SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III PENALE
Sentenza 29 settembre – 23 dicembre 2009, n. 49437
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza emessa in data 1 agosto 2008 nel procedimento penale nei confronti di S.K.P., L.C., N. F. e di S.G., tutti indagati per il reato di cui all’art. 110 c.p. e L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 ter, comma 2, lett. a-bis), il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bergamo, accogliendo la richiesta del Pubblico Ministero, ordinava il sequestro preventivo del sito web www.thepiratebay.org disponendo altresì che i fornitori di servizi internet (Internet Service Provider) e segnatamente i provider operanti sul territorio dello Stato italiano inibissero ai rispettivi utenti – anche a mente del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, artt. 14 e 15 – l’accesso all’indirizzo suddetto, ai relativi alias e nomi di dominio rinvianti al sito medesimo. Il g.i.p. – dopo aver diffusamente descritto la tecnica informatica (cd. peer-to-peer a mezzo di file torrent) di messa in circolazione nella rete Internet di opere protette dal diritto d’autore, senza averne diritto – riteneva sussistere il fumus delicti ed il periculum del reato di cui all’art. 110 c.p. e 171 ter, comma 2, lett. a-bis), cit..
Con ricorso ex art. 324 c.p.p. e successiva memoria i difensori di S.K. chiedevano l’annullamento del sequestro preventivo, eccependo il difetto di giurisdizione, l’insussistenza del fumus delicti, nonchè la falsa applicazione dell’art. 321 c.p.p. e del D.Lgs. n. 70 del 2003, artt. 14 e 15. 2.
Con ordinanza del 24 settembre 2008 il tribunale per il riesame di Bergamo, in accoglimento del ricorso, annullava il sequestro preventivo. Il tribunale riteneva la sussistenza del fumus delicti, alla luce di quanto evidenziato dalla Guardia di Finanza, che riferiva di un elevatissimo numero di contatti al sito in questione, registrati sul territorio nazionale, che operavano il downloading di opere coperte da diritto d’autore senza averne diritto. Risultava quindi in punto di fatto che gli indagati, attraverso il sito www.thepiratebay.org e con un’innovativa tecnologia informatica di trasferimento di file (cd. peer-to-peer a mezzo di file torrent), mettevano a disposizione del pubblico della rete Internet opere dell’ingegno protette; condotta questa riconducibile a quella tipizzata nell’art. 171 ter, comma 2, lett. a bis), citato.
Il tribunale inoltre riconosceva sussistere anche il periculum, osservando che l’elevatissimo numero di connessioni rilevate induceva a ritenere l’attualità della condotta del delitto ipotizzato. Osservava poi in diritto che le misure cautelari – e segnatamente i sequestri – secondo l’ordinamento processuale penale hanno carattere di numerus clausus; che di conseguenza non è giuridicamente possibile emettere un sequestro preventivo al di fuori delle ipotesi nominate per le quali l’istituto è previsto; che il sequestro preventivo ha una evidente natura reale, in quanto si realizza con l’apposizione di un vincolo di indisponibilità sulla res, sottraendo il bene alla libera disponibilità di chiunque; che dunque l’ambito di incidenza del sequestro preventivo deve essere ristretto alla effettiva apprensione della cosa oggetto del provvedimento.
Invece nella specie – riteneva il tribunale – la censurata ordinanza del g.i.p. aveva il contenuto di un ordine imposto dall’Autorità Giudiziaria a soggetti (allo stato) estranei al reato, volto ad inibire, mediante la collaborazione degli stessi, ogni collegamento al sito web in questione da parte di terze persone. Tale misura cautelare, seppur astrattamente in linea con la previsione del D.Lgs. n. 70 del 2003, artt. 14 e 15, si risolveva in una inibitoria atipica, che spostava l’ambito di incidenza del provvedimento da quello reale, proprio del sequestro preventivo, a quello obbligatorio, in quanto indirizzato a soggetti determinati (i cd. provider), ai quali veniva ordinato di conformare la propria condotta (ossia di non fornire la propria prestazione), al fine di ottenere l’ulteriore e indiretto risultato di impedire connessioni al sito in questione.
In conclusione riteneva il tribunale che l’utilizzo del provvedimento cautelare di cui all’art. 321 c.p.p., quale inibitoria di attività, non poteva essere condiviso, in quanto produceva l’effetto di sovvertirne natura e funzione, di talchè il sequestro doveva essere annullato in quanto illegittimo. 3. Avverso questa ordinanza ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bergamo con due motivi.
In prossimità dell’udienza camerale i difensori di fiducia di S. K.P., successivamente nominati in data 24 aprile 2009, hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bergamo è articolato in due motivi.
