Meta-tag e concorrenza sleale: si pronuncia il tribunale di Milano

di Andrea Monti – PC Professionale n. 134

Chi inserisce parole nascoste in una pagina web per indirizzare a suo favore i risultati dei motori di ricerca è responsabile di concorrenza sleale. Con un’ordinanza depositata l’8 febbraio 2002 la prima sezione civile del tribunale di Milano ha affrontato il tema dell’abuso di meta-tag. Cioè del comportamento di chi inserisce parole “nascoste” in una pagina web che “forzano la mano” ai motori di ricerca, in modo che cercando il prodotto A si arrivi al web del prodotto B.
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GIP Milano Ord. 10 maggio 2002

Tribunale ordinario di Milano
Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari
Dott. Andrea Pellegrino
 
Ordinanza di archiviazione a seguito di opposizione non accolta 10.5.2002
Artt. 409 co.1, 410 c.p.p.
 
Nel proc. penale sopra epigrafato a carico di C.G. e F.F. entrambi difesi di fiducia dall’avv. Andrea Missaglia
Per il reato di cui agli artt. 51 n. 11, 616, 110 c.p. (in Milano il 31.7.01)Pers. Off.: A. A., dom. ex lege presso il dif. Avv. Mario Faggionato
 
Il Giudice per le indagini preliminari, dott. Andrea Pellegrino
 
Visti gli atti del procedimento,verificata la ritualità delle notifiche e degli avvisi, sentite le parti intervenute all’udienza camerale del 29.4.02, a scioglimento della riserva ivi assunta
 
OSSERVA
 
Con atto presentato presso gli uffici della Procura della Repubblica di Milano in data 7.11.01, l’avv. Mario Faggionato, nella sua qualità di difensore procuratore speciale di A. A., sporgeva denuncia querela nei confronti dei sigg.ri C. G. e R. F. (la prima, responsabile del reparto di project management della ditta (…); il secondo, legale rappresentante della predetta società) per il reato p. e p. dagliartt. 110 [1], 616 [2],61 n. 11 c.p.
[3] nonché per tutti gli altri reati eventualmente ravvisabili dall’Autorità Giudiziaria.
In fatto l’esponente deduceva che la A. in data 13.8.01 aveva ricevuto da parte del proprio datore di lavoro (…) presso la quale aveva svolto in qualità di impiegata mansioni di consultant/account sin dalla data di assunzione avvenuta l’1.9.00) raccomandata datata 6.8.01 del seguente letterale tenore: “il giorno 31 luglio u.s., la sua responsabile (C. G. n.d.r.), durante le normali e periodiche operazioni di lettura della casella aziendale di posta elettronica (cui fanno riferimento i clienti di (…), per i progetti a Lei assegnati) al fine di verificare eventuali messaggi ricevuti durante il Suo periodo di assenza per ferie, si imbatteva in comunicazioni inerenti soluzioni internet inequivocabilmente relative a progetti estranei a quelli attualmente gestiti da (.).”.
Con successiva missiva del 29.8.01 la A. veniva licenziata dalla ditta (.) per presunta violazione dei doveri inerenti al rapporto di lavoro (licenziamento che la lavoratrice impugnava con rivendicazioni economiche).
Nella denuncia-querela l’esponente deduceva che la condotta della C. e del R. presentava aspetti di rilevanza penale (art. 616 c.p.) avendo i medesimi fatto accesso alla corrispondenza della lavoratrice; corrispondenza – quella contenuta all’interno della sua casella di posta elettronica, al pari di quella effettuata per via epistolare, telegrafica, telefonica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza – la cui segretezza è garantita costituzionalmente. Né si poteva ritenere la ricorrenza di una causa di giustificazione (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere) dal momento che in nessun caso – con l’ovvia eccezione, nella specie non ricorrente, dell’ipotesi in cui si abbia motivo di ritenere che in essa siano contenuti elementi comprovanti fatti illeciti che interessino in modo diretto l’agente – è consentito al datore di lavoro di controllare il contenuto de
i messaggi di posta elettronica. Ad ogni buon conto occorreva evidenziare che:i messaggi inviati dai clienti erano, senza dubbio identificabili tra quelli contenuti nella casella postale (e ciò si deduceva dal fatto che la stessa società aveva assegnato tali clienti alla A. e le relative comunicazioni erano state oggetto di altri e precedenti controlli da parte della responsabile sig.ra C.);il controllo delle missive dei clienti era superfluo considerato che gli stessi erano in ferie;il controllo dei messaggi a carattere privato fu compiuto quanto la A. era in ferie evidentemente a sua insaputa e con l’avallo dei responsabili della società;non vi era alcuna fondata ragione, al momento del controllo della corrispondenza destinata alla A., da parte della società, per ritenere che in essa vi fossero contenuti elementi comprovanti fatti illeciti interessanti in modo diretto la società stessa.
 
