di Andrea Monti – PC Professionale n. 212 novembre 2008
Una sentenza del tribunale di Modica condanna un blogger per stampa clandestina e riapre la polemica sull’obbligo di registrazione dei siti web, a seguito della riforma della legge sull’editoria. Solo i giornalisti possono gestire siti internet?
Con la sentenza del 8 maggio 2008 il tribunale penale di Modica ha condannato per il reato di stampa clandestina il gestore di un sito internet che non lo aveva registrato come testata presso un tribunale, come invece vuole la legge n. 47/1948. Il giudice parte dalla premessa che, oltre alla presenza obbligatoria di un giornalista iscritto all’albo, “l’obbligo della registrazione riguarda esclusivamente i giornali quotidiani o periodici, sicché non pone alcuno ostacolo a che un soggetto manifesti il proprio pensiero con singoli stampati o con numeri unici.”
Questo principio – enunciato nel 1988 da una sentenza della Corte costituzionale – valeva per ciò che veniva stampato su carta, ma non per i siti internet che certamente di carta non sono. Le cose cambiano con l’entrata in vigore della L. 62/2001 che estende la nozione di “prodotto editoriale” anche al mondo digitale, e dunque anche ai siti internet e a prescindere dalla tecnologia con la quale sono realizzati (siti statici, CMS, piattaforme di blogging ecc.). L’emanazione di questa legge suscito preoccupazioni e polemiche, a posteriori dimostratesi fondate, fra chi riteneva che la confusione del testo normativo potesse implicare l’obbligo indiscriminato di registrazione in tribunale di qualsiasi sito internet. Illustri politici di ogni schieramento si affrettarono a dichiarare che non era questa l’intenzione del legislatore, e che i siti personali non erano tenuti ad alcun adempimento. Ma intanto il testo della legge rimase tal quale, e a distanza di tempo, puntualmente, è arrivata la dimostrazione che la L. 62/01 si può interpretare in modo diverso dalle rassicurazioni dei politici che, però, non hanno alcun valore in tribunale.
Dunque, secondo il giudice di Modica “devono essere inscritte, nell’apposito registro tenuto dai tribunali civili, le testate giornalistiche on-line che abbiano le stesse caratteristiche e la stessa natura di quelle scritte o radio-televisive e che, quindi, abbiano una periodicità regolare, un titolo identificativo (testata) e che diffondano presso il pubblico informazioni legate all’attualità.
In particolare, le testate telematiche da registrare e perciò sottoposte ai vincoli rappresentati dagli articoli n. 2, 3 e 5 della L. n. 47/1948 sulla stampa sono quelle pubblicate con periodicità (quotidiana, settimanale, bisettimanale, trisettimanale, mensile, bimestrale) e caratterizzate dalla raccolta, dal commento e dall’elaborazione critica di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale, dalla finalità di sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di fatti di cronaca e, comunque, di tematiche socialmente meritevoli di essere rese note.”. Chi non si adegua, di conseguenza, deve essere condannato per stampa clandestina.
Ragionamento ineccepibile? Mica tanto. In primo luogo, la L. 62/2001 parla di prodotto editoriale, cioè di un qualcosa destinato a essere venduto o comunque a produrre vantaggi economici. Se manca questa destinazione commerciale non si può parlare di “prodotto” e di conseguenza i siti personali non violerebbero la legge.
Inoltre, il ragionamento secondo il quale solo su un giornale si può raccontare un fatto di interesse comune ed esprimere le relative opinioni è una vera e propria bestialità. Intanto, sarebbe come dire che solo i giornalisti hanno il diritto di commentare. In secondo luogo, significherebbe consentire alle persone che giornalisti non sono, di occuparsi soltanto di cose prive di importanza. Sotto un profilo informatico, poi, la sentenza fa un ragionamento paradossale perchè fa dipendere la condanna da elementi di tipo tecnologico: se un sito ha una testata ed è aggiornato periodicamente, allora va gestito da un giornalista e va registrato in tribunale. Ma se manca pure uno solo di questi requisiti, allora l’obbligo di registrazione evidentemente non può sussistere.
Dunque, seguendo questa linea di pensiero, basterebbe eliminare gli header e le date di pubblicazione e aggiornare i contenuti senza particolari cadenze per non violare la legge. Per non parlare del fatto che, oltre ai siti internet, anche le mail formattate in HTML possono essere a tutti gli effetti realizzate come se fossero la pagina di un giornale. Anche in questo caso, allora, violare la legge dipenderebbe dall’avere o meno attivato la composizione in RTF o HTML di un messaggio di posta elettronica?
E’ evidente che se così fosse, saremmo di fronte a un colossale esercizio di stupidità. Se lo “stampatore clandestino” di Modica ricorrerà in appello, potrebbe avere buone probabilità di ribaltare il verdetto, ma il problema serio è a monte, nel modo confuso e incompetente in cui è stata concepita la L. 62/2001. Certo, come si è visto con un po di acrobazie giuridiche, le norme “incriminate” si possono interpretare in modo più ragionevole.
Ma proprio il fatto che l’interpretazione della legge sia talmente ampia da sfiorare l’arbitrio è la cosa inaccettabile, perché mette le persone nella condizione di non sapere – letteralmente – come comportarsi. Cosa devono fare, in attesa di nuove sentenze, gli utenti italiani?
Volendo seguire le indicazioni di questa strampalata sentenza, dovrebbero solo cambiare un po’ di formattazione dei propri siti, per non correre rischi. Oppure, a proprio rischio e pericolo, lasciare le cose come stanno e sperare che qualcuno, in Parlamento, corregga questo obbrobbrio giuridico.
Possibly Related Posts:
- Chi ci protegge dal dossieraggio tecnologico?
- Webscraping e Dataset AI: se il fine è di interesse pubblico non c’è violazione di copyright
- Perché Apple ha ritirato la causa contro la società israeliana dietro lo spyware Pegasus?
- Le sanzioni UE ad Apple e Google aprono un altro fronte nella guerra contro Big Tech (e incrinano quello interno)
- La rottura tra Stati e big tech non è mai stata così forte