Con il primo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione dell’art. 321 c.p.p. nella parte in cui l’adito Tribunale per il riesame ha ritenuto la nullità dell’ordinanza con cui il g.i.p. ha disposto il sequestro preventivo per asserita carenza di conformità tra il suddetto provvedimento ed il paradigma del sequestro preventivo, come disciplinato negli artt. 321 ss. c.p.p.. Censura quindi l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha annullato il sequestro, qualificandolo come provvedimento atipico, esorbitante dal vigente ordinamento processuale, come tale inammissibile in sede penale. A tal fine osserva il ricorrente che deve ammettersi che un sito Internet possa costituire oggetto di sequestro.
La sua natura di bene immateriale non pregiudica, in linea di principio, l’applicabilità del vincolo non potendo negarsi che ad un sito Internet in generale (ed al sito oggetto del sequestro de quo in particolare) possa attribuirsi una sua “fisicità”, ovvero una dimensione materiale e concreta. Inoltre secondo il ricorrente ben poteva il g.i.p. disporre che i fornitori di servizi Internet (Internet Service Provider) e segnatamente i provider operanti sul territorio dello Stato italiano inibissero ai rispettivi utenti – anche a mente del D.Lgs. n. 70 del 2003, artt. 14 e 15 – l’accesso all’indirizzo www.thepiratebay.org, ai relativi alias e nomi di dominio rinvianti al sito medesimo. Ed invero l’attività prescritta con l’ordinanza di sequestro, annullata dal tribunale per il riesame, non si traduce in una surrettizia ed asseritamente atipica attività inibitoria nè nei confronti degli indagati nè nei confronti dei fornitori di servizi Internet.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione o erronea applicazione del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, artt. 14 e 16. Fermo restando l’esonero da responsabilità per i fornitori di contenuti telematici riconducibili a terzi, sussiste però un obbligo generale di vigilanza del provider sui flussi telematici in transito sui propri sistemi. Altresì può ritenersi operante – secondo il ricorrente – un principio di doverosa cooperazione del provider con l’Autorità Giudiziaria, nell’ambito dei servizi erogati; principio che si traduce nell’obbligo di impedire o porre fine alle violazioni commesse, quando la predetta Autorità lo richieda.
2. Preliminarmente va affermata la ritualità della comunicazione degli avvisi per l’odierna udienza camerale. Deve rilevarsi che avverso l’ordinanza del 1 agosto 2008 del g.i.p. presso il tribunale di Bergamo il solo indagato S.K., a mezzo dei suoi originari difensori di fiducia, proponeva istanza di riesame che veniva accolta dal tribunale con l’ordinanza successivamente impugnata con ricorso per cassazione da parte del Procuratore della Repubblica. Non risultando i difensori di fiducia dell’indagato essere abilitati a patrocinare innanzi a questa Corte, è stato nominato un difensore d’ufficio, al pari che per gli altri indagati che non hanno eletto domicilio in ****, nè hanno nominato alcun difensore di fiducia.
L’avviso della camera di consiglio – oltre ad essere notificato al difensore d’ufficio e agli altri indagati presso questo stesso – è stato notificato anche all’indagato S.K. presso i suoi difensori di fiducia nella fase del riesame. Deve infatti considerarsi che l’indagato S.K. – il quale, in quanto residente all’estero, aveva diritto ad essere invitato a dichiarare o ad eleggere domicilio nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 169 c.p.p., comma 1, – ha dichiarato il proprio domicilio all’estero ed ha nominato i suoi difensori di fiducia in ****, talchè, in applicazione della citata disposizione, “le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore”. Nella specie, trattandosi di impugnazione di misura cautelare reale, ha trovato altresì applicazione l’art. 324 c.p.p., comma 2, che, in caso di richiesta di riesame, onera l’imputato (o – deve ritenersi – l’indagato), ove non abbia già dichiarato o eletto domicilio o non si sia proceduto al previo invito a dichiarare o ad eleggere il domicilio a norma dell’art. 161 c.p.c., comma 2, (o – deve ritenersi – anche a norma del citato art. 169 c.p.p., comma 1, c.p.p.), ad indicare il domicilio presso il quale intende ricevere l’avviso previsto dal comma 6 dell’art. 324 c.p.p. e, in mancanza, l’avviso è notificato mediante consegna al difensore.