In data 21.1.02 il P.M. avanzava richiesta di archiviazione del procedimento con la seguente motivazione: “le caselle di posta elettronica recanti quali estensioni nell’indirizzo e-mail @(…).it, seppur contraddistinte da diversi “username” d identificazione e password di accesso, sono da ritenersi equiparate ai normali strumenti di lavoro della società e quindi soltanto in uso ai singoli dipendenti per lo svolgimento dell’attività aziendale agli stessi demandata; considerando quindi che la titolarità di detti spazi di posta elettronica debba ritenersi riconducibile esclusivamente alla società. p.q.m. .omissis”.
L’opposizione risulta inaccoglibile mentre, di contro, l’archiviazione deve essere disposta ritenuta l’infondatezza della notizia di reato.
Dopo aver sgombrato il campo da impropri riferimenti alla normativa contenuta nella legge n. 675/96 relativa al ben diverso (ed assolutamente inconferente) problema della tutela del trattamento dai dati personali, una breve ma doverosa premessa s’impone.
La fattispecie dedotta avanti a questo giudice presenta aspetti di novità nell’ambito di una disciplina che solo da tempi relativamente assai recenti ha iniziato a fare la propria comparsa nelle aule giudiziarie.
Non può negarsi come la nascita e la diffusione di una nuova tecnologia precedono sempre e significativamente l’affermarsi di una cultura comune e standardizzata nell’utilizzo ad ogni livello del nuovo strumento. La preoccupazione della prima fase è solo quella di acquisire la padronanza, a volte anche solo parziale, dell’uso tecnico del nuovo mezzo o strumento senza alcun interesse (o attenzione) nel valutare le modalità di integrazione semiotica o antropomorfa dalla nuova tecnologia (cfr. il recente esempio della telefonia mobile). A questa regola non è certamente sfuggita la “posta elettronica” di internet.
In attesa di una codificazione dei comportamenti ai fini dell’omologazione e dell’accettazione di un uso standardizzato dello strumento, molte sono le problematiche che si sono affacciate con la nascita della “buca delle lettere elettronica”, tra queste dividendole per aree tematiche e con specifico riferimento all’utilizzo di tale strumento da parte del lavoratore si possono elencare le seguenti:
a) utilizzo anche per fine privato dell’indirizzo di posta elettronica da parte del lavoratore con eventuale esposizione dello stesso sulla carta da visita intestata a proprio nome;
b) possesso di un indirizzo “generalista” er cui la posta ivi indirizzata può avere come destinatario un qualunque altro dipendente con conseguente incertezza sulla “consegna”;
c) mancata individuazione del mittente (in possesso di un indirizzo in codice o con sigla) che non provvede a sottoscrivere il messaggio ovvero che non si preoccupa di farsi riconoscere rendendosi di fatto anonimo.
 
