SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il pretore di Frosinone, decidendo su diversi ricorsi proposti da M. P. nei confronti della (omissis) e successivamente riuniti, dichiarava, tra l’altro (e per quel che in questa sede ancora rileva), l’illegittimità dei provvedimenti disciplinari e del successivo licenziamento intimato al ricorrente dalla suddetta società, ordinandone conseguentemente la reintegrazione nel posto di lavoro.
Il Tribunale di Frosinone rigettava l’appello proposto dalla (omissis) avverso la sentenza pretorile, in particolare rilevando, tra l’altro, che i fatti contestati al P. si erano rivelati inesistenti o di modesto rilievo, che la società aveva fatto un uso distorto dell’iniziativa disciplinare, che le sanzioni irrogate, ivi compreso il licenziamento, erano in ogni caso da ritenersi sproporzionate alle infrazioni commesse dal lavoratore.
Avverso la sentenza del tribunale la (omissis) propone ricorso per cassazione, successivamente illustrato da memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.;.
resiste con controricorso il P..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo dei sette motivi di ricorso la (omissis) censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., nonché per vizio di motivazione, in particolare rilevando che il Tribunale avrebbe omesso di riportare analiticamente tutti i motivi di appello proposti avverso la sentenza pretorile, di esporre sistematicamente le ragioni di rigetto delle singole censure, e, infine, di pronunciarsi su alcuni motivi di appello o su parte di essi.
La prima parte della censura è senz’altro infondata, posto che nessuna norma impone al giudice dell’impugnazione l’esposizione analitica di tutte le censure proposte avverso la sentenza impugnata e il rispetto di un preciso ordine espositivo nella trattazione di esse; talvolta è anzi opportuno (anche in relazione alle modalità espositive dell’impugnante) procedere allo accorpamento o alla trattazione congiunta di più censure, anche in un ordine diverso da quello seguito nell’atto di impugnazione, se ciò può indurre ad una esposizione più chiara, che eviti artificiosi frazionamenti del ragionamento decisorio o inutili ripetizioni. Discorso diverso è quello che si prospetta invece nel caso in cui il giudice, seguendo o meno la sequenza espositiva dell’atto di impugnazione, ometta di prendere in considerazione, in tutto o in parte, alcune delle censure proposte, dovendosi peraltro rilevare che, in questo caso, non è configurabile un vizio di omessa pronuncia (posto che sull’impugnazione il giudice si è comunque pronunciato), bensì un vizio di motivazione.
Venendo pertanto alla seconda parte della censura, con cui la società ricorrente specifica quali dei motivi di appello sono stati in tutto o in parte trascurati dal Tribunale, è da rilevare che le denunciate omissioni vengono riprese più specificamente in alcuni degli altri motivi di ricorso e verranno pertanto successivamente esaminate sotto il profilo del vizio di motivazione.
Nel secondo e nella prima parte del terzo motivo di ricorso la ricorrente afferma che l’esame effettuato dal Tribunale in ordine alla fondatezza o meno delle contestazioni mosse al P. e alla proporzionalità delle relative sanzioni sarebbe stato viziato da un “pre-giudizio”, consistente nell’affermazione, indimostrata, secondo la quale il susseguirsi di iniziative disciplinari a carico del P. sarebbe stato determinato dall’intento di conseguirne l’allontanamento dal posto di lavoro e, anzi, anche l’anticipata conversione del contratto di formazione e lavoro in contratto di lavoro a tempo indeterminato sarebbe stata sostenuta non da una volontà bensì dall’intento di conseguire la risoluzione del rapporto in anticipo rispetto al termine biennale originariamente pattuito.
Nella seconda parte del terzo motivo di ricorso, la (omissis) afferma inoltre che, ove l’accenno del Tribunale ad un disegno datoriale inteso a conseguire la risoluzione del rapporto di lavoro attraverso un uso distorto del potere disciplinare fosse volto a sottintendere, senza peraltro esplicitarla, l’esistenza di una causa o di un motivo illecito, la sentenza sarebbe, sul punto, priva di motivazione e, in ogni caso, affetta da violazione di legge, non essendo la disciplina relativa all’illiceità del motivo applicabile ad atti unilaterali quali le sanzioni disciplinari o il licenziamento.
Le suesposte censure, siccome rivolte a momenti espositivi della sentenza che non ne costituiscono la (o l’unica) ratio decidendi, sono inammissibili.
