniti dalla sede britannica, trasmettono le puntate raccolte alla stessa società estera, che provvede poi direttamente al pagamento delle vincite, riconoscendo al titolare del centro una provvigione in percentuale sul volume degli importi scommessi.
Nella stessa memoria viene, inoltre, contestata la legittimità della discriminazione operata dalla legislazione italiana nei confronti di operatori stranieri, regolarmente autorizzati nello Stato membro, e quindi ampiamente garantiti sotto il profilo della sicurezza pubblica e della prevenzione dei reati.

5. il ricorso + stato assegnato alla terza sezione penale di questa Corte, la quale ha ravvisato accenti di novità nella citata decisione Gabelli del 6.11.2003, rispetto alle precedenti sentenze della Corte di Giustizia europea, in base alle quali questa Corte di cassazione aveva costantemente ritenuto la compatibilità della legislazione italiana rispetto ai principi tutelati dal diritto comunitario. Ha ritenuto pertanto opportuno, anche per la rilevanza degli interessi coinvolti, che il massimo organo nom….. rivalutasse sul punto la precedente giurisprudenza di legittimità. Per conseguenza, con ordinanza del 18.11.2003, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite. Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’udienza del 31.3.2004.

6. Prima della udienza fissata, l’avv. Agnello ha depositato ulteriore articolata memoria, in cui sviluppa più a fondo la tesi precedente.
Anche l’avv. Francesco Misiani ha presentato memoria difensiva per conto dell’indagato Fabrizio Nuti.
Hanno presentato memorie anche molti altri soggetti “controinteressati” al dissequestro disposto nella ordinanza impugnata. Più esattamente:
• In data 11.3.2004 l’avvocato Carlo Alberti Antongiovanni ha depositato presso la cancelleria del tribunale di Lucca una memoria ex art. 90 c.p.p. per conto di Patrizia Lombardi, quale legale rappresentante della società IPPOS di Lucca, e di Massimo Ughi, quale rappresentante della società Giochi e Scommesse Firenze, sedente in Lucca, titolari di autorizzazioni di p.s. (?) e di concessioni per l’esercizio di scommesse ippiche e sportive nel comune di Prato, che in data 26.7.2002 avevano presentato denuncia alla questura di questa città contro gli agenti e i CTD (Centri Trasmissione Dati) che ivi operavano per conto della Stanley International Betting.
Il difensore, nell’interesse dei suoi assistiti, che definisce parti lese nel procedimento de quo, argomenta a sostegno della tesi della perfetta compatibilità della normativa italiana con il diritto comunitario;
• Con atto depositato in cancelleria il 13.3.2004 l’Avvocatura Generale dello Stato ha articolato una memoria per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministro dell’Interno e del Ministro dell’Economia e delle Finanze (Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato – Agenzia delle Entrate). Premette di avere interesse a intervenire nel processo, posto che si è già costituita parte civile nel procedimento pendente davanti al tribunale di Roma, al quale il tribunale di Ascoli Piceno ha trasmesso per competenza gli atti relativi a Piergiorgio Gabelli e altri, procedimenti nell’ambito del quale è intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia in via di interpretazione preventiva ex art. 234 Trattato CE.
In base ad una articolata argomentazione l’Avvocatura Generale chiede l’accoglimento del ricorso del procuratore della Repubblica di Prato.
Con successiva memori di replica l’Avvocatura ribadisce le argomentazioni già svolte e chiede l’annullamento della ordinanza impugnata;
• Con atto depositato in cancelleria il 25.3.2004 il C.O.N.I. – Comitato Olimpico Nazionale Italiano – nella sua qualità di ente concessionario per le scommesse sportive, legale destinatario di prelievi sulle somme versate dagli scommettitori, si è costituito parte civile contro gli indagati per mezzo degli avvocati Guido Valori e Massimo Ranieri, nominati procuratori speciali. Ha chiesto l’accoglimento del ricorso proposto dal procuratore della Repubblica di Prato.
• In pari data è stata presentata memoria dall’avv. Giammarco Frenelli, difensore delle società New Ber (?) s.r.l. e Giada Ber (?) s.r.l., autorizzate alla raccolta di scommesse con licenze di p.s.(?) e con concessioni da parte del C.O.N.I. e dell’U.N.I.R.E. Chiede l’accoglimento del ricorso del pubblico ministero.
• Sempre in data 15.3.2004 hanno depositato una memoria difensiva ex artt. 90 e 91 c.p.p. gli avvocati Giuseppe Bernardi e Castagnino, per conto della Sisal S.p.A. e della Match Point S.p.A., persone offese dal reato contestato in quanto titolari di concessioni pubbliche per la gestione di scommesse e concorsi pronostici su eventi sportivi.
In breve i difensori sostengono che la questione della compatibilità comunitaria della norma italiana non è rilevante nel caso di specie, posto che l’allibratore estero non risulta indagato. Essendo indagati solo operatori italiani che si trovano nel territorio italiano è applicabile solo la legge nazionale, senza che possa venire in rilievo il principio comunitario della libertà di stabilimento.
Aggiungono che comunque non si ravvisa alcun contrasto tra la legge 401/1989 e le norme del Trattato UE, e chiedono pertanto l’accoglimento del ricorso del P.M..
• In data 17 marzo 2004 ha presentato memoria anche l’avv. Giorgio Perroni per conto della lottomatica S.p.A., alla quale il Ministero delle Finanze ha concesso in esclusiva l’esercizio del gioco del lotto automatico con decreto ministeriale n. 4832 del 17.3.1993, integrato con d.m. 15.11.2000.
Il difensore premette che gli indagati, quali CTD(?) per la Stanley, raccoglieva anche giocate concernenti il lotto italiano. Per conseguenza sostiene che la Lottomatica è persona offesa in ordine al reato di cui all’art. 4, comma 1, legge 401/1989, siccome titolare dell’interesse che la norma protegge, di non vedersi usurpare le attribuzioni ad essa normativamente riservate. Di qui – secondo la memoria – la sua legittimazione a interloquire.
Tanto premesso sostiene con varie argomentazioni che le disposizioni del citato art. 4 non sono incompatibili con diritto comunitario e non possono essere disapplicate dal giudice italiano.