Per effetto di tale disposizione l’imputato o l’indagato, che proponga richiesta di riesame e non indichi il domicilio presso il quale intende ricevere l’avviso d’udienza, deve intendersi domiciliato, a tal fine, presso il proprio difensore di fiducia al quale va notificato (ed in concreto, nella specie, è stato notificato per la camera di consiglio fissata innanzi al tribunale di Bergamo) l’avviso di cui all’art. 324 c.p.p., comma 6. Può allora enunciarsi, come principio di diritto, che in tale evenienza – quella di un indagato residente all’estero, destinatario dell’invito a dichiarare o eleggere il domicilio nel territorio dello Stato ex art. 169 c.p.p., comma 1, il quale, avendo invece dichiarato il domicilio all’estero nominando un difensore di fiducia in ****, risulti ex lege (art. 324 c.p.p., comma 2) domiciliato presso il proprio difensore di fiducia ai fini della notifica dell’avviso di cui all’art. 324 c.p.p., comma 6, – il domicilio dell’indagato presso il difensore di fiducia permane anche in caso di ricorso per cassazione avverso l’ordinanza che abbia deciso la richiesta di riesame ex art. 324 c.p.p., nè è posto nel nulla dalla circostanza che il difensore di fiducia non sia abilitato a difendere innanzi a questa Corte. Conseguentemente, nominato il difensore d’ufficio per non essere quello di fiducia abilitato al patrocinio innanzi a questa Corte, l’avviso d’udienza – che in generale deve essere notificato anche all’imputato o all’indagato (art. 613 c.p.p., comma 4) presso il domicilio dichiarato o eletto (Cass., sez. un., 6 novembre 1992 – 22 febbraio 1993, n. 14) – va notificato, nella fattispecie suddetta, all’indagato presso il difensore di fiducia della fase del riesame. Tale prescrizione, così ricostruita a garanzia dell’indagato residente all’estero, inizialmente negletta per l’udienza camerale del 18 febbraio 2009 (v. ordinanza resa in pari data), è stata ritualmente osservata per l’odierna udienza, fermo restando che invece per gli altri indagati correttamente l’avviso dell’odierna camera di consiglio è stato loro notificato presso il nominato difensore d’ufficio.
3. Nel merito il ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, è fondato nei limiti e con le precisazioni che seguono.
4. Innanzi tutto va affermato che correttamente l’impugnata ordinanza del tribunale di Bergamo ha ritenuto sussistere, quale presupposto del sequestro preventivo, il fumus commissi delicti consistente nel trasferimento, a mezzo della rete Internet, di file aventi il contenuto di opere coperte da diritto d’autore in violazione del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico di tali opere.
La particolare tecnologia informatica di condivisione di file tra utenti della rete Internet (c.d. file sharing) e l’utilizzo di protocolli di trasferimento dei file direttamente tra utenti (cd. peer-to-peer) per la diffusione in rete di opere coperte da diritto d’autore – secondo la ricognizione in punto di fatto operata dai giudici di merito – non escludono la configurabilità del reato; ciò di cui in realtà non dubita l’ordinanza impugnata, che puntualmente da conto degli elementi di fatto rilevanti nella specie, confermando peraltro la ricostruzione, sempre in punto di fatto, operata dal g.i.p..
Può comunque considerarsi in proposito che – come emerge dalla ricognizione in punto di fatto operata dai giudici di merito – la caratteristica della condivisione di file (file sharing) e dei protocolli di trasferimento dei file, del tipo peer-to-peer, è quella di aver decentrato plesso gli utenti (client) – verso i quali, in quanto utenti finali, c’è l’attività di ricezione di file per via telematica (cd. downloading) dell’opera coperta da diritto d’autore – anche l’attività di invio di file per via telematica (cd. uploading) dell’opera stessa. Quindi la “diffusione” dell’opera coperta da diritto d’autore non avviene dal centro (il sito web) verso la periferia (che riceve il downloading), ma da utente (che effettua l’uploading) ad utenti che lo ricevono; quindi da “pari a pari” (peer-to-peer) non essendoci un centro (il sito web) che “possiede” l’opera e la trasferisca in periferia agli utenti che accedono al sito. L’opera è invece in periferia, presso gli utenti stessi, e da questi è trasferita – e quindi diffusa – ad altri utenti.
Pertanto il reato di diffusione dell’opera, senza averne diritto, mediante la rete Internet è commesso innanzi tutto da chi fa l’uploading; reato previsto, rispettivamente, dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171, comma 1, lett. a-bis), se c’è la messa a disposizione dell’opera in rete “a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma”, ma non a scopo di lucro, ovvero dall’art. 171 ter, comma 2, lett. a-bis), se c’è la comunicazione dell’opera in rete a fine di lucro; reato quest’ultimo che, nella specie, è quello per il quale si procede essendosi ravvisato – da parte dei giudici di merito – il fine di lucro negli introiti delle inserzioni pubblicitarie a pagamento. La condotta attribuita agli imputati è attualmente descritta dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 2, lett. a- bis), introdotto dal D.L. 22 marzo 2004, n. 72, art. 1, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 maggio 2004, n. 128, e poi ulteriormente modificato dal D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, art. 3, comma 3-quinquies, convertito in L. 31 marzo 2005, n. 43, che ancora la punibilità a tale titolo mediante il riferimento all’ipotesi che il fatto venga commesso “a fini di lucro” (cfr. Cass., sez. 3^, 22 novembre 2006 – 9 gennaio 2007 n. 149).