Come sostenuto dalla stessa ricorrente, infatti, il Tribunale non ha mai espressamente affermato che le sanzioni disciplinari e il licenziamento erano da ritenersi nulli perché determinati da un motivo illecito, ma ha confermato la decisione pretorile ritenendo che le sanzioni irrogate al P. fossero relative a fatti inesistenti o di modesto rilievo e che il licenziamento fosse privo di giusta causa o giustificato motivo: tali affermazioni, ove adeguatamente motivate, sarebbero per sé idonee nella specie a sostenere la declaratoria di illegittimità e le relative conseguenze, rendendo irrilevante ogni indagine in ordine ai motivi che avrebbero indotto la società ad irrogare sanzioni ingiustificate o sproporzionate, ivi compreso il licenziamento.
Occorre inoltre considerare che, anche ove fosse stata affermata e provata l’esistenza di un motivo illecito, questo avrebbe dovuto, per comportare la nullità dei provvedimenti sanzionatori, essere l’unico determinante, dovendosi escludere tale conseguenza in caso di concorrenza del motivo illecito con altro lecito, onde il giudicante avrebbe dovuto in ogni caso accertare che le sanzioni e il licenziamento risultavano assolutamente sprovvisti di qualunque valida giustificazione (in tal senso vedi da ultimo, tra le altre, Cass. n. 4543 del 1999).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, va dichiarata altresì l’inammissibilità del settimo motivo di ricorso, col quale la (omissis) censura la sentenza impugnata per aver confermato la sentenza pretorile anche in relazione al disposto ordine di reintegrazione, senza considerare che tale effetto non poteva derivare dalla illiceità del licenziamento: prescindendo dalla fondatezza o meno di tale ultima affermazione, infatti, la censura non coglie nel segno, atteso che, come già suesposto, il tribunale non ha dichiarato la nullità del licenziamento perché determinato da motivo illecito, bensì ha espressamente sostenuto che tale licenziamento risultava privo di giusta causa o giustificato motivo.
Discorso diverso è invece quello, adombrato sempre nel terzo motivo, secondo il quale l’indagine svolta dal Tribunale in ordine alla fondatezza della censura mossa al P. e all’adeguatezza delle relative sanzioni sarebbe stata in qualche modo inficiata dal suindicato “pregiudizio”: la verifica di tale assunto del ricorrente presuppone l’esame della correttezza del ragionamento decisorio e dell’adeguatezza della motivazione svolta sul punto dal Tribunale, questioni che costituiscono oggetto del quarto, quinto e sesto motivo di ricorso e verranno pertanto di seguito trattate.
Nel quarto motivo di ricorso, la (omissis) esamina infatti la sentenza impugnata in relazione a ciascuna delle sanzioni irrogate al P. e deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2086, 2106, 2094, 2104, 2105 c.c. e 7 l. n. 300 del 1970, oltre a vizi di motivazione.
In particolare, secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe erroneamente “liquidato” tutte le contestazioni concernenti errori o inesattezze nello svolgimento delle mansioni, ritenendo sproporzionate le sanzioni irrogate in relazione ad esse in quanto prescindenti dalla considerazione che il P. era giovane, neo assunto, privo di precedenti esperienze di lavoro subordinato e sprovvisto di specifica formazione professionale.
La censura è fondata.
Invero, anche al lavoratore da poco assunto il datore di lavoro ha il diritto di richiedere una corretta esecuzione della prestazione, con il relativo potere di sanzionare un’esecuzione non corretta, potendo l’inesperienza del lavoratore essere considerata, caso per caso, soltanto quale elemento idoneo, unitamente a molti altri, ad incidere sulla valutazione relativa all’opportunità e alla proporzionalità dell’eventuale sanzione.
Il tribunale si è invece limitato a richiamare unicamente l’inesperienza del lavoratore, senza considerarla in rapporto alle singole contestazioni e, n particolare, senza rilevare il tipo di errori contestati (ad esempio per valutazione se essi fossero relativi ad attività richiedenti una effettiva esperienza professionale specifica o denotassero semplicemente negligenza), il numero di essi, la loro eventuale ripetitività anche dopo le prime contestazioni, o il fatto che essi si ripetessero anche a distanza di mesi dall’assunzione, ossia quando l’inesperienza del lavoratore doveva certamente assumere un rilievo minore nella considerazione globale dei fatti. La motivazione della sentenza impugnata è, pertanto, sul punto, assolutamente carente.
