Un articolo su Repubblica.it non firmato riferisce dell’esito della procedura di selezione della nuova arma da fianco dell’esercito americano. Non più la Beretta 92 (nella codifica americana, M9) ma la Sig Sauer, sconfitta, nel 1985, nel confronto testa a testa con la pistola italiana, e ora vincitrice con il modello P320.
L’articolo è poco più di un redazionale che si limita a ripetere in modo acritico i contenuti di informazioni generiche, principalmente relative alle specifiche di prodotto con una “chiosa” relativa al fatto che la Sig Sauer sia riuscita a “piazzare” nelle mani di James Bond un proprio modello, quando per anni l’arma per eccellenza dell’agente 007 è stata una ultraportatile Walther PPK.
Se proprio il giornalista professionista di Repubblica.it aveva deciso di occuparsi di armi, non gli sarebbe stato difficile trovare informazioni sui motivi che fecero vincere a Beretta l’appalto precedente, sulle contestazioni (reali o strumentali) da parte dei Navy Seal americani sulla presunta – e inesistente – inaffidabilità della M9, e sulle differenze concettuali tecnologiche di un progetto (quello della 92FS/M9) concettualmente “antico” e quello della P320. Così come non gli sarebbe stato difficile, anche senza essere un esperto di armi, trovare le informazioni che spiegano perchè la struttura in polimeri, la possibilità di variare la profondità del calcio e l’utilizzo di un percussore lanciato siano dei punti da tenere in considerazione quando si valuta un’arma.
Ancora, sarebbe stato abbastanza facile spiegare che la possibilità di avere un’arma multicalibro come la P320 è da valutare in prospettiva, perchè c’è un limite alla quantità di piombo che un militare in assetto da combattimento può portare, e non è pensabile che l’equipaggiamento possa prevedere tre tipi diversi di munizionamento (9para, 40SW e 45ACP) in una medesima missione. E prima ancora, che la modularità della P320 non significa andare in giro con una pistola “una e trina”.
Inoltre, sarebbe stato utile evidenziare che le forze speciali hanno maggiore autonomia nella scelta delle loro armi, tanto che all’epoca del “dominio” Beretta, i Navy Seal sparavano con una SigSauer P226Navy.
E se proprio il giornalista non fosse esperto di armi, avrebbe potuto commentare il fatto che l’appalto in questione – come già quello Beretta – implica l’apertura di una fabbrica negli USA come condizione per l’aggiudicazione.
Evidentemente non siamo di fronte a una bufala, ma ad un articolo privo di qualsiasi approfondimento e contestualizzazione, che non rende conto della complessità (geo)politica, economica e tecnologica di che sta dietro a un “semplice” appalto per la produzione di un’arma.
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