5. Il problema che nella specie si pone è se a questa condotta delittuosa sia estraneo, o meno, il titolare del sito che mette in comunicazione gli utenti i quali commettono l’illecito con l’attività di uploading. Se il sito web si limitasse a mettere a disposizione il protocollo di comunicazione (quale quello peer-to-peer) per consentire la condivisione di file, contenenti l’opera coperta da diritto d’autore, ed il loro trasferimento tra utenti, il titolare del sito stesso sarebbe in realtà estraneo al reato. Però se il titolare del sito non si limita a ciò, ma fa qualcosa di più – ossia indicizza le informazioni che gli vengono dagli utenti, che sono tutti potenziali autori di uploading, sicchè queste informazioni (i.e. chiavi di accesso agli utenti periferici che posseggono, in tutto o in parte, l’opera), anche se ridotte al minimo, ma pur sempre essenziali perchè gli utenti possano orientarsi chiedendo il downloading di quell’opera piuttosto che un’altra, sono in tal modo elaborate e rese disponibili nel sito, ad es. a mezzo di un motore di ricerca o con delle liste indicizzate – il sito cessa di essere un mero “corriere” che organizza il trasporto dei dati.
C’è un quid pluris in quanto viene resa disponibile all’utenza del sito anche una indicizzazione costantemente aggiornata che consente di percepire il contenuto dei file suscettibili di trasferimento. A quel punto l’attività di trasporto dei file (file transfert) non è più agnostica; ma si caratterizza come trasporto di dati contenenti materiale coperto da diritto d’autore. Ed allora è vero che lo scambio dei file avviene da utente ad utente (peer-to- peer), ma l’attività del sito web (al quale è riferibile il protocollo di trasferimento e l’indicizzazione di dati essenziali) è quella che consente ciò e pertanto c’è un apporto causale a tale condotta che ben può essere inquadrato nella partecipazione imputabile a titolo di concorso di persone ex art. 110 c.p.; cfr.: Cass., sez. 2^, 17 giugno 1992 – 16 luglio 1992, n. 8017, secondo cui l’attività di chi concorre nel reato ex art. 100 c.p. può essere rappresentata da qualsiasi forma di compartecipazione o contributo di ordine materiale o psicologico a tutte o ad alcune delle fasi di ideazione, organizzazione ed esecuzione della condotta illecita; Cass., sez. 1^, 14 febbraio 2006 – 2 maggio 2006, n. 15023, secondo cui la partecipazione al reato può consistere anche in un apporto che soltanto agevoli la condotta illecita; Cass., sez. 4^, 22 maggio 2007 – 26 giugno 2007, n. 24895, secondo cui anche il mero “contributo agevolatore”, che, se di “minima importanza”, da luogo all’attenuante di cui all’art. 114 c.p., comunque consente l’imputazione a titolo di concorso nel reato; infine cfr. anche Cass., sez. 6^, 28 giugno 2007 – 30 luglio 2007, n. 30968, sulla responsabilità a titolo di concorso del direttore responsabile di un sito web ove era stata effettuata la pubblicazione di un atto amministrativo a carattere riservato.
Nè la circostanza che la condotta di partecipazione sia stata posta in essere all’estero fa venir meno la giurisdizione del giudice nazionale laddove una parte della condotta comune abbia avuto luogo in ****; cfr. Cass., sez. 5^, 9 luglio 2008 – 20 ottobre 2008, n. 39205, secondo cui, in caso di concorso di persone nel reato, ai fini della sussistenza della giurisdizione penale del giudice italiano e per la punibilità di tutti i concorrenti, è sufficiente che nel territorio dello Stato sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione da parte di uno qualsiasi dei concorrenti. Cfr. anche Cass., sez. 5^, 17 novembre 2000 – 27 dicembre 2000, n. 4741, che ha affermato che il giudice italiano è competente a conoscere della diffamazione compiuta mediante l’inserimento nella rete telematica Internet di frasi offensive e/o immagini denigratorie, anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all’estero, purchè l’offesa sia stata percepita da fruitori che si trovino in Italia.