Limitando sostanzialmente la nostra analisi alla prima problematica, va detto innanzitutto come non possa mettersi in dubbio il fatto che l’indirizzo di posta elettronica affidato in uso al lavoratore, di solito accompagnato da un qualche identificativo più o meno esplicito, abbia carattere personale, nel senso cioè che lo stesso viene attribuito al singolo lavoratore per lo svolgimento delle proprie mansioni.
Tuttavia, “personalità” dell’indirizzo non significa necessariamente “privatezza” del medesimo dal momento che, salve le ipotesi in cui la qualifica del lavoratore lo consenta o addirittura lo imponga in considerazione dell’impossibilità o del divieto di compiere qualsiasi tipo di controllo/intromissioni da parte di altri lavoratori che rivestano funzioni o qualifiche sovraordinate (fattispecie che potrebbe effettivamente indurre a qualche dubbio), l’indirizzo aziendale, proprio perché tale, può sempre essere nella disponibilità di accesso e lettura da parte di persone diverse dall’utilizzatore consuetudinario (ma sempre appartenenti all’azienda) a prescindere dalla identità o diversità di qualifica o funzione: ipotesi, frequentissima, è quella del lavoratore che “sostituisce” il collega per qualunque causa (ferie, malattia, gravidanza) e che va ad operare, per consentire la continuità aziendale, sul personal-computer di quest’ultimo anche per periodi di tempo non limitati.
Così come non può configurarsi un diritto del lavoratore ad accedere in via esclusiva al computer aziendale, parimenti è inconfigurabile in astratto, salve eccezioni di cui sopra, un diritto all’utilizzo esclusivo di una casella di posta elettronica aziendale.
Pertanto il lavoratore che utilizza – per qualunque fine – la casella di posta elettronica, aziendale, si espone al “rischio” che anche altri lavoratori della medesima azienda che, unica, deve considerarsi titolare dell’indirizzo – possano lecitamente entrare nella sua casella (ossia in suo uso sebbene non esclusivo) e leggere i messaggi (in entrata e in uscita) ivi contenuti, previa consentita acquisizione della relativa password la cui finalità non è certo quella di “proteggere” la segretezza dei dati personali contenuti negli strumenti a disposizione del singolo lavoratore bensì solo quella di impedire che ai predetti strumenti possano accedere persone estranee alla società;E che detto rischio, per essere “operativo”, non debba essere preventivamente ed espressamente ricordato al lavoratore è una evenienza che può ritenersi conseguenziale alle doverose ed imprescindibili conoscenze informatiche del lavoratore che, proprio perché utilizzatore di detto strumento, non può ignorare questa evidente e palese implicazione.
Né si può ritenere che l’assimilazione della posta elettronica alla posta tradizionale, con consequenziale affermazione “generalizzata” del principio di segretezza, si verifichi nel momento in cui il lavoratore utilizzi lo strumento per fini privati (ossia extralavorativi), atteso che giammai un uso illecito (o, al massimo, semplicemente tollerato ma non certo favorito) di uno strumento di lavoro può far attribuire a chi, questo illecito commette, diritti di sorta. A questo punto, peraltro, il problema muta prospettiva perché non riguarda più l’individuazione ed il diritto di chi “entra” nel computer (e nell’indirizzo di posta elettronica) altrui avendo possibilità di leggere i messaggi di posta elettronica non specificamente a lui destinati, bensì diventa quello di “tutelare” il diritto di chi invia il messaggio (a qualunque contenuto: ossia a contenuto privato ovvero lavorativo) credendo che il destinatario dello stesso sia e possa essere esclusivamente una determinata persona (o una cerchia determinata di persone). E’ evidente che questa situazione può trovare tutela rendendo chiaro al proprio interlocutore che l’indirizzo di posta elettronica è esclusivamente aziendale (e, quindi, al di là dell’uso di intestazioni apparentemente personali del lavoratore-principale utilizzatore, lo stesso non è un indirizzo privato secondo quanto precedentemente detto); cosa che può avvenire o usando un inequivoco identificativo aziendale (indirizzato ad un destinatario virtuale) in aggiunta ad altro identificativo personale-nominativo ovvero provvedendo a segnalare adeguatamente al proprio interlocutore (destinatario reale) la circostanza del carattere “non privato” dell’indirizzo. Né può ritenersi conferente ogni ulteriore argomentazione che, facendo apoditticamente leva sul carattere di assoluta assimilazione della posta elettronica alla posta tradizionale, cerchi di superare le strutturali diversità dei due strumenti comunicativi (si pensi, in via esemplificativa, al carattere di “istantaneità” della comunicazione informatica – operante come un normale terminale telefonico – pur in presenza di un prelievo necessariamente legato all’accensione del personal e, quindi, sostanzialmente coincidente con la presenza stanziale del lavoratore nell’ufficio ove è presente il desk-top del titolare dell’indirizzo) per giungere a conclusioni differenti da quelle ritenute da questo giudice.Tanto meno può ritenersi che leggendo la posta elettronica contenuta sul personal del lavoratore si possa verificare un non consentito controllo sulle attività di quest’ultimo atteso che l’uso dell’e-mail costituisce un semplice strumento aziendale a disposizione dell’utente-lavoratore al solo fine di consentire al medesimo di svolgere la propria funzione aziendale (non si possono dividere i messaggi di posta elettronica: quelli “privati” da un lato e quelli “pubblici” dall’altro) e che, come tutti gli altri strumenti di lavoro forniti dal datore di lavoro, rimane nella completa e totale disponibilità del medesimo senza alcuna limitazione (di qui l’inconferenza dell’assunto in ordine all’asserito preteso divieto assoluto del datore di lavoro di “entrare” nelle cartelle “private” del lavoratore ed individuabili come tali, che verosimilmente contengano messaggi privati indirizzati o inviati al lavoratore e che solo ragioni di discrezione ed educazione imporrebbero al datore di lavoro/lavoratore non destinatario di astenersi da ogni forma di curiosità.).Parimenti irrilevante appare l’ulteriore rilievo che anche la posta tradizionale che presenti caratteri inequivoci di “privatezza” , non cessi di assumere detto carattere se fatta recapitare al suo destinatario sul posto di lavoro anziché al proprio domicilio dal momento che in questo caso l’inconfondibilità del carattere di privatezza-esclusività (busta chiusa con nominativo del solo destinatario) della corrispondenza non consente di operare un simile confronto!
Venendo alla fattispecie dedotta in giudizio, si evidenzia come le indagini esperite (assunzione di sommarie informazioni testimoniali rese da P. F., direttore tecnico nonché responsabile del settore informatico per la filiale italiana della (…) ) abbiano consentito di acclarare che:
– all’interno della (…) il lavoratore è depositario di un username e di una password (conosciuti dal solo responsabile tecnico) che vengono utilizzati per entrare nel sistema informatico: identificativi che il singolo lavoratore può in qualsiasi momento modificare;
– l’accesso a tutti gli strumenti aziendali (e-mail compresa) è funzionale all’occupazione del dipendente;
– la funzione svolta dagli identificativi non è quella di proteggere i dati personali contenuti negli strumenti a disposizione del singolo lavoratore bensì quella di proteggere i predetti strumenti dall’accesso di persone estranee alla società;
– è prassi comune fra i dipendenti dell’azienda fornire volontariamente i propri dati d’accesso ad altri lavoratori con funzioni societarie equivalenti onde permettere la continuazione delle relative funzioni in propria assenza;
– nel normale uso dello strumento viene anche tollerato un uso extra-lavorativo della e-mail senza tuttavia che si verifichi un mutamento della destinazione dello strumento, che è quello esclusivo della comunicazione con colleghi e clienti: in ogni caso non viene consentito, anzi è assolutamente vietato, l’utilizzo dello spazio di posta elettronica per motivi personali;
– l’indirizzo di posta elettronica dei dipendenti della società si compone, da sinistra a destra, del nome e del cognome del lavoratore seguiti dal simbolo @ e dal nome della società (…).it.
 
