La Corte Suprema di Cassazione
Sezione V Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Franco MARRONE – Presidente
Dott. Giorgio LATTANZI – Consigliere
Dott. Andrea COLONNESE – Consigliere
Dott. Alfonso AMATO – Consigliere
Dott. Paolo Antonio BRUNO – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
Sentenza
sul ricorso proposto da:
M.M. nato a B. il 22 luglio 1971;
avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Milano in data 27 giugno 2003;
Letto il provvedimento impugnato ed il ricorso,
Sentita la relazione del Consigliere Dr. Paolo Antonio Bruno;
Sentite le conclusioni del Procuratore Generale Dr. Vito Monetti che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
Udito il dif. Avv. De Rada Dimitri;
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1) Con ordinanza in data 27 giugno 2003, il Tribunale del riesame di Milano confermava il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal p.m. presso il Tribunale di Milano in data 14 maggio 2003, eseguito dalla Polizia di Stato in data 29 maggio 2003 quando erano stati sequestrati due computer assemblati, con, lettore dvd e masterizzatore, 28 ed rom, 16 videocassette, 23 floppy disk. Osservava il Tribunale:
– in via preliminare: essere ininfluente ogni questione relativa alla presenza in atti di decreti del p.m. che autorizzino la polizia postale, ai sensi dell’art. 14 L. n. 269 del 1998, a procedere all’acquisto simulato di materiale pedopornografico ovvero ad utilizzare indicazioni di copertura o a realizzare siti o aree di comunicazione e scambio su reti o sistemi telematici in quanto la polizia si era limitata a utilizzare un “software” che consentiva a chiunque di accedere a “file” presenti sui computer di altri due utenti che, in tal modo, li condividevano, di loro spontanea volontà e senza alcuna preclusione all’accesso da parte di chiunque (c.d. “file sharing”);
– che nessuna intrusione nella libertà e segretezza delle comunicazioni altrui si era verificata giacché il tipo di condivisione dei “file” effettuata implica che l’utente metta a disposizione di qualsiasi terzo e senza alcuna discriminazione all’accesso, i “file” presenti sul suo computer (potendo egli a sua volta fare altrettanto con altri due utenti collegati), così da doversi ritenere che il tipo di monitoraggio della rete Internet, effettuato dagli operanti nel caso in esame, non necessitasse di alcuna autorizzazione ex art. 14 c.p.p. comma 2, non avendo la polizia postale agito sotto copertura o con gli strumenti previsti dallo stesso art. 14 c.p.p. comma 2 e mancando in ogni caso nella specie quell’esigenza di tutela ex art. 15 Cost. che la stessa giurisprudenza del S.C. ha posto a base della sanzione di nullità delle indagini e di inutilizzabilità dei loro risultati;
– che non vi era ragione per cui l’appartenenza ala Polizia Postale potesse rappresentare nell’ipotesi in esame una restrizione al generale potere di denuncia al p.m. che certamente sarebbe potuto essere esercitato da qualsiasi cittadino, simile restrizione non risultando prevista da norme di legge né essendo ricavabile in via analogica dal sistema, a tutela di diritti costituzionalmente garantiti;
– che, comunque, la mancanza in atti di decreti autorizzativi ex art. 14 L. n. 269 del 1998 non implica la loro materiale inesistenza, ma solo la loro omessa trasmissione, che implicherebbe soltanto una ulteriore attività di acquisizione integrativa che il Collegio non riteneva necessaria, trattandosi di atti autorizzativi non richiesti.
Nel merito, precisava il Tribunale che la Polizia postale, durante un’attività di monitoraggio della rete Internet attraverso il programma WIN MX che consente di accedere ai “file” contenuti nei computer di altri utenti collegati alla rete e di scaricarli sul proprio (ed “file sharing” o condivisione di file), inserendo come chiave di ricerca la parola “preteen” aveva rinvenuto a disposizione degli utenti materiale pedo-pornografico; che l’utente era stato identificato nell’odierno indagato M.M. e che correttamente il p.m. aveva disposto la perquisizione ed il sequestro per verificare la effettiva disponibilità da parte del predetto M. di immagini pedo pornografiche che risultano essere state distribuite sulla rete informativa Internet nel modo sopra visto, così integrando la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 600-ter c.p. comma 3.
2) Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso l’indagato, per il reato di cui all’art. 600-ter c.p. co. 3, poiché tramite il programma WINMX divulgava sulla rete Internet materiale pedo-pornografico accertato a Milano fino al 7 maggio 2003, deducendo:
a) violazione ed erronea applicazione dell’art. 324 c.p.p., 6 in quanto, essendo stata rinviata l’udienza camerale dal 24 giugno 2003 a 27 giugno 2003 per acquisizioni documentali, erano stati violati i diritti della difesa per la carenza dei tre giorni liberi previsti dall’art. 324 c.p.p., 6;
b) la violazione ed erronea applicazione dell’art. 14 L. n. 269 del 1998 il cui secondo comma si riferisce alle investigazioni dell’organo del ministero dell’interno per la sicurezza e la regolarità delle telecomunicazione e dispone che detto organo, nell’ambito dei compiti di polizia delle telecomunicazioni, su richiesta dell’Autorità Giudiziaria motivata a pena di nullità, possa svolgere le attività occorrenti per il contrasto dei delitti in questione. Proprio secondo la tesi accusatoria l’attività di acquisizione del materiale pedopornografico utilizzando la rete WINMX (esattamente come hanno fatto gli operanti) integri fattispecie di reato e, quindi, evidentemente necessiti di un provvedimento autorizzativo che scrimini la condotta posta in essere per ragioni di ufficio dal medesimo. Tale norma, richiamando le prescrizioni dell’art. 15 Cost., pone una doppia garanzia, richiedendo: che l’attività di Polizia giudiziaria avvenga su richiesta dell’Autorità giudiziaria; che tale richiesta sia motivata, e disponendo espressamente che la mancanza di tale richiesta motivata comporta la nullità delle indagini e dei relativi accertamenti.
Conseguentemente, ai sensi dell’art. 191 c.p.p., deriva l’inutilizzabilità, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, delle prove acquisite illegittimamente in violazione del divieto stabilito dal ricordato art. 14 L. n. 269 del 1998.
c) la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 253 c.p.p. e segg.. Non appare condivisibile l’ulteriore assunto affermato nell’impugnata ordinanza secondo cui la pertinenzialità del bene con il reato e la caratteristica peculiare del computer che lo rende “cosa complessa” legittimerebbe il sequestro dell’intero elaboratore, senza effettuare alcuna preventiva selezione del materiale da sequestrare.
3) Il primo motivo di ricorso non è fondato. Come ha giustamente ritenuto il Tribunale, il termine di tre giorni liberi prima dell’udienza non è previsto in caso di rinvio dell’udienza camerale essendo sufficiente in tal caso che venga dato modo alla difesa di poter adeguatamente svolgere la propria funzione in relazione all’integrazione disposta, così come nella specie risulta essere avvenuto considerato che il difensore risulta aver consultato gli atti in data 26 giugno 2003 e aver così avuto un congruo periodo di tempo per aver agio di svolgere il mandato difensivo in ordine all’esame degli atti trasmessi ad integrazione, avuto anche riguardo alla loro modesta quantità.
4) Fondato, invece, appare il secondo motivo di ricorso, ove la Polizia Postale abbia proceduto all’attività di monitoraggio senza la richiesta motivata dell’Autorità giudiziaria prevista a pena di nullità dal co. 2° dell’art. 14 della legge n. 269 del 1998 (Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù). La norma stabilisce espressamente che:
“Nell’ambito dei compiti di polizia delle telecomunicazioni, definiti con il decreto di cui all’articolo 1, comma 15 della legge 31 luglio 1997, n. 249, l’organo del Ministero dell’Interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione svolge, su richiesta dell’autorità giudiziaria, motivata a pena di nullità, le attività occorrenti per il contrasto dei delitti di cui agli art. 600-bis c.p., primo comma, art. 600-ter c.p., commi 1, 2 e 3 e art. 600-quinquies c.p. commessi mediante l’impiego di sistemi informatici o mezzi di comunicazione telematica, ovvero utilizzando reti di comunicazione disponibili al pubblico.”
Come già evidenziato in dottrina l’art. 14 legge n. 269 del 1998, rubricato come “attività di contrasto” si sostanzia nella legalizzazione di modalità investigative del tutto eccezionali che, mentre trovano giustificazione nella necessità della salvaguardia della libertà del minore dall’aggressione alla sua libertà psicofisica, non possono non essere soggette alla rigorosa interpretazione in relazione alla tutela dei principi costituzionali potenzialmente comprimissibili dalle investigazioni.
L’interpretazione sistematica dei vari comma dell’art. 14 legge n. 269 del 1998, induce a constatare che, mentre la attività di contrasto specificata, nel primo comma può essere espletata solo da ufficiali di polizia giudiziaria, quella indicata nel secondo può essere svolta da qualunque agente della polizia delle comunicazioni; che l’attività degli ufficiali di polizia necessita della “previa autorizzazione dell’Autorità giudiziaria” ma se manca non è prevista sanzione processuale, mentre per l’attività della polizia delle telecomunicazioni è necessaria la richiesta dell’Autorità giudiziaria la quale deve essere motivata a pena di nullità; che mentre l’attività degli ufficiali di polizia giudiziaria è analiticamente e tassativamente specificata nel 1 comma (acquisto simulato di materiale pornografico, intermediazione, partecipazione ad attività turistiche), quelle degli agenti postali previste nel 2 co. dell’art. 14 legge n. 269 del 1998 sono più ampie in quanto ricomprendono quelle di cui al co. 1 e, più in generale “le attività occorrenti per il contrasto dei delitti di cui agli art. 600-bis c.p., 1 co., art. 600-ter c.p., co. 1,2 e 3 e art. 600-quinquies c.p.
Evidente risulta perciò che l’estensione e la genericità dei poteri conferiti agli agenti della Polizia delle telecomunicazioni non possa che essere subordinata ad un provvedimento motivato dell’Autorità giudiziaria stante la loro incidenza sui diritti dei cittadini alla privacy.