In altre parole la tecnologia peer-to-peer decentra sì l’uploading (la diffusione in rete dell’opera), ma non ha anche l’effetto, per così dire, di decentrare l’illegalità della diffusione dell’opera coperta da diritto d’autore senza averne diritto. Rimane comunque un apporto del centro (ossia del titolare del sito web) a ciò che fa la periferia (gli utenti del servizio informatico che, utilizzando quanto reso disponibile nel sito web, scaricano l’opera protetta dal diritto d’autore), apporto che, nel nostro ordinamento giuridico, consente l’imputazione a titolo di concorso nel reato previsto dal cit. art. 171 ter, comma 2, lett. a bis), cit..
6. Se poi si considerano in particolare più sofisticate tecnologie di tale trasferimento di file – quale quella che frammenta l’opera in modo da coinvolgere più utenti nell’attività di uploading (a mezzo dei cd. file torrent) – si ha in realtà che, sotto il profilo giuridico appena considerato, non cambia nulla. La diffusione dell’opera coperta da diritto d’autore avviene sempre da utente ad utente tramite un più sofisticato protocollo peer-to-peer che, frammentando l’attività di uploading, ha l’effetto di velocizzarla e di evitare le “code” di attesa nel caso in cui tale attività sia operata da un unico utente.
Questa possibile frammentazione dell’attività di uploading comporta che la messa in rete dell’opera è riferibile non più ad un determinato utente, ma ad una pluralità di essi che concorrono tutti diffondendo una parte dell’opera coperta da diritto d’autore. Portando al limite questa frammentazione si può anche ipotizzare che il singolo utente diffonda un frammento dell’opera che, preso in sè, non sia sufficientemente significativo sotto il profilo strettamente giuridico, sì da non potersi considerare di per sè solo coperto da diritto d’autore. Ma, ricomponendo i frammenti secondo le istruzioni di tracciamento che sono nel sito web, si ha il trasferimento dell’opera intera (o di parti di essa), la cui diffusione è ascrivibile innanzi tutto ai singoli utenti. Mentre l’attività di indicizzazione e di tracciamento, che è essenziale perchè gli utenti possano operare il trasferimento dell’opera (che in tal caso va da una pluralità di utenti autori dell’uploading verso una potenziale pluralità di utenti ricettori del downloading) è ascrivibile al (gestore del) sito web e quindi rimane l’imputabilità a titolo di concorso nel reato di cui all’art. 171 ter, comma 2, lett. a-bis), cit..
Sarebbe possibile predicare l’estraneità del sito web – o, più precisamente, del suo titolare – alla diffusione dell’opera solo nel caso estremo in cui la sua attività fosse completamente agnostica, ove ad es. anche l’indicizzazione dei dati essenziali tosse decentrata verso la periferia. In tal caso sì vi sarebbe solo una comunità di utenti (un social network) che condividono un protocollo di trasferimento di dati ed i quali tutti indicizzano i dati stessi consentendo la reperibilità delle informazioni essenziali. In questa evenienza il materiale messo in comune e reso disponibile per il trasferimento potrebbe essere il più vario (coperto, o meno, da diritto d’autore) e la responsabilità penale sarebbe solo degli utenti che operano l’uploading e prima ancora l’indicizzazione dei dati.
7. Tutto ciò considerato in generale sull’astratta configurabilità del reato di cui all’art. 171 ter, comma 2, lett. a-bis), cit., deve rilevarsi, con riferimento al caso di specie, che nell’ordinanza impugnata è detto che le “chiavi” per accedere agli archivi degli utenti che posseggono l’opera coperta dal diritto d’autore si trovano nel sito web denominato www.thepiratebay.org; quindi l’attività di indicizzazione e il risultato della stessa (i cd. file di tracciamento) sono nel sito. Ciò consente – sotto il profilo del fumus – di escludere che dagli atti emerga il decentramento anche dell’attività di indicizzazione, essenziale per la diffusione dell’opera, e di affermare invece la sussistenza di una condotta riferibile al menzionato sito web – e più precisamente agli attuali indagati quali titolari e gestori dello stesso – e rilevante sul piano penale a titolo di concorso nel reato di cui all’art. 171 ter, comma 2, lett. a-bis), cit.. L’ordinanza impugnata del tribunale per il riesame, al pari dell’ordinanza del g.i.p., ritiene poi sussistere il periculum per l’adottabilità della misura cautelare del sequestro preventivo; ciò che implica una valutandone in fatto non censurabile e non censurata in questa sede di legittimità.
Quindi in sintesi sussistono – per le ragioni finora esaminate – sia l’astratta configurabilità del reato di cui all’art. 171 ter, comma 2, lett. a-bis), cit., verificabile in sede di legittimità costituendo ciò una questione di diritto e stante il generale disposto dell’art. 129 c.p.p., sia anche il periculum, non oggetto di censure.