7. Alla udienza camerale del 31.3.2004 i difensori degli indagati hanno aderito alla astensione collettiva dalle udienze proclamata dagli organi forensi e la Corte ha rinviato il procedimento a nuovo ruolo.
È stata quindi fissata nuova udienza per il 26.4.2004.
Nel frattempo l’Avvocatura dello Stato, per conto del Ministero dell’Interno, ha depositato una nota esplicativa per illustrare le ragioni che giustificano la necessità che i concessionari per l’esercizio di scommesse ottengano la specifica autorizzazione di polizia di cui all’art. 88 t.u.l.p.s.
Anche il difensore della Lottomatica s.p.a. ha depositato memoria di replica per sostenere che la persona offesa dal reato ai sensi dell’art. 90 c.p.p. ha pieno diritto di interloquire, sia pure cartolarmente, nel procedimento cautelare in corso.
Il difensore delle società Newbert e Giadabet ha presentato memoria di replica volta a sostenere che la normativa italiana in tema di scommesse non è dettata da mere esigenze fiscali, ma dalla necessità di combattere la frode sportiva (la fiscalità è uno strumento importante, ma non il fine della politica legislativa).
In data 20.4.2004, l’avv. Roberto A. Jacchia, ha depositato una memoria molto articolata per conto della Stanley International Beting Limited. Sostiene che il bookmaker britannico è parte del procedimento cautelare avendo interesse a conservare la disponibilità degli strumenti informatici e telematici che gli sono stati sequestrati in via ……. e effettiva. Contesta invece la titolarità di uno ius postulandi in capo ai soggetti che sono intervenuti come sedicenti persone offese: infatti – argomenta – tra i vari interessi indicati come oggetto della norma penale, quello dell’ordine pubblico spetta per legge all’ufficio del pubblico ministero e non agli organi del potere esecutivo mentre quelli fiscali (impersonati dal Ministero dell’economia e delle finanze) o economici (impersonati dall’AAMS, dal CONI e dai concessionari e affidatari privati) non possono essere invocati per giustificare deroghe alle libertà di stabilimento e di prestazione di servizi consacrate nel Trattato CE. A tutto concedere quindi questi ultimi interessi potrebbero consentire la costituzione di parte civile nella sede processuale propria, ma non nella presente fase incidentale.
Nel merito confuta analiticamente le tesi delle sedicenti persone offese e chiede il rigetto del ricorso pubblico ministero pratese, previa disapplicazione dell’art. 4 legge 401/1989. in estremo subordine chiede prospettarsi nuova pregiudiziale interpretativa alla Corte di Giustizia europea ex art. 234, ultima comma, del Trattato.
In pari data lo stesso avv. Jacchia ha depositato una memoria altrettanto diffusa per conto dell’indagato Carmine Esposito, in cui ripete le argomentazioni di merito nella memoria Stanley.
Anche il CONI ha presentato un’ulteriore memoria.
Motivi della decisione

8. Va inanzitutto ribadita l’esclusione dal procedimento della società Ippos, della società “Giochi e Scommesse Firenze”, dell’Avvocatura Generale dello Stato, delle società “New. Bet” e “Giada Bet”, della Sisal s.p.a. e della Match Point s.p.a., della Lottomatica s.p.a., del C.O.N.I. e della Stanley International Betting Limited, già disposta con ordinanza letta all’udienza camerale del 26.4.2004.
8.1 – I primi otto soggetti hanno giustificato, più o meno, esplicitamente, la loro pretesa legittimazione al procedimento sulla base dell’art. 90 c.p.p., che attribuisce alle persone offese, cioè ai titolari particolari dell’interesse tutelato dalla norma penale, la facoltà di presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento. Diversa è la facoltà dei danneggiati, cioè dei soggetti che subiscono una diminuzione patrimoniale, la conseguenza del reato, i quali possono solo costituirsi parti civili ed esercitare i relativi diritti che l’ordinamento processuale riconosce a chi esercita l’azione civile nell’ambito del processo penale.
Posto che la legge 401/1989, rispetto al precedente D.Lgs 14.4.1948 n. 496 sulla disciplina dell’attività di gioco, ha indubbiamente ampliato lo spettro dell’oggettività giuridica che, se prima era limitata alla tutela degli interessi finanziari, ora si estende anche alla protezione dell’ordine pubblico e sociale al fine di prevenire determinate forme di criminalità che possono infiltrarsi nella gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici (v. ex multis Cass. Sez. III, del 29.7.1999, Barbari, rv. 214169; Cass. Sez. II, n. 26145 del 18.6.2003, P.M. in proc. Lattanti rv. 225743), resta da accertare quali soggetti possono qualificarsi come titolari particolari del plurimo interesse pubblico tutelato dalla norma.
Ma, a prescindere da tale questione, che incide sulla incerta materia dei reati plurioffensivi, la costante giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che le persone offese dal reato non sono legittimate a partecipare al procedimento di riesame del sequestro preventivo, e quindi neppure al giudizio di cassazione contro l’ordinanza che ha deciso sul riesame, a meno che non rivestano anche la qualità di persone che potrebbero avere diritto alla restituzione delle cose sequestrate (cfr. da ultimo Cass. Sez. I, n. 3123 del 16.6.2000, Cimiero, rv. 216199). Ciò perché a norma dell’art. 322, comma 1, c.p.p. possono presentare istanza di riesame solo l’imputato o indagato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.
Se no deve concludere che lo ius postulandi che l’art. 90 c.p.p. attribuisce alla persona offese dal reato presuppone pur sempre la legittimazione di questa a partecipare al procedimento.
In altri termini la norma non costituisce una legittimatio ad processum – derivante invece dall’art. 322 c.p.p. – ma definisce soltanto il contenuto delle facoltà che la persona offesa può esercitare nell’ambito del procedimento per il quale è legittimata.
Inoltre, per quanto appreso si dica, non possono partecipare alla fase di legittimità del procedimento i soggetti che – come quelli suddetti – non hanno partecipato alle precedenti fasi di merito.
8.2 – Diversa è invece la posizione del C.O.N.I. (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), che si è costituito parte civile. Ad esso, come ente al quale lo Stato ha concesso il monopolio delle scommesse sportive (diverse da quelle sulle gare di cavalli affidate all’Unione per l’incremento delle razze equine – U.N.I.R.E.) nonché la gestione dei prelievi sulle somme versate dagli scommettitori, non può negarsi la qualità di danneggiato dal reato di organizzazione abusiva di scommesse o pronostici su attività sportive, e quindi la possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale relativo a questo reato.
Tuttavia – com’è noto – l’azione civile nel processo penale può essere esercitata solo dal momento in cui il pubblico ministero promuove l’azione penale formulando l’imputazione e art. 405 c.p.p., atteso che presupposto essenziale dell’azione civile in sede penale è che sia individuato definitivamente un imputato nei cui confronti possa esercitarsi la pretesa risarcitoria o restitutoria. Nella presente fattispecie, però, ancora ferma alla fase delle indagini preliminari, l’azione penale non è stata ancora esercitata: sicchè la costituzione di parte civile del C.O.N.I. non può essere ammessa.
È appena il caso di aggiungere che la costituzione di parte civile asseritamene fatta dall’Avvocatura di Stato nel distinto processo Gabelli, non la abilita automaticamente a partecipare al presente procedimento, posto che la legittimatio ad processum è limitata al singolo rapporto processuale, identificato non solo dal suo oggetto (reato) ma anche dai suoi soggetti (ufficio del pubblico ministero, imputati, parti civili).
8.3. – Ancora diverso infine è il titolo adotto dalla Stanley International Betting Limited, che assume di avere diritto alla restituzione delle aziende e cose sequestrate, in quanto asseritamente proprietaria dei software che “interfacciano” casa madre inglese e agenzie italiane.
Prescindendo in questa sede dalla necessaria verifica dei presupposti fattuali da cu derivi un interesse, anche indiretto, alla restituzione degli apparati telematici di collegamento tra la Stanley e i suoi agenti italiani, basta qui osservare che non può ritenersi legittimato a partecipare al giudizio di cassazione il soggetto che, come la Stanley, sta rimasto estraneo al precedente grado di giudizio. Questa corte già correttamente chiarito che dal combinato disposto degli artt. 325, primo comma e 322 cod. proc. pen. Si desume che sono legittimati a proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze rese a norma dell’art. 324 cod. proc. pen .(riesame in tema di sequestro preventivo) solo i soggetti che hanno partecipato al relativo procedimento di riesame (Cass. Sez. III, n. 1318 del 24.5.1994, Min. Marica mercantile e Min, Finanze in proc. Franconeri, rv. 198865). La massima vale per escludere non solo il potere di impugnazione ma anche quello di partecipazione al giudizio di legittimità, essendo principio imm….. all’ordinamento processuale penale che possono partecipare ai gradi superiori del giudizio solo i soggetti che hanno partecipato ai gradi inferiori, non potendo il rapporto processuale includere soggetti nuovi nella sua evoluzione da un grado all’altro.