Come già precisato da questa Corte (v. Sez. 3°, sent. 3 dicembre 2001 n. 2001, ric. D’Amelio), il 2 co. dell’art. 14 legge n. 269 del 1998 citata, richiamando chiaramente le prescrizioni dell’art. 15 Cost., pone una doppia garanzia, richiedendo: a) che l’attività di polizia giudiziaria avvenga su richiesta dell’autorità giudiziaria; b) che tale richiesta sia motivata, e disponendo espressamente che la mancanza di tale richiesta motivata comporta la nullità delle indagini e dei relativi accertamenti.
Passando all’esame del caso oggetto del ricorso, va osservato: che l’attività di contrasto è stata posta in essere da organi della Polizia postale e non da ufficiali di Polizia giudiziaria; che si è trattato di una operazione di monitoraggio della rete Internet in cui la polizia anche se non ha agito sotto copertura, ha svolto “le attività occorrenti per il contrasto dei delitti di cui agli art. 600-bis c.p., 1° co., art. 600-ter c.p., co. 1, 2 e 3 e art. 600-quinquies c.p. commessi mediante l’impiego di sistemi informatici o mezzi di comunicazione telematica, ovvero utilizzando reti di comunicazione disponibili al pubblico; che la polizia attraverso il programma WIN MX, inserendo come chiave di ricerca la parola “preteen” era riuscita ad accertare la disponibilità di materiale pedo-pornografico nell’utente avente nick name “qx 2791” poi individuato nell’attuale ricorrente M.M.
Tenuto conto del soggetto operante (polizia postale) dell’attività di contrasto svolta (mediante una complessa operazione di monitoraggio della rete Internet) e della utilizzazione di chiave di ricerca per avere accesso nei “file” presenti nel computer dell’indagato per controllare l’uso della sua “libertà informatica”, deve ritenersi che ricorrono tutti gli elementi della fattispecie prevista nel 2° co. dell’art. 14 della citata legge n. 269 del 1998, donde la necessità che a monte dell’intera attività di contrasto svolta dalla polizia postale fosse il provvedimento motivato dalla Autorità giudiziaria a garanzia della inviolabilità della libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione, richiesta dall’art. 15 Cost.
E poiché la carenza del provvedimento motivato è sanzionata da nullità, il giudice del rinvio dovrà accertarne l’esistenza.
Peraltro, va dato atto al Tribunale del riesame che la novità ed eccezionalità della normativa non lo ha indotto a trascurare l’ipotesi della assenza della richiesta dell’Autorità giudiziaria e quindi della disapplicazione nel caso in esame della disciplina prevista dall’art. 14 L. n. 269 del 1998.
E, citando la nota decisione delle Sezioni Unite n. 5021 del 16 maggio 1996, Sala, sostiene che, anche si dovessero ritenere inutilizzabili le immagini acquisite durante il monitoraggio della rete, l’inutilizzabilità non potrebbe travolgere le ulteriori attività di ricerca delle prove che si sono concretate nel decreto di perquisizione e sequestro impugnati.
Va, però, precisato a tale proposito:
– che proprio tenendo conto dei principi affermati dalle Sezioni Unite nel caso Sala, gli atti di indagine compiuti dalla Polizia senza l’autorizzazione del Magistrato sono da ritenere nulli (non inutilizzabili, non potendo essere qualificato come inutilizzabile un mezzo di ricerca della prova);
– che, ai sensi dell’art. 185 c.p.p., c. 1 la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi a quello nullo;
– che ciononostante, il sequestro ex art. 253 c.p.p., c. 1, del corpo del reato o delle pertinenti al reato e utilizzabile come prova, costituendo un atto dovuto; il che rende irrilevante il modo con cui a essi si sia pervenuti.
Pertanto, la nullità degli atti conseguenti alla iniziale attività di contrasto, mentre travolge gli atti successivi, non esclude la utilizzabilità come mezzo di prova degli oggetti sequestrati, anche se non può non avere incidenza sulla valenza probatoria di tali oggetti al fine di accertare se la condotta dell’indagato va inquadrata nella fattispecie di cui all’art. 600-ter c.p.p., co. 4 di cessione a terzi, anche a titolo gratuito di quel materiale, oppure in quella di detenzione di materiale pornografico prevista dall’art. 600-quater c.p.
Il provvedimento impugnato va perciò annullato con rinvio. Provvederà il giudice del rinvio ad accertare se l’Autorità giudiziaria e, in caso negativo, quali gli effetti sulla qualificazione giuridica dei fatti addebitati, allo stato, all’indagato.
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Milano per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2004.
Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2004
Possibly Related Posts:
- Chatbot troppo umani, i rischi che corriamo
- Chi ci protegge dal dossieraggio tecnologico?
- Webscraping e Dataset AI: se il fine è di interesse pubblico non c’è violazione di copyright
- Perché Apple ha ritirato la causa contro la società israeliana dietro lo spyware Pegasus?
- Le sanzioni UE ad Apple e Google aprono un altro fronte nella guerra contro Big Tech (e incrinano quello interno)