Tutte queste circostanze di fatto attestanti le consuetudini lavorative all’interno dell’azienda e le condotte dei dipendenti sono conformi alle premesse sopra esposte e consentono di escludere la configurabilità a carico degli indagati di fattispecie delittuose.
Fermo quanto precede, si può concludere ritenendo che:
– la A., così come gli altri lavoratori con mansioni e qualifica pari o assimilabili, era tenuta, secondo una consuetudine che non abbiamo difficoltà a ritenere universale, a segnalare (ovvero a non mantenere segreta nel caso di successiva modificazione) la propria password per consentire a qualunque altro suo collega di poterla adeguatamente sostituire durante la sua assenza dal lavoro;
– la A., nell’utilizzazione della casella di posta elettronica della società, non poteva non sapere che alla medesima, indipendentemente dalla sua presenza in società, vi poteva avere lecito accesso qualunque altro suo collega (e, ovviamente, il datore di lavoro) al fine del disbrigo delle incombenze lavorative connesse alle mansioni (invio e ricezione di comunicazioni di lavoro con colleghi e clienti).
 
Fermo quanto precede, da ultimo va detto che quand’anche – per assurdo, atteso quanto sin qui esposto – si volesse ritenere che con la loro condotta la C. e il R. nelle rispettive diverse qualità, entrando nella casella di posta elettronica in uso alla lavoratrice abbiano commesso nei confronti della stessa un’illecita intromissione in una sfera personale privata, nondimeno la configurabilità del reato di cui all’art. 616 c.p. verrebbe ugualmente esclusa sotto il profilo soggettivo attesa la totale mancanza di dolo nella loro condotta;
l’accesso alla casella di posta elettronica dell’A. è avvenuta per motivi assