L.633/41 – programmi per elaboratore – formulazione e organizzazione autonome rispetto a programmi analoghi – originalità – sussiste
L.633/41 – programmi per elaboratore – verifica dell’originalità – giudizio di fatto – sindacabilità in sede di legittimità per soli vizi di motivazione
La creatività e l’originalità sussistono anche qualora l’opera sia composta da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, purché formulate ed organizzate in modo personale ed autonomo rispetto alle precedenti.
La consistenza in concreto di tale autonomo apporto forma oggetto di una valutazione destinata a risolversi in un giudizio di fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità soltanto per eventuali vizi di motivazione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
… omissis …
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
… omissis …
Svolgimento del processo
Il 3 maggio 1994 il presidente del tribunale di Milano, accogliendo un ricorso proposto dalla Caio Srl, ingiunse con decreto alla Tizio Sistemi Srl (in prosieguo indicata come Tizio) di pagare alla ricorrente la somma di lire 29.750.000, oltre agli accessori, quale rata del corrispettivo dovuto per la pattuita cessione in uso di un programma informatico riguardante l’automazione industriale nel settore petrolchimico.
La Tizio propose opposizione e contestualmente citò in giudizio anche la Alfa Automazione Srl, sostenendo che quest’ultima, di concerto con la collegata Caio, aveva venduto ad una società concorrente il medesimo programma informatico già concesso in uso all’opponente, così violando la clausola di esclusiva che accompagnava il contratto di cessione. Chiese perciò che fosse pronunciata la risoluzione del contratto da essa stipulato con la Caio e che questa fosse condannata a restituire le somme già riscosse. Chiese altresì che entrambe le convenute, essendo loro ascrivibile un comportamento costituente violazione del diritto di autore e concorrenza sleale, fossero condannante al risarcimento dei danni in favore di essa opponente e che fosse loro inibito di produrre ulteriormente il programma in questione.
Le società Caio e Alfa Automazione si costituirono per resistere alle domande proposte nei loro confronti e la Caio formulò, a propria volta, domanda di risoluzione del contratto di cessione del programma informatico per inadempimento della Tizio.
Il giudizio, interrotto per il sopravvenuto fallimento della Alfa Automazione, fu poi riassunto e proseguì nella contumacia della curatela.
Con sentenza emessa il 13 luglio 2000, il tribunale, avvalendosi delle risultanze di una consulenza tecnica disposta in corso di causa, rigettò l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla Tizio, nonché tutte le ulteriori domande da quest’ultima avanzate (salvo quelle di condanna proposte nei confronti del fallimento della Alfa Automazione, che furono dichiarate inammissibili). In accoglimento della domanda riconvenzionale della Caio, il medesimo tribunale pronunciò invece la risoluzione del contratto per inadempimento della Tizio, e la condannò al pagamento delle spese processuali.
Con successiva sentenza resa pubblica il 25 febbraio 2003 la Ca di Milano, rigettando il gravame proposto dalla Tizio, confermò integralmente la decisione di primo grado.
La corte d’appello osservò
- che, alla stregua di quanto accertato dal consulente tecnico d’ufficio, il programma informatico che aveva formato oggetto del contratto di cessione in uso alla Tizio, da parte della Caio, era da considerarsi diverso da quello successivamente rielaborato dalla Alfa Automazione e poi ceduto ad una terza concorrente. Soggiunse che, peraltro, gli elementi addotti dall’opponente e le risultanze di causa non consentivano neppure dì imputare anche alla Caio l’attività con cui la Alfa Automazione aveva rielaborato e venduto a terzi il programma già prima acquisito in uso dalla Tizio;
- che le prove orali al riguardo dedotte dall’opponente apparivano irrilevanti;
che la Tizio non era proprietaria del programma (tale potendo divenire solo in caso di eventuale riscatto al termine del periodo d’uso contrattualmente pattuito), onde neppure era legittimata a far valere, in via extracontrattuale, un’eventuale lesione del diritto d’autore per contraffazione del programma medesimo; - che anche sotto il profilo della concorrenza sleale non v’era prova alcuna da cui si potesse desumere il concorso della Caio nei comportamenti illeciti ascritti dall’opponente alla Alfa Automazione; che quanto rilevato dal consulente tecnico in ordine alla specificità della funzione del programma informatico oggetto di causa valeva anche ad escludere l’eccepito difetto di originalità di detto programma e, quindi, la fondatezza dell’eccezione di nullità del contratto di cessione per mancanza di causa sollevata dalla Tizio;
- che, infine, la risoluzione del contratto per inadempimento della concessionaria non implicava il diritto di questa alla restituzione di quanto già pagato, trattandosi di un contratto di durata.
Per la cassazione di tale sentenza ha ora proposto ricorso la Tizio, deducendo quattro motivi di censura, illustrati con successiva memoria.
La Caio ha resistito con controricorso.
Nessuna difesa ha svolto invece la Alfa Automazione, il cui fallimento è stato frattanto chiuso ed alla quale il ricorso è stato quindi direttamente notificato.
Motivi della decisione
1. Il primo ed il quarto motivo di ricorso hanno in comune la critica che la ricorrente muove al modo in cui la corte d’appello ha fatto uso dei rilievi contenuti nella relazione di consulenza tecnica d’ufficio.
A parere della ricorrente da quegli stessi rilievi si sarebbe dovuto dedurre:
a) che il programma informatico ceduto in uso dalla Caio alla Tizio era in realtà privo dell’indispensabile requisito dell’originalità, onde il contratto di cessione avrebbe dovuto esser dichiarato nullo per difetto di causa, o altrimenti risolto per grave inadempimento della concedente (donde la violazione degli articoli 1325 e 1458 c.c., denunciata nel quarto motivo di ricorso);
b) che altrettanto privo di originalità era il programma successivamente elaborato dalla Alfa Automazione per essere venduto ad una società terza, di modo che tale programma, la cui corrispondenza di architettura applicativa e caratteristiche funzionali con quello acquisito in uso dalla Tizio era stata riconosciuta espressamente dal consulente tecnico e se ne differenziava solo per alcuni profili di adattamento, identici essendo invece anche i relativi manuali operativi, avrebbe tutt’al più potuto esser considerato come un’opera derivata dal primo, non perciò utilizzabile senza il consenso del titolare (donde la violazione degli articoli 2, n. 8, 64bis, ter e quater della legge 633/41, come successivamente modificata, denunciata nel primo motivo).
2. Siffatte censure, che per la loro connessione possono essere esaminate nel medesimo contesto argomentativo, non si rivelano fondate.
È sicuramente condivisibile, in termini generali ed astratti, la premessa del ragionamento della ricorrente: ossia che la protezione del diritto d’autore riguardante programmi per elaboratori (il c.d. software, che rappresenta la sostanza creativa dei programmi informatici), al pari di quello riguardante qualsiasi altra opera, postula il requisito dell’originalità. Si pone dunque anche per essi la necessità di stabilire se l’opera (ossia il programma) sia o meno frutto di un’elaborazione creativa originale rispetto ad opere precedenti, ma con due importanti precisazioni: che la creatività e l’originalità sussistono anche qualora l’opera sia composta da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, purché formulate ed organizzate in modo personale ed autonomo rispetto alle precedenti; e che la consistenza in concreto di tale autonomo apporto forma oggetto di una valutazione destinata a risolversi in un giudizio di fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità soltanto per eventuali vizi di motivazione (si vedano tra le altre, in argomento, Cassazione 20925/05, e 11953/93).
Nella fattispecie che qui interessa, la corte d’appello, rifacendosi espressamente alle indicazioni fornite in proposito dal consulente tecnico d’ufficio, ha motivatamente argomentato il proprio giudizio in ordine all’originalità del programma che ha formato oggetto del contratto dedotto in lite. Ha infatti ben chiarito come, se da un lato è vero che “tutti i prodotti software che risolvono la stessa esigenza applicativa (nel caso in esame: controllo del carico degli automezzi nei depositi petroliferi) presentano una architettura di base che è comune alla maggior parte dei sistemi dì controllo dei processi industriali”, dall’altro lato è parimenti vero che ciò “non impedisce di individuare la specificità di un singolo prodotto, in quanto l’innovazione risiede nella capacità di adattare l’architettura applicativa al caso ed all’ambiente tecnologico specifico” (sentenza impugnata, pag. 26). Proprio questi profili applicativi, nel motivato giudizio della corte di merito, costituiscono gli elementi di significativa differenziazione tra il programma ceduto in uso dalla Caio alla Tizio e quello successivamente rielaborato dalla Alfa Automazione per un cliente terzo; elementì che l’impugnata sentenza non manca di indicare analiticamente, aggiungendo -del tutto plausibilmente, sul piano logico – che viceversa non ha rilevanza l’identità nei due casi della documentazione operativa annessa al programma: giacché questo, e non quella, costituisce la parte caratteristica dell’opera concessa in uso.
Non solo, dunque, nessuna violazione delle citate norme di legge è dato ravvisare nel giudizio pronunciato in argomento dalla corte territoriale, ma neppure appare riscontrabile alcun vizio logico nella motivazione che, in punto di fatto, è ad esso sottesa.
Né a quest’ultimo riguardo giovano le considerazioni sviluppate nel ricorso per sostenere, al contrario, che il programma ceduto in uso dalla Caio alla Tizio costituirebbe una banale applicazione di principi informatici noti, e che quello poi rielaborato ed ulteriormente commercializzato dalla Alfa Automazione potrebbe al più essere apprezzato come una derivazione del precedente. Considerazioni, queste, dalle quali emerge una divergenza di valutazione che, di per sé sola, non basta però certo a dimostrare un vizio logico della motivazione dell’impugnata sentenza, perché un siffatto vizio sussiste unicamente quando il ragionamento svolto dal giudice, quale risulta dalla sentenza, si riveli incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr., ex multis, Cassazione, 23079/05).
3. Le considerazioni appena svolte appaiono risolutive ed assorbenti anche dei profili di censura esposti nel secondo motivo di ricorso.
Con tale motivo, infatti, la ricorrente (denunciando la violazione degli articoli 125 della citata legge sul diritto d’autore, 1476 ed 1483 c.c., 12 disp. sulla legge in generale e 129 Cpc), critica l’affermazione della corte territoriale secondo cui non vi sarebbe prova del concorso della Caio nell’asserita contraffazione del programma informatico ad opera della Alfa Automazione. Ma, avendo la medesima corte territoriale escluso che la contraffazione sia ravvisabile, ed essendo tale affermazione destinata a restar ferma per le ragioni sopra illustrate, è evidente che la questione del preteso concorso della Caio nei comportamenti (non illeciti) ascritti alla Alfa Automazione perde ogni rilevanza decisiva.
4. Considerazioni in larga parte analoghe sono da farsi per il terzo motivo di ricorso, col quale la Tizio, lamentando la violazione dell’art. 2958 c.c., censura l’affermazione della corte d’appello secondo cui non sarebbe neppure ipoteticamente configurabile un concorso della Caio in atti di concorrenza sleale compiuti dalla Alfa Automazione.
Gli atti di concorrenza sleale dei quali discorre la ricorrente non appaiono invero configurabili, una volta negato il presupposto della contraffazione del programma informatico del quale si discute in causa; né essi potrebbero consistere – come il ricorso sembra adombrare – nel mero fatto che la Caio abbia autorizzato la Alfa Automazione a realizzare programmi informatici concorrenti nel settore della distribuzione dei prodotti petrolchimici: perché è ovvio – e risulta con chiarezza dalle espressioni usate nell’impugnata sentenza – che la clausola di esclusiva figurante nel contratto di cessione in precedenza tra la stessa FínAlfa medesimo programma non potesse essere ceduto anche a t fosse inibito alla cedente di realizzare (o lasciar realizzare da altri) programmi diversi utilizzabili anche da concorrenti della cessionaria.
5. Deve infine rilevarsi come sia del tutto infondato un ulteriore profilo di doglianza, che figura espresso in coda al quarto motivo di ricorso, con cui si lamenta che la corte d’appello non ha esaminato (reputandole assorbite) le domande di risarcimento del danno e di restituzione delle somme già pagate in esecuzione della sentenza di primo grado, proposte dalla Tizio, mentre ha invece rigettato le analoghe domande di restituzione di altre rate del corrispettivo già a suo tempo versate dalla medesima società.
La domanda di risarcimento dei danni proposta dall’appellante (ed odierna ricorrente) non poteva evidentemente trovare accoglimento, alla luce delle precedenti considerazioni svolte dalla corte d’appello, di cui s’è già dato conto. Quella di restituzione di somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado era del pari evidentemente non accoglibile, essendo stato rigettato il gravame proposto avverso detta sentenza.
Corretta in diritto – e neppure adeguatamente censurata – appare, infine, l’osservazione della corte milanese circa la non ripetibilità di rate di corrispettivo afferenti a periodi contrattuali già scaduti quando il contratto in questione (che è contratto di durata) è stato giudizialmente risolto.
6. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 5.000,00 (cinquemila) per onorari e 100,00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.000,00 (cinquemila) per onorari e 100,00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 30 novembre 2006.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 12 GEN 2007
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