Sempre nell’ambito del quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto, in relazione alle contestazioni concernenti i ripetuti ritardi, del fatto che tali contestazioni riguardavano non solo i ritardi in se stessi considerati, bensì anche le false annotazioni sui fogli di presenza e per avere minimizzato tali ritardi sostenendo la mancanza di un “reale danno per l’azienda”.
Anche tale censura è fondata.
Invero, la sentenza tratta cumulativamente tutte le contestazioni relative ai ritardi nell’assunzione del servizio, ritenendo le stesse determinate da criteri formalistici e incuranti della mancanza di danno reale per l’azienda, senza valutare le singole contestazioni e la loro effettiva portata, nonché l’adeguatezza della sanzione irrogata per ciascuna di esse, e, in particolare, senza analizzare il numero dei ritardi contestati e la loro ripetitività anche dopo le prime contestazioni, nonché senza in alcun modo considerare che, in ogni caso, le contestazioni non riguardavano soltanto i ripetuti ritardi, bensì anche le connesse (e ripetute) false attestazioni sul foglio di presenza. Al riguardo, va inoltre sottolineata l’assoluta irrilevanza dell’affermazione relativa alla insussistenza di un reale danno per l’azienda, posto che il lavoratore è tenuto a rispettare l’orario di lavoro ed a redigere annotazioni veritiere sui fogli di presenza a prescindere dalla sussistenza di un danno per l’azienda e dalla eventuale entità di esso. Anche su questo punto, pertanto, la sentenza impugnata si presenta in parte scarsamente motivata e in parte fondata su considerazioni non conformi a diritto.
La società ricorrente censura inoltre la sentenza impugnata per aver ritenuto ingiustificata la sanzione irrogata al P. relativamente alla contestazione del mancato rispetto dei termini contrattuali e di regolamento interno per la comunicazione dell’insorgere della malattia e della prevedibile durata, erroneamente ritenendo che al rispetto di tali termini fosse tenuto solo il personale inserito in turni di lavoro, senza tener conto del fatto che il contratto collettivo imponeva a tutto il personale dipendente (e non solo a quello sottoposto a turni) l’immediata comunicazione della malattia e della sua durata. La censura è fondata, posto che il Tribunale, pur rilevando che la contestazione si riferiva al mancato rispetto dei termini contrattuali e regolamentari, ha esaminato soltanto il regolamento interno della (omissis), senza valutare se un obbligo di tempestiva comunicazione della malattia e della sua durata potesse riguardare anche i lavoratori non compresi in turni, sulla base di disposizioni del contratto collettivo applicato al rapporto.
La ricorrente censura poi la sentenza impugnata per la ritenuta ingiustificatezza o comunque sproporzione delle sanzioni irrogate in relazione a singoli episodi contestati, quali, in particolare, quello consistente nell’essersi il P. rivolto, disattendendo precise contrarie disposizioni in proposito, all’ex direttore del personale per la soluzione di un problema di contabilità, quello relativo all’errata annotazione sul foglio di marcia dell’orario di riconsegna dell’autovettura di servizio, quello relativo al ritardo nel rientro in servizio dopo la cessazione della malattia, nonché quello relativo all’allontanamento dal centro operativo ed alla risposta polemica fornita ai conseguenti rilievi del direttore.
Tali censure devono ritenersi inammissibili.
Costituisce tipico apprezzamento del giudice di merito la valutazione della gravità delle mancanze contestate al lavoratore e della proporzionalità delle sanzioni correlativamente irrogate, come costituisce attività propria del giudice di merito l’accertamento e la ricostruzione dei fatti, ed in tale attività egli deve formare il proprio convincimento liberamente valutando e interpretando il materiale probatorio acquisito: tali apprezzamenti, accertamenti e valutazioni del giudice di merito sono censurabili in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, ma la censura ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. può ritenersi ammissibile solo ove indichi in maniera inequivoca in quali punti il ragionamento decisorio si presenta illogico o contraddittorio e, in omaggio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, solo ove individui con chiarezza e riporti testualmente gli elementi probatori (testimoniali o documentali) pretermessi dal giudice di merito, provando altresì la decisività dei medesimi (V., tra le tante, Cass. 14858 del 2000 e n. 7177 del 1997).
Nella specie, la sentenza ha partitamente esaminato i singoli episodi ed ha motivato in maniera logica ed esauriente la propria decisione in relazione a ciascuno di essi.
A fronte di tale motivazione, le censure della ricorrente, per un verso si riferiscono a fatti specifici senza indicare e riportare i relativi referenti probatori (come è stato fatto in relazione alla data in cui il lavoratore avrebbe dovuto riprendere servizio dopo la malattia), o ad elementi di prova non testualmente riportati (come le affermazioni contenute nel libero interrogatorio del legale rappresentante della società); per altro verso, attribuiscono ad alcune prove testimoniali rilievo e significato diverso da quello ad esse riconosciuto dal giudicante, così inammissibilmente risolvendosi nella mera esposizione di una lettura, ricostruzione, valutazione e interpretazione dei fatti (e del relativo materiale probatorio) in contrapposizione a quelle operate in sentenza dal giudice di merito.
Col quinto motivo di ricorso la (omissis) censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli art. 4 l. n. 300 del 1970, 2106 c.c. (in relazione agli artt. 2104 e 2105 c.c.)., 1 e 3 n. 604 del 1966, nonché per vizio di motivazione, sostenendo che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto illegittime le contestazioni relative all’uso privato del telefono aziendale, in quanto fondate su dati acquisiti mediante apparecchiature elettroniche di controllo installate in difetto dei presupposti richiesti dall’art. 4 l. n. 300 del 1970.
La censura è fondata.
Ai fini dell’operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori previsto dall’art. 4 l. n. 300 citata, è necessario che il controllo riguardi (direttamente o indirettamente) l’attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori dell’ambito di applicazione della norma i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (cd.controlli difensivi), quali, ad esempio, i sistemi di controllo dell’accesso ad aree riservate, o, appunto, gli apparecchi di rilevazione di telefonate ingiustificate. Nella specie, pertanto considerato il tipo di lavoro cui era addetto il P., il tribunale avrebbe dovuto valutare il comportamento del datore di lavoro come inteso a controllare la condotta illecita del dipendente e non l’attività lavorativa svolta dal medesimo.
Col sesto motivo di ricorso la (omissis) censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 1 e 2 l. n. 604 del 1966, nonché per vizi di motivazione, in particolare rilevando che erroneamente il Tribunale non avrebbe considerato, in relazione all’irrogato licenziamento, le contestazioni relative all’uso del telefono e ai numerosi errori commessi nell’esecuzione delle prestazioni, che immotivatamente avrebbe escluso la sussistenza di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, che altrettanto immotivatamente avrebbe escluso la contestata intenzionalità delle mancanze e degli errori commessi dal P., che, inoltre, sempre ai fini della valutazione delle ragioni poste a fondamento dell’intimato licenziamento, avrebbe del tutto omesso di considerare l’addebito relativo alla insistita contestazione da parte del P. delle procedure aziendali.
La censura è fondata.
Effettivamente il Tribunale, ritenendo, in relazione all’inesperienza del dipendente neo?assunto, ingiustificate tutte le contestazioni relative alla errata esecuzione della prestazione, ha omesso di considerare specificamente anche ,quelle contestazioni di tale tipo che, ultime in ordine di tempo, erano state poste, unitamente ad altre, a fondamento dell’intimato licenziamento ed ha pertanto omesso di valutare sia l’entità e la natura delle medesime, sia il fatto che esse, essendo le ultime in ordine di tempo, erano quelle più distanti dalla data di assunzione ed intervenivano dopo ripetute contestazioni di contenuto analogo.
Il Tribunale, inoltre, ritenendo illegittime le contestazioni relative all’uso privato del telefono aziendale, ha omesso di considerare anche quelle poste a base dell’intimato licenziamento, omettendo pertanto di valutarne la portata, anche in relazione al fatto che esse intervenivano dopo altre contestazioni di contenuto analogo.
Il Tribunale, infine, non ha effettivamente tenuto conto, nel valutare le ragioni poste a base dell’intimato licenziamento, degli addebiti relativi alla insistita contestazione delle procedure aziendali da parte del P..
La fondatezza della censura in relazione ai punti suindicati comporta l’assorbimento degli altri punti sviluppati nel medesimo motivo, determinando necessariamente un nuovo complessivo esame delle ragioni poste a fondamento dell’intimato licenziamento, anche alla luce dell’accoglimento di parte degli altri motivi di ricorso, che, comportando una riconsiderazione dei precedenti disciplinari del P., potrebbe influire pure nella valutazione del successivo licenziamento.
Il ricorso deve essere pertanto accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata deve conseguentemente essere cassata limitatamente alle censure accolte e rinviata ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
Accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma.
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