9. A questo punto, prima di affrontare la questione rimessa a queste Sezioni Unite, sembra opportuno accenare per sommi capi allo stato della normativa italiana in materia di scommesse e concorsi pronostici, sottolineando i profili più rilevanti per il thema decidendum.
Il linea di principio vigeva in questa materia un monopolio statale pressoché assoluto. Infatti l’art. 88 del t.u.l.p.s. (R.D. 18.6.1931 n. 773) stabiliva che non potesse essere concessa licenza per l’esercizio di scommesse, fatta eccezione solo per le scommesse nelle corse, nelle regate(?), nei giuochi di palla o pallone o in altre simili gare, quando l’esercizio delle scommesse costituisse una condizione necessaria per l’utile svolgimento della gara.
Successivamente è stato emanato il fondamentale D.Legs. 14.4.1948 n. 496, che comincia ad allentare la rigidità del monopolio e ad allargare la possibilità di ricorrere a terzi concessionari. Infatti l’organizzazione e l’esercizio di giochi di abilità e di concorsi pronostici, per i quali si corrisponda una ricompensa di qualsiasi natura e per la cui partecipazione sia richiesto il pagamento di una posta di denaro, sono sempre riservati allo Stato (Ministero delle Finanze), il quale però può gestire l’attività o direttamente o indirettamente attraverso persone fisiche o giuridiche che diano adeguate garanzie di idoneità. Inoltre la gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici è direttamente riservata al C.O.N.I. o all’U.N.I.R.E. qualora siano connessi con manifestazioni sportive organizzate o svolte sotto il controllo di questi enti, i quali devono corrispondere una tassa (ora imposta unica) sull’ammontare degli introiti lordi.
In seguito, per contrastare il preoccupante aumento delle frodi nello svolgimento delle competizioni agonistiche e il dilagare delle scommesse clandestine, viene emanata la legge 13.12.1989 n. 401, la quale con l’art. 4, sancisce penalmente varie ipotesi di esercizio abusivo delle scommesse.
In particolare questa norma punisce, ora con la reclusione ora con l’arresto e l’ammenda: a) l’esercizio abusivo del gioco del lotto, di scommesse e concorsi pronostici riservati allo Stato o ad altro ente concessionario; b) l’esercizio abusivo di scommesse o pronostici su attività sportive gestite dal C.O.N.I. e dall’U.N.I.R.E.; c) l’esercizio abusivo di pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali o giochi di abilità; d) la vendita sul territorio nazionale, non autorizzata dall’A.A.M.S., di biglietti di lotterie o di analoghe manifestazioni di somme di stati esteri; e) la partecipazione alle operazioni di cui alla lett. d) mediante la raccolta di prenotazioni di giocate e l’accreditamento delle relative vincite e la promozione e la pubblicità effettuata con qualunque mezzo di diffusione (queste due ultime ipotesi sono state introdotte con le leggi 537/1933 e 133/1994); f) la pubblicità data in qualsiasi modo all’esercizio delle scommesse, dei giochi e ai concorsi pronostici abusivi; g) la mera partecipazione alle scommesse, ai giochi e ai concorsi pronostici abusivamente gestiti.
Giova sottolineare a questo punto che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, già in base alla normativa testè citata l’esercizio di pubbliche scommesse su competizioni sportive è sempre soggetto all’autorizzazione di polizia di cui all’art. 88 t.u.l.p.s., sicchè è punito come abusivo dall’art. 4 legge 401/1989 l’esercizio non autorizzato di scommesse su competizioni sportive, anche se detto esercizio si svolge solo in parte in territorio italiano per conto di operatori stranieri (cfr., fra le altre Sez. III, n. 2947 del 16.11.1995, Santangelo, rv 202786, , Sez. III n. 519 dell’8.3.1997, P.M. in proc. Scalfari, rv. 207288; Sez. III, n.2530 del 16.10.1997, ……., rv. 209626; Sez. III, n. 1999 del 1.7.1999, De Giulio. Rv. 214220; Sez. III n. 19063 ( ?) del 29.7.1999, Barbad, rv. 214169; Sez. III, n. 124 del 27.3.2000, Foglia, rv. 216223; Sez. III, n. 7764 del 4.7.2000, Vicentini, rv. 216986, che fanno applicazione più o meno motivatamente dell’art. 6 c.p.).
In seguito la normativa si evolve e perfeziona ulteriormente. Con legge 28.12.1995 n. 549 (?) (misure di razionalizzazione delle finanza pubblica) si stabilisce che la raccolta delle giocate del lotto e dei concorsi pronostici deve essere effettuata direttamente presso le ricevitorie a ciò espressamente autorizzate, non essendo ammessa alcuna forma di intermediazione (art. 3, comma 228). Con una importante innovazione si attribuisce al C.O.N.I. la facoltà di affidare la gestione delle scommesse ad esso riservate a persone fisiche, società o altri enti che offrano adeguate garanzie (art. 3 comma 229). Al C.O.N.I. sono destinate determinate quote di prelievo sull’introito lordo delle scommesse al netto dell’imposta unica e delle spese, stabilendo che l’ente pubblico deve destinare una quota di questi proventi netti allo scopo di favorire la diffusione delle attività delle attività sportive, attraverso interventi destinati a infrastrutture sportive, anche scolastiche, nonché allo sviluppo delle attività dei settori giovanili e dei vivai per le attività agonistiche federali (art. 3, comma 231).
Il regolamento del Ministero delle Finanze emanato in base a quest’ultima legge (D.M. n. 174 del 2.6.1998) prevede appunto che il C.O.N.I. possa attribuire, con gara da espletare secondo la normativa nazionale e comunitaria, le concessioni per l’esercizio delle scommesse sportive a totalizzatore nazionale e a quota fissa a persone fisiche, società ed altri enti con idonei requisiti anche finanziari, preoccupandosi della trasparenza dell’assetto proprietario dei soggetti concessionari e di una razionale distribuzione sul territorio dei punti di raccolta e accettazione delle scommesse (art. 2, comma 1). Al fine di garantire la trasparenza dell’assetto proprietario, se il concessionario è istituito in forma di società di capitali, si stabilisce che le azioni aventi diritto di voto o le quote vanno intestate a persone fisiche, società in nome collettivo o in accomandita semplice e non possono essere trasferite per semplice girata (art. 2 comma 6). Inoltre, è vietata ogni forma di intermediazione e le scommesse devono essere effettuate esclusivamente presso i punti di accettazione espressamente autorizzati dal C.O.N.I. e dall’autorità di pubblica sicurezza (art. 7).
Analogo sistema è previsto dall’art. 3, comma 78 della legge 23.12.1996 n. 662 (misure di razionalizzazione della finanza pubblica) per la gestione delle scommesse relative alle corse dei cavalli, che si preoccupa tra l’altro di assicurare un costante monitoraggio del benessere degli animali e la prevenzione delle pratiche di doping.
Il regolamento emanato in base a questa legge (D.P.R. 8.4.1998 n. 169) prevede la possibilità che il Ministero delle finanze, d’intesa con il Ministero per le politiche agricole, attribuisca la concessione dell’esercizio delle scommesse sulle corse dei cavalli a persone fisiche e società con idonei requisiti anche in ordine alla solidità finanziaria, assicurando tra l’altro la trasparenza dell’assetto proprietario degli enti concessionari e la razionale e bilanciata distribuzione sul territorio nazionale della rete di raccolta e accettazione delle scommesse. Anche in questo settore se il concessionario è una società di capitali, le azioni con diritto di voto e le quote sociali devono essere intestate a persone fisiche, società in nome collettivo o in accomandita semplice e non possono essere trasferite per girata.
Ancora più direttamente importanti per lo specifico oggetto del presente procedimento sono le innovazioni introdotte con la legge finanziaria 2001 (n. 338 del 23.12.2000). L’art. 377 di questa legge, infatti, modifica l’art. 88 t.u.l.p.s. e introduce due nuovi commi al citato art. 4 legge 401/1989.
Il nuovo testo dell’art. 88 prende atto – per così dire – che nel sistema delle scommesse la concessione a soggetti privati non è più una eccezione e riformula per conseguenza la necessità della licenza di polizia come regola generale, invece che come deroga a un divieto, collegandola strettamente al sistema delle concessioni. Infatti “la licenza per l’esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte dei Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione”. Diventa così più esplicito quello che anche prima era comunque indubitabile: il privato che voglia esercitare un’attività di scommesse pubbliche deve essere munito sia dell’autorizzazione di pubblica sicurezza sia della concessione.
Coerentemente l’art. 37 della legge 388/2000 introduce nel succitato art. 4 legge 401/1989 il comma 4 bis, secondo cui le sanzioni penali previste nei commi precedenti sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 88 t.u.l.p.s., svolga un’attività organizzata diretta ad accettare o raccogliere, anche per via telefonica o telematica, scommesse di qualsiasi genere da chiunque gestite in Italia o all’estero.
Contestualmente si introduce anche il comma 4 ter, che applica le stesse sanzioni a chiunque effettui la raccolta o la prenotazione di giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scommesse per via telefonica o telematica, ove sprovvisto di apposita autorizzazione all’uso di tali mezzi. Si precisa così che per la gestione di scommesse pubbliche per via telefonica o telematica è necessaria, oltre alla concessione e all’autorizzazione di polizia, anche una specifica autorizzazione del Ministero delle comunicazioni in relazione al mezzo impiegato.
Nel frattempo il D.L. 8.7.2002 n. 138, convertito in legge 8.8.2002 n. 178, ha stabilito l’unificazione delle competenze in capo all’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (A.A.M.S.), alla quale sono affidate in concessione tutte le funzioni in materia di organizzazione ed esercizio dei giochi, scommesse e concorsi pronostici, ferma restando la riserva a favore del C.O.N.I. prevista dall’art. 6 della succitata legge 496/1948.
Da ultimo è intervenuta anche la legge finanziaria 2003 (n. 289 del 27.12.2002), la quale con l’art. 22, commi 8 e segg., disciplina il trasferimento delle concessioni, preoccupandosi della idoneità dei locali e della razionale distribuzione degli stessi nel territorio, stabilisce espressamente che alle procedure concorrenziali di affidamento delle concessioni possono partecipare anche le società di capitali (sull’origine e il significato di quest’ultima norma si dirà in appresso).