8. Proseguendo oltre nell’esame dei presupposti del sequestro preventivo disposto dal g.i.p., ma annullato dal tribunale per il riesame, deve considerarsi che la circostanza che l’hardware del sito non sia in **** non esclude la giurisdizione del giudice penale nazionale in ragione del disposto dell’art. 6 c.p.. Infatti il reato di diffusione in rete dell’opera coperta da diritto d’autore si perfeziona con la messa a disposizione dell’opera in favore dell’utente finale. Se si considerano gli utenti nel territorio dello Stato che accedono, tramite provider, al sito www.thepiratebay.org e scaricano da altri utenti, non localizzati, opere coperte da diritto d’autore, c’è comunque che la condotta penalmente illecita di messa a disposizione in rete dell’opera stessa si perfeziona nel momento in cui l’utente in **** riceve il file o i file che contengono l’opera. Quindi, pur essendo globale e sovranazionale l’attività di trasmissione di dati a mezzo della rete Internet, vi è comunque, nella fattispecie, una parte dell’azione penalmente rilevante che avviene nel territorio dello Stato e ciò consente di considerare come commesso nel territorio dello Stato il reato di diffusione non autorizzata di opere coperte da diritto d’autore limitatamente agli utenti in ****. Per la possibilità di sequestro preventivo di beni all’estero v. Cass., sez. 2^, 22 novembre 2005 – 16 gennaio 2006, n. 1573, che ha affermato che è legittimo il provvedimento di sequestro preventivo disposto, senza (in realtà prima del)l’attivazione di una rogatoria internazionale, in riferimento a beni esistenti all’estero, dovendosi distinguere il momento decisorio della misura, che rientra nella competenza dell’autorità giudiziaria interna secondo la normativa nazionale, da quello esecutivo, su cui il controllo è di esclusiva competenza dell’autorità straniera secondo la sua legislazione.
9. L’impugnata l’ordinanza del tribunale di Bergamo ha ritenuto che la misura cautelare adottata dal g.i.p. presso il tribunale di Bergamo è illegittima in quanto non ha il contenuto tipico del sequestro, ma costituisce, nella sostanza, un’inammissibile inibitoria, al pari di un provvedimento cautelare civile, violando così il principio della tipicità delle misure cautelari che opera nel processo penale, a differenza del processo civile che segnatamente non tipicizza il contenuto dei provvedimenti cautelari d’urgenza. Su questa affermazione si appuntano in particolare le censure del Procuratore della Repubblica ricorrente, che – come rilevato – sono fondate.
10. Deve innanzi tutto considerarsi che il provvedimento del g.i.p. ha un contenuto complesso perchè da una parte ha sequestrato il sito web in questione ed ha d’altra parte disposto che i provider inibiscano l’accesso al sito; questo duplice contenuto della misura cautelare converge verso l’obiettivo di interdire l’attività penalmente rilevante, ossia la illecita diffusione di opere coperte da diritto d’autore verso utenti in ****.
Questo provvedimento è stato annullato dal tribunale che ha ritenuto che il decreto censurato ha il contenuto di un ordine imposto dall’autorità giudiziaria a soggetti … estranei al reato” (i provider della connessione); quindi si tratterebbe solo di una mera inibitoria sub specie di sequestro preventivo. In realtà così non è perchè c’è innalzi tutto il sequestro del sito web, come emerge anche e soprattutto dall’ordinanza del g.i.p. dove si legge “La struttura organizzativa, invero, appare organizzata e realizzata interamente all’estero, in quanto gli apparati informatici dei server come risulta dalle informazioni di pubblico dominio reperibili in Internet – sono stati materialmente collocati dapprima in ****, quindi in ****”. Il fatto che l’hardware sia collocato all’estero, non è però di impedimento all’adottabilità del provvedimento di sequestro preventivo una volta che si ritenga – come si è sopra affermato – la giurisdizione del giudice penale nazionale ex art. 6 c.p..
11. Va poi ribadito che il sequestro preventivo ha carattere reale nel senso che esso ha ad oggetto l’apprensione di una res, pur non necessariamente “materiale” in senso stretto (cfr. Cass., sez. 3^, 27 settembre 2007 – 24 ottobre 2007, n. 39354, sul sequestro preventivo di un sito web recante messaggi ed annunci di contenuto osceno; Cass., sez. 3^, 4 luglio 2006 – 10 ottobre 2006, n. 33945, sull’ammissibilità del sequestro preventivo di un portale web; Cass., sez. 5^, 4 giugno 2002 – 3 luglio 2002, n. 25489, sull’ammissibilità del sequestro di un’azienda come complesso di beni materiali ed immateriali; Cass., sez. 1^, 22 settembre 1997 – 14 ottobre 1997, n. 5148, sull’ammissibilità del sequestro di un’utenza telefonica; Cass., sez. 5^, 21 aprile 1997 – 22 maggio 1997, n. 1933, sull’ammissibilità del sequestro di un diritto di credito ove suscettibile di essere qualificato come “cosa pertinente al reato”; Cass., sez. 6^, 24 marzo 1992 – 8 maggio 1992, n. 979, sull’ammissibilità del sequestro delle quote sociali di una società a responsabilità limitata), vuoi nell’ipotesi in cui sia connessa al reato (cfr. C. cost. n. 48 del 1994 che parla di “vincolo di pertinenzialità col reato”) perchè può aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati, sì da poterla qualificare come “cosa pertinente al reato”, vuoi nel caso in cui di essa sia possibile la confisca. Non è invece possibile il “sequestro preventivo di attività”; cfr. Cass., sez. 2^, 9 marzo 2006 – 24 marzo 2006, n. 10437, e Cass., sez. 6^, 14 dicembre 1998 – 2 febbraio 1999, n. 4016, secondo cui il sequestro preventivo può avere ad oggetto solo il risultato di un’attività e non l’attività in se, perchè è estranea ad esso la funzione di inibizione di comportamenti. Questa limitazione dell’area del sequestro preventivo va però chiarita se solo si pensa che già la Relazione al progetto preliminare del codice di rito, nel riferirsi ai vincoli creati sulla cosa col sequestro preventivo, specificava che il sequestro non mira semplicemente a sottrarre la disponibilità della cosa pertinente al reato a chi la detiene, ma “tende piuttosto ad inibire certe attività … che il destinatario della misura può realizzare mediante la cosa”. In disparte la confiscabilità della cosa, il “vincolo di pertinenzialità col reato” è condizione necessaria e sufficiente per predicare il carattere reale della misura, che non viene meno per il fatto che conseguentemente non sia più possibile svolgere alcuna attività sulla cosa sequestrata. Nel sequestro preventivo c’è anche un inevitabile contenuto inibitorio di attività per il solo fatto che per effetto della misura cautelare siano precluse quelle attività che richiedono la disponibilità della cosa. Ma non è quest’altra faccia del sequestro preventivo a trasformare la misura cautelare in una mera inibitoria di attività; la quale si specifica invece come mero ordine di fare o non fare, questo sì non suscettibile di rivestire la forma del sequestro preventivo per difetto del carattere reale che lo tipicizza. In questo contesto si innesta poi anche l’ulteriore e delicato problema – che però nella specie in esame non rileva – del raccordo tra la giurisdizione penale ed il normale esercizio della giurisdizione civile o dell’attività amministrativa allorchè il sequestro preventivo (segnatamente di atti e documenti) si atteggi essenzialmente ad (inammissibile) inibizione dell’una o dell’altra (sono le fattispecie esaminate rispettivamente da Cass., sez. 2^, 9 marzo 2006 – 24 marzo 2006, n. 10437, e da Cass., sez. 6^, 14 dicembre 1998 – 2 febbraio 1999, n. 4016, sopra cit.).
Nel caso di specie – che vede invece essere oggetto del sequestro un sito web che, per le considerazioni sopra svolte, partecipa all’attività di diffusione nella rete Internet di un’opera coperta da diritto d’autore senza averne diritto (cfr. in particolare Cass., sez. 3^, 4 luglio 2006 – 10 ottobre 2006, n. 33945, cit.) – c’è indubbiamente un risvolto della misura cautelare che può essere riguardato come un’inibitoria a proseguire in tale attività penalmente illecita. Ma si rimane nell’ambito del sequestro preventivo che investe direttamente la disponibilità del sito web e che, solo come conseguenza, ridonda anche in inibizione di attività. Sicchè sussiste, sotto questo profilo, il carattere reale del sequestro preventivo che quindi non viola il principio di tipicità delle misure cautelari penali.
12. L’originario provvedimento del g.i.p., annullato dal tribunale per il riesame, ha disposto poi che i fornitori di servizi internet (Internet Service Provider) e segnatamente i provider operanti sul territorio dello Stato italiano inibissero ai rispettivi utenti l’accesso all’indirizzo del sito web denominato www.thepiratebay.org, ai relativi alias e nomi di dominio rinvianti al sito medesimo. Nella specie pertanto al sequestro preventivo del sito web si accompagna una vera e propria inibitoria che – questa sì – è priva del carattere reale, ma ciò non inficia la legittimità della misura cautelare nel suo complesso giacchè comunque è soddisfatto il principio di tipicità e di legalità. Occorre infatti considerare in proposito che in questa specifica materia (della circolazione di dati sulla rete informatica Internet) uno speciale potere inibitorio è assegnato all’autorità giudiziaria dal D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, artt. 14 e 16, di attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa ai servizi della società dell’informazione.
Tale normativa speciale, nel prevedere in generale la libera circolazione – nei limiti però del rispetto del diritto d’autore: art. 4, comma 1, lett. a) – di tali servizi, quali quelli prestati dai provider per l’accesso alla rete informatica Internet, contempla anche, come deroga a tale principio, che la libera circolazione di un determinato servizio possa essere limitata con provvedimento dell’autorità giudiziaria per motivi attinenti all’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento di reati. In particolare l’art. 14, comma 3, art. 15, comma 3, e art. 16, comma 3, prevedono che l’autorità giudiziaria possa esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore del servizio impedisca o ponga fine alle violazioni commesse; disposizioni queste che vanno lette unitamente al successivo art. 17; il quale esclude sì un generale obbligo di sorveglianza nel senso che il provider non è tenuto a verificare che i dati che trasmette concretino un’attività illecita, segnatamente in violazione del diritto d’autore, ma – congiuntamente all’obbligo di denunciare l’attività illecita, ove il prestatore del servizio ne sia comunque venuto a conoscenza, e di fornire le informazioni dirette all’identificazione dell’autore dell’attività illecita – contempla che l’autorità giudiziaria possa richiedere al prestatore di tali servizi di impedire l’accesso al contenuto illecito (art. 17, comma 3).
La lettura congiunta di tali disposizioni consente di affermare che sussiste un potere inibitorio dell’autorità giudiziaria penale avente il contenuto di un ordine ai provider dei servizi suddetti di precludere l’accesso alla rete informatica Internet al solo fine di impedire la prosecuzione della perpetrazione del reato di cui all’art. 171 ter, comma 2, lett. a-bis), cit. Tale inibitoria peraltro deve essere rispettosa del principio di “proporzionalità” (D.Lgs. n. 70 del 2003, art. 5, comma 2, lett. b, cit.) della limitazione dell’accesso rispetto all’obiettivo di individuazione e perseguimento di reati, atteso che la circolazione di informazioni sulla rete informatica Internet rappresenta pur sempre una forma di espressione e diffusione del pensiero che ricade nella garanzia costituzionale dell’art. 21, primo comma, Cost. (cfr. in proposito Cass., sez. 3^, 11 dicembre 2008 – 10 marzo 2009, n. 10535, che, con riferimento ai blog sulla rete Internet, distingue tra libertà di manifestazione del pensiero e libertà di stampa); profilo questo che però nella specie non viene in rilievo perchè il ricorso in esame pone solo il quesito dell’astratta configurabilità, o meno, di un’inibitoria di accesso ad un sito web mediante la rete informatica Internet, quale provvedimento del giudice penale che acceda ad un sequestro preventivo del sito stesso.
Tale inibitoria può essere adottata “anche in via d’urgenza”, come espressamente prevedono l’art. 14, comma 3, art. 15, comma 3, e art. 16, comma 3, sicchè, coniugando tali disposizioni con l’art. 321 c.p.p., è possibile che il giudice penale, nel disporre il sequestro preventivo del sito web, che – come già rilevato – costituisce una misura cautelare di carattere reale, possa contestualmente richiedere ai provider di escludere l’accesso al sito al limitato fine, nella specie, di precludere l’attività di illecita diffusione di opere coperte da diritto d’autore; così realizzandosi un rafforzamento della cautela che dalla mera sottrazione della disponibilità della cosa, tipica del sequestro preventivo, si amplia fino a comprendere anche una vera e propria inibitoria di attività, rispettosa anch’essa, nella particolare fattispecie in esame, del principio di tipicità e di legalità in quanto riferibile ad espresse e specifiche previsioni normative.
Quindi il quesito di diritto sopra posto trova, nelle citate disposizioni, una risposta affermativa nel senso che, sussistendo gli elementi del reato di cui all’art. 171 ter, comma 2, lett. a-bis), cit., il giudice può disporre il sequestro preventivo del sito web il cui gestore concorra nell’attività penalmente illecita di diffusione nella rete Internet di opere coperte da diritto d’autore, senza averne diritto, richiedendo contestualmente che i provider del servizio di connessione Internet escludano l’accesso al sito al limitato fine di precludere l’attività di illecita diffusione di tali opere.
13. Pertanto il ricorso va accolto con conseguente rinvio al tribunale di Bergamo.
P.Q.M.
la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Bergamo. Così deciso in Roma, il 29 settembre 2009. Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2009.
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