10. Analoga a quella italiana è la legislazione vigente nel Regno Unito, che risulta pacificamente applicata per la Stanley International Betting Lmt.
Ai sensi del Betting Gaming and Lotteries Act del 1963 per operare come bookmaker è necessaria un’autorizzazione rilasciata dal Betting Licensing Commitee territorialmente competente, così come è necessaria una licenza per aprire agenzie di scommesse. Il controllo pubblico che si esercita attraverso il rilascio di queste autorizzazioni riguarda sia i soggetti, di cui si verifica l’idoneità professionale e morale, sia i locali e in genere la dimensione territoriale, dovendosi verificare l’idoneità dei locali stessi sotto il profilo dell’ordine pubblico, nonché la conseguenza dei punti di accettazione con la domanda diffusa nel territorio. In coerenza con questa impostazione, l’autorizzazione è richiesta anche per gli agenti di un committente già autorizzato.
A differenza di quanto prevede la legislazione italiana, però, non possono essere autorizzate le persone che non siano residenti da almeno sei mesi nel territorio del Regno Unito e le società che non risultino stabilite da almeno sei mesi nello stesso territorio.
Sono previste sanzioni penali (pecuniarie, e in certi casi anche detentive sino a sei mesi) per chi organizza scommesse senza autorizzazioni o in locali senza licenza.

11. Tanto premesso, si può affrontare la questione rimessa a queste Sezioni Unite, che così suona: “se a seguito della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 6.11.2003 in causa Gabelli, l’art. 4, comma 4 bis, della legge 13 dicembre 1989 n. 401, introdotto dall’art. 37, comma 5, della L. 23 dicembre 2000, n. 388, che sanziona penalmente l’attività di chi svolga in Italia attività organizzata di accettazione, raccolta, prenotazione, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere, da chiunque accettate in Italia o all’estero, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza, debba essere disapplicato dal giudice italiano, in quanto in contrasto con la normativa comunitaria sulla libertà di stabilimento e sulla libera prestazione dei servizi all’interno del territorio dell’Unione Europea”.
11.1 – La giurisprudenza della C.G. europea si era già espressa in casi analoghi in modo uniforme, anche, anche se progressivamente più incisivo.
Così nella sentenza 24.3.1994, Schindler, Causa C-275/92, aveva statuito che una normativa nazionale che vieti agli organizzatori di lotterie di altri Stati membri di promuovere le loro lotterie e di venderne i biglietti (sia direttamente per il tramite di agenti locali) nel territorio dello Stato membro che ha emanato detta normativa costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi di cui all’art. 59 (ora 49) del Trattato CE; tuttavia questa normativa, qualora non comporti alcuna discriminazione in base alla nazionalità, può risultare giustificata per il fatto che persegua scopi legati alla tutela dei consumatori e alla protezione dell’ordine sociale, la quale si preoccupa sia delle modalità di organizzazione delle lotterie sia della destinazione dei proventi a scopi socialmente rilevanti (di cultura, sport, beneficenza e simili).
La sentenza Lara (?) del 21.9.1999, causa C-124/97, stabiliva che una normativa nazionale che impedisca a operatori di altri Stati membri di mettere in circolazione apparecchi automatici per giochi d’azzardo costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi di cui all’art. 49 del Trattato, ma può essere giustificata, se non implica alcuna discriminazione in base alla nazionalità per motivi connessi alla tutela del consumatore e alla protezione dell’ordine sociale.
Ancora più attinente al presente caso di specie è la sentenza del 21.10.1999, Zenatti (?), causa C-67/98, la quale ha stabilito che una normativa nazionale che riserva a taluni enti il diritto di esercitare scommesse sugli avvenimenti sportivi e che impedisca così agli operatori degli altri Stati membri, direttamente o indirettamente, di procedere essi stessi all’esercizio di scommesse, costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi. Tuttavia questa normativa restrittiva può essere giustificata, qualora non comporti alcuna discriminazione in base alla nazionalità, da esigenze imperative di interesse generale, quali la tutela del giocatore, la lotta alle frodi e alle infiltrazioni criminali, sempre che le restrizioni imposte dalla normativa non siano sproporzionate rispetto a tali esigenze. Precisa la sentenza che rientra nel potere discrezionale dello Stato membro valutare se, per l’obiettivo perseguito, sia necessario vietare totalmente o parzialmente l’esercizio delle scommesse o soltanto limitarlo. Prevedendo a tale scopo modalità di controllo più o meno rigide.
Anche la recente pronuncia dell’11.9.2003, causa C-6/01, Anomar, offre spunti interessanti nella soggetta materia. Con essa la Corte (Terza sezione) afferma che una legislazione che autorizza l’esercizio commerciale e la pratica dei giochi di somme o d’azzardo soltanto nelle sale dei casinò esistenti nelle aree di gioco istituite con decreto legge, e che si applica indistintamente ai cittadini nazionali e ai cittadini di altri Stati membri, costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi. Tuttavia gli artt. 49 e segg. del Trattato CE non ostano a una siffatta legislazione nazionale, tenuto conto delle finalità di politica sociale e di prevenzione delle frodi che ne costituiscono il fondamento. Ribadisce la sentenza che spetta alle autorità nazionali valutare se per lo scopo perseguito sia necessario vietare l’attività de quo o sottoporla a controlli più o meno rigidi.
Alla luce di queste pronunce, la giurisprudenza di legittimità aveva sempre ritenuto che l’art. 4 della legge 401/1989 fosse comparabile con il diritto comunitario perché dettato da esigenze imperative di interesse generale (cfr. in particolare le citate sentenze Foglia e Vicentini, nonché Cass. Sez. III, n. 36206 del 6.10.2001, Pugliese, rv. 220112).
11.2 – La sentenza Gabelli si iscrive in questo costante filone giurisprudenziale, anche se contiene considerazioni innovative che hanno suggerito alla sezione remittente la necessità di ripensare il suo precedente orientamento, che non aveva mai dubitato della compatibilità comunitaria della legislazione italiana.
Con questa sentenza la Corte di Giustizia, adita ai sensi dell’art. 234 Trattato CE da un giudice italiano per un caso (perfettamente coincidente con quello presente) di sequestro preventivo di aziende italiane collegate alla Stanley, stabilisce nel dispositivo che “una normativa nazionale contenente divieti – penalmente sanzionati – di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a venti sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previsti, rispettivamente, agli artt. 43 e 49 CE. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa propone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi”.
11.2.1 – Occorre a questo punto precisare che l’interpretazione pregiudiziale dettata dalla Corte europea ai sensi dell’art. 234 del Trattato è rilevante e vincolante per il giudice italiano anche se – come nel caso di specie – l’allibratore straniero non è sottoposto ad indagini nel presente procedimento.
Infatti l’art. 234, realizzando una forma di cooperazione tra giudici nazionali e Corte di Giustizia, configura un meccanismo centralizzato di interpretazione del diritto comunitario teso a garantire la certezza del diritto in tutti i casi si deve fare applicazione della norma sottoposta a interpretazione pregiudiziale.
Il giudice comunitario ha quindi un monopolio interpretativo del diritto comunitario, ma non ha competenza sul diritto nazionale (CG 1.12.1965, Causa C-33/65). Non può quindi procedere alla valutazione o alla qualificazione della fattispecie concreta e delle relative norme di diritto interno (CG 3.2.1977, Causa C-52/76, Benedetti; CG 29.4.1982, Causa C-17/81 P…).

Inoltre gli rimane preclusa l’applicazione al caso concreto delle norme comunitarie da essa interpretate (CG 11.7.1985, Mutsch, Causa C-137/84; da ultimo CG 11.9.2003, An……, Causa C-6/01).

Spetta invece al giudice nazionale valutare la pertinenza delle questioni di diritto poste dalla controversia di cui è investito e la necessità di una pronuncia pregiudiziale ex. art. 234 (CG 27.10.1993, Enderby, Causa C-172/92; CG 2.6.1994, Causa C-30/93).

11.2.2 – Ritornando alla sentenza Gabelli, il primo elemento di novità immediatamente percepibile sta nel fatto che la compatibilità comunitaria della normativa nazionale è qui valutata con riferimento non solo alla libera prestazione di servizi ma anche alla libertà di stabilimento, la quale ai sensi dell’art. 73 Trattato CE esprime il diritto delle persone fisiche o giuridiche di uno Stato membro di trasferirsi nel territorio di altro Stato membro per accedere alle attività non salariate, per costituirvi e gestirvi imprese, o per aprire agenzie, succursali o filiali.
La libertà di stabilimento si distingue dalla libera prestazione dei servizi per il carattere non episodico e non occasionale dell’attività esercitata nello Stato ospitante, e dalla libera circolazione dei lavoratori per il carattere non salariato delle stessa attività.
Il parametro di riferimento di cui all’art. 43, quindi, si attaglia perfettamente all’attività di gestione delle scommesse che la società britannica Stanley esercita nel territorio italiano attraverso i suoi agenti, incaricati della prenotazione, della raccolta, dell’accettazione e del pagamento delle scommesse stesse.
Un secondo elemento di novità, peraltro molto relativo, sta in alcuni passaggi argomentativi della motivazione. Sono perfettamente in linea con la pregressa giurisprudenza comunitaria le affermazioni secondo cui costituisce una violazione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi la disciplina dell’art. 4 della legge italiana 401/1989 (punto 59 della motivazione), laddove impone: a) restrizioni alla Stanley per l’esercizio di scommesse nel territorio italiano attraverso una rete di agenzie ivi stabilite (punto 46); b) restrizioni alla Stanley per la prestazione via Internet di servizi di scommesse a destinatari italiani (punto 54); c) il divieto penalmente sanzionato per i giocatori italiani di connettersi on line con il bookmaker stabilito in Gran Bretagna per partecipare a scommesse da questo organizzate (punti 56 e 57).
Altrettanto in linea con la pregressa giurisprudenza è l’affermazione secondo cui le suddette restrizioni possono essere giustificate solo se sono: a) dettate da motivi imperativi di interesse generale; b) idonee a garantire il perseguimento dello scopo; c) necessarie per il raggiungimento dello scopo; d) applicate in modo non discriminatorio (punti 60 e 65).
11.2.3 – Alcune relative novità sono invece ravvisabili laddove la sentenza Gabelli prende in esame alcuni di questi motivi di cui il giudice nazionale deve valutare la portata giustificativa.
A tale riguardo il giudice nazionale deve anzitutto escludere la portata giustificativa delle finalità fiscali, che sono esplicitamente addotte in moltissimi interventi legislativi e regolamentari dello Stato italiano nella soggetta materia. Non può assurgere a un ruolo giustificativo neppure l’esigenza di finanziare attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dalla gestione delle scommesse, giacchè questa è una conseguenza accessoria, ma non una idonea giustificazione della politica restrittiva (punto 62 della s. Gabelli, nonché punto 36 della s. Zimbelli).
Al contrario, possono giustificare restrizioni ai principi comunitari esigenze di carattere sociale o criminale, quali la tutela del consumatore, la prevenzione della frode, il contenimento della propensione al gioco (c.d. tudopatia?), ma solo se idonee allo scopo e perseguite in modo coerente e sistematico (punto 67). E poiché a tale riguardo il giudice remittente del processo Gabelli aveva sottolineato che lo Stato italiano persegue “una politica di forte espansione del gioco e delle scommesse allo scopo di raccoglier fondi, tutelando i concessionari del CONI” (punto 68), la Corte lussemburghese aggiunge che “laddove le autorità di uno Stato membro incoraggino i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giuochi d’azzardo o alle scommesse affinché il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono invocare l’ordine pubblico sociale con riguardo alle necessità di ridurre le occasioni di giuoco per giustificare provvedimenti come quello oggetto della causa principale” (punto 69).

Sembra questa l’argomentazione più suggestiva per indurre a rivisitare la giurisprudenza di legittimità che, prima della sentenza Gabelli, ha sempre sostenuto la compatibilità comunitaria della legislazione italiana. E invero non si può negare che il legislatore italiano da vai anni, evidentemente per incrementare il gettito fiscale, ha perseguito una politica chiaramente espansiva in questo settore; basti pensare alle lotterie “Gratta e vinci” introdotta nel 1994 dall’AMMS, al Totogol lanciato dal CONI nel settembre 1994, al SuperEnalotto concesso alla Sisal nell’ottobre 1997, al Totosei pure lanciato dal CONI nel 1998, alla Formula 101, istituita con decreto ministeriale dell’agosto 1999 e lanciata dal Ministero dell’Economia nell’aprile 2000, al Totobingol, altro gioco sportivo lanciato dal CONI nel gennaio 2001, al Bingo, autorizzato dal Ministero dell’Economia nel 2000.
Si deve osservare tuttavia che questa politica espansiva delle scommesse e dei giochi pronostici, secondo la stessa indicazione della corte lussemburghese, contraddice lo scopo sociale di limitare la propensione al gioco, ma non quello di evitare infiltrazioni criminali. Non è cioè incompatibile con i motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, che a norma degli artt. 46 e 55 del Trattato CE sono altrettanto (se non più) idonei a giustificare restrizioni ai principi di libero stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

Invero, la legislazione italiana, volta com’è a sottoporre a controllo preventivo e successivo la gestione delle lotterie, delle scommesse e dei giuochi d’azzardo, si propone non già di contenere la domanda e l’offerta del giuoco, ma di canalizzarla in circuiti controllabili al fine di prevenirne la possibile degenerazione criminale, sicchè tale legislazione risulta compatibile col diritto comunitario. Questa finalità è ben individuata nella relazione conclusiva della Commissione parlamentare di indagine conoscitiva sul settore dei giochi e delle scommesse, recentemente approvata il 26.3.2003, laddove sottolinea che “le esigenze di bilancio (che ispirano la politica espansiva: n.d.r.) devono trovare un rigoroso limite nella conferma dei compiti di tutela dell’ordine pubblico e della salute dei cittadini, che potrebbero essere messi in pericolo da una diffusione incontrollata, indiscriminata e senza regole di tipologie di giochi e scommesse” (Senato, XIV Legislatura, Doc. XVII n. 10, pag. 3).

Al riguardo la sentenza Zenatti al punto 35 stabilisce che “un’autorizzazione limitata dei giochi d’azzardo nell’ambito di diritti speciali o esclusivi riconosciuti o concessi a determinati enti, che presenta il vantaggio di incanalare il desiderio di giocare e la gestione dei giochi in un circuito controllato, di prevenire il rischio che tale gestione sia diretta a scopi fraudolenti e criminosi e di impiegare gli utili che ne derivano per fini di pubblica utilità, serva anch’essa al perseguimento di detti obiettivi” cioè degli “obiettivi di interesse generale (…) che devono essere considerati nel loro interesse”. In altri termini, anche uno stato come quello italiano che pratica una politica espansiva può sottoporre a controllo e vigilanza per motivi di ordine pubblico e di prevenzione della criminalità i soggetti e i luoghi in ci si esercita la gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici, stabilendo così restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi che sono espressamente ammesse dagli artt. 46 e 55 Trattato CE.
11.2.4 – Su questo punto il difensore di Fabrizio Nuti non contesta la legittimità di un controllo sugli agenti italiani ai fini di ordine pubblico ammessi dalla normativa comunitaria. Contesta invece la legittimità comunitaria di una normativa che richieda l’autorizzazione per l’allibratore britannico, committente di quegli agenti, posto che tale allibratore – come ripetutamente sottolineato anche dagli altri difensori – è regolarmente abilitato dallo Stato di appartenenza.

Tale argomentazione però porterebbe a disapplicare (rectius non applicare) la normativa italiana solo nei confronti dei soggetti stabiliti e regolarmente autorizzati in altri Stati membri, ma ad applicarla nei confronti dei loro agenti italiani. E poiché questi, nella fattispecie de qua, sono i soli indagati e partecipanti al procedimento, ne conseguirebbe la conferma del sequestro preventivo delle loro aziende.

Ma, a parte ciò, l’argomentazione è infondata per due ordini di ragioni. Anzitutto non tiene conto che l’autorizzazione di polizia ottenuta dall’allibratore britannico nel suo Stato di appartenenza ha – come già si è osservato – una connotazione per così dire territoriale, nel senso che tende a garantire un controllo di ordine pubblico sui soggetti e sui luoghi dell’ambito nazionale di stabilimento, sicchè non esclude, ma anzi comporta, l’esigenza di rinnovare il controllo nel caso in cui la gestione delle scommesse si espanda nell’ambito territoriale di un altro Stato membro.
Opinando diversamente si perverrebbe all’assurda conclusione che le scommesse gestite direttamente o indirettamente da un operatore estero che si perfezionano nel territorio italiano (e quelle gestite dalla Stanley si perfezionano in Italia in virtù della regola generale dell’art. 1326 cod. civ. secondo cui il contratto si conclude nel momento e nel luogo in ci ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte) sarebbero esenti da qualsiasi controllo, a differenza di quelle perfezionate nel territorio dello Stato straniero, che sono sottoposte al controllo vigente in quest’ultimo Stato.

In secondo luogo la tesi omette di considerare che la stessa giurisprudenza comunitaria, così come la Commissione di Bruxelles, non hanno mai delegittimato per se stesse il sistema concessorio vigente nei singoli Stati membri in materia di scommesse e di concorsi pronostici. In particolare la sentenza Gabelli chiarisce che l’articolato sistema italiano, basato sul monopolio statale e sulle concessioni a soggetti pubblici e privati, costituisce si una limitazione alla libertà di soggetti stabiliti in altri Stati membri di stabilirsi e di prestare servizi nel territorio italiano, ma può essere giustificato da motivi imperativi di interesse generale (punti 44 e ss.), Thema decidendum, quindi, è solo la valutazione dei motivi che possono giustificare il sistema restrittivo.

11.2.5 – Sotto questo profilo, non può sostenersi – come fa il tribunale pratese nell’ordinanza impugnata – che i motivi di ordine pubblico siano solo apparenti, perché il controllo dello Stato italiano asseritamene prescinde da ogni verifica su requisiti soggettivi rilevanti per l’ordine e la sicurezza pubblica di coloro che partecipano alle gare per la concessione. Ciò è vero, ma solo relativamente, in sede di concessione per l’esercizio delle scommesse, dove prevale il controllo sui requisiti di solidità finanziaria degli aspiranti, anche se non è estranea la preoccupazione di ordine pubblico che l’accettazione delle scommesse avvenga solo in locali destinati esclusivamente a tale scopo (v. art. 2 dei succitati regolamenti 169/1998 e 174/1998). Ma non è affatto vero per il rilascio dell’autorizzazione o licenza di polizia, che – come s’è visto sopra – è altrettanto necessario quanto il rilascio della concessione (che ne soltanto il presupposto).

Infatti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 11 e 14 t.u.l.p.s., la licenza di polizia richiesta dall’art. 88 t.u.l.p.s. non può essere rilasciata a chi ha determinato precedenti penali e può essere negata a chi ha riportato condanne per particolari delitti; inoltre non può essere data a chi sia stato condannato per reati contro la moralità pubblica o il buon costume o per giochi d’azzardo, per delitti commessi in stato di ubriachezza, per contravvenzioni concernenti la prevenzione dell’alcoolismo o per abuso di sostanze stupefacenti (art. 92). Infine non può essere concessa a chi è incapace di obbligarsi (art. 131). Ma ancora più importante è che proprio la soggezione alla licenza di polizia consente agli ufficiali e agli agenti di pubblica sicurezza, a mente dell’art. 16 t.u.l.p.s., di accedere in qualunque momento nei locali destinati all’esercizio delle scommesse e dei concorsi pronostici e di assicurarsi degli adempimenti prescritti dalla legge, dai regolamenti o dall’autorità. Si configura così un sistema integrato di controllo preventivo e di vigilanza continua, che, anche se indubbiamente perfettibile, appare idoneo a soddisfare quella imperativa esigenza di ordine pubblico che tende a contrastare le possibili degenerazioni criminali del settore, quali frodi, riciclaggio del denaro sporco, usura e simili.

Su questo punto si può quindi concludere affermando il principio che la normativa italiano in materia di gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici, anche se caratterizzata da innegabile espansione dell’offerta, persegue finalità di controllo per motivi di ordine pubblico che, come tali, possono giustificare le restrizioni che essa pone sui principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi.

12 – Si deve a questo punto valutare, conformemente al dictum della sentenza Gabelli, se le misure restrittive vigenti nell’ordinamento italiano siano idonee e proporzionali rispetto allo scopo di tutela dell’ordine pubblico e siano inoltre applicate in modo non discriminatorio.

Sotto il primo profilo bisogna anzitutto distinguere le disposizioni restrittive e le sanzioni penali da cui sono assistite. Nessun dubbio sulla adeguatezza e proporzionalità delle prime, cioè di un sistema articolato essenzialmente basato sulla riserva pubblica e la possibilità di concessione ad altri soggetti, nonché sulla soggezione dei concessionari ad autorizzazione di polizia: infatti la stessa giurisprudenza comunitaria ha più volte riconosciuto il potere discrezionale di ogni Stato membro di scegliere per il perseguimento del suo scopo o la strada del divieto delle scommesse e dei concorsi pronostici o quella della concessione della relatività gestione a soggetti più o meno rigidamente controllata (s. Lara, punto 36, s. Zenatti, punto 34, s. Anomar, punto 79).

Qualche dubbio può sorgere per le sanzioni penali, che per la prima volta (ecco un ultimo elemento di innovazione) sono prese direttamente in considerazione nella sentenza Gabelli. Non è inutile notare, peraltro, che questa nuova attenzione al profilo penalistico nasce su un presupposto di diritto nazionale non del tutto esatto, prospettato alla corte lussemburghese dal giudice italiano remittinte (punti 18, 20 e 73): cioè che solo le modifiche introdotte all’art. 4 legge 401/1989 dalla legge 388/2000 avrebbero penalizzato l’attività dei soggetti che partecipino nel territorio italiano alla gestione di scommesse per conto di un allibratore estero. Al contrario, come sopra osservato, questa attività, secondo la unanime giurisprudenza di legittimità, era già penalmente sanzionata per effetto dell’art. 6 c.p. e dei primi tre commi dell’art. 4 non toccati dalla novella 388/2000. (il che – sia detto tra parentesi – coincide con le osservazioni presentate alla Corte di Giustizia dalla Commissione delle Comunità europee intervenuta nella causa Gabelli: v. punti 41, primo periodo, della relativa sentenza).

Comunque si tratta di sanzioni variegate, in relazioni alla esasperata casistica prevista dai primi tre commi dell’art. 4, ai quali rinviano le nuove disposizioni di cui ai commi 4 bis e 4 ter, sanzioni che oscillano dall’ammenda o dall’arresto massimo di tre mesi sino alla reclusione dai sei mesi ai tre anni, in rapporto alle modalità e alla intensità dell’aggressione al bene tutelato.

Orbene, secondo dottrina e giurisprudenza costanti, il giudizio di congruità della sanzione penale è lasciato alla discrezionalità politica del legislatore e sottratto alla valutazione del giudice. Anche il giudice delle leggi, che pure ha titolo specifico per intervenire in questa materia alla luce del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., rispetta prudentemente questa discrezionalità legislativa, salvo casi eccezionali, come quello del delitto (ormai abrogato) di oltraggio (C. Cost. 341/1994).

Tanto premesso, il giudice ordinario, quando sia chiamato – come nel caso – a compiere questa valutazione di congruità dalla Corte di Giustizia europea, non può fare a meno di osservare da una parte che il diritto comunitario lascia in genere al legislatore nazionale il potere di ricorrere alla sanzione penale per rafforzare precetti imposti o consentiti dallo stesso diritto comunitario, e dall’altra che il bilanciamento degli interessi in gioco nella soggetta materia si presenta …… delicato da giustificare il ricorso a strumenti più o meno intensi di deterrenza penale.
Già la Corte costituzionale in materia strettamente contigua a quella in oggetto ha giustificato la previsione del reato di partecipazione a giochi d’azzardo di cui all’art. 720 c.p. per tutelare la finalità di impedire danni alla sicurezza, alla libertà e dignità umana (n. 237/1975?). E questa stessa Corte ha recentemente affermato la legittimità costituzionale proprio del reato di cui all’art. 4, comma 4 bis, legge 401/1989 nella considerazione che il principio di libera iniziativa economica deve coesistere con la tutela di altri beni di rilievo costituzionale (Cass. Sez. II, s.n. 26145 del 18.6.2003, PM in proc. Lattanti, rv. 225743). Invero, la restrizione di cui trattasi alla libertà costituzionale di iniziativa economica e alle libertà comunitarie di stabilimento e di prestazione di servizi appare assistita da sanzione penale perché, nella intenzione del legislatore, questa serve ad assicurare una protezione più incisiva al valore della sicurezza, che sia la Costituzione italiana (art. 41, comma2) sia il Trattato europeo (artt. 46 e 55) ritengono socialmente così importanti da giustificare limiti e deroghe a quelle libertà.

Sicchè, in conclusione, il giudice ordinario non può, senza esorbitare dai suoi limiti istituzionali, ritenere incongruo il ricorso alla sanzione penale che sia dettato dalla preoccupazione di contrastare l’infiltrazione criminale, anche organizzata, nella gestione dei giochi, delle scommesse e dei concorsi pronostici.

13 – quanto al carattere discriminatorio delle normative restrittive, esso non è ravvisabile.

A questo proposito la sentenza Gabelli avverte che le restrizioni imposte dalla sentenza Gabelli avverte che le restrizioni imposte dalla normativa italiana sui bandi di concorso per le concessioni devono essere indistintamente applicabili sia agli operatori nazionali che agli altri operatori comunitari (punto 70); e precisa che i requisiti di partecipazione ai bandi, per rispettare il principio di non discriminazione, non devono essere tali da poter essere praticamente soddisfatti più facilmente dagli operatori nazionali rispetto a quelli stranieri (punto 71).

Queste considerazioni della corte lussemburghese nascono dalla procedura di infrazione che la Commissione ha dichiarato di aver promosso contro lo Stato italiano (punto 43) per un bando di gara dell’11.12.1998, poi modificato il 22.4.1999, emanato per l’attribuzione di mille concessioni relative alla gestione di scommesse su competizioni sportive.

Come già messo in evidenza più sopra, l’art. 2, comma 6, DM 2.6.1998 n. 174 e l’art. 2 comma 8, D.P.R. 8.4.1998 n. 169, disciplinando il rilascio delle concessioni per l’esercizio delle scommesse, stabiliscono che “se il concessionario è costituito in forma di società per azioni o a responsabilità limitata, le azioni aventi diritto di voto o le quote devono essere intestate a persone fisiche, società in nome collettivo o in accomandita semplice. È escluso il trasferimento per semplice girata di dette azioni o quote”.

Orbene, nel parere motivato rilasciato nell’ambito della procedura di infrazione ex art. 226 del Trattato, la Commissione UE ha ritenuto che “la limitazione derivante da questi requisiti restrittivi ha impedito ai più importati operatori comunitari del settore con azioni quotate nei mercati regolamentati di partecipare” al bando di gara. Al riguardo la Commissione ha osservato che lo scopo addotto dal Governo italiano per giustificare questi requisiti, cioè quello di evitare che i fisiologici cambiamenti nella compagine azionaria delle società di capitale impediscano un rigoroso monitoraggio sulla moralità dei soggetti che operano nel settore delle scommesse, particolarmente esposto alla interposizione di attività illecite (v. n. 18 del succitato parere), può essere ugualmente raggiunto attraverso un sistema amministrativo di richiesta di informazioni relative alla onorabilità degli amministratori aziendali, dei soci di controllo e di quelli che detengano una partecipazione superiore a una soglia idonea a condizionare comunque l’attività della azienda stessa (n. 23 del parere).

Ma è evidente che il sistema adottato dai regolamenti italiani, seppure sostituibile con altro praticamente più complicato ma ugualmente adeguato allo scopo, non fa distinzione tra società italiane e società estere interessate alla gara per le concessioni. Né è dato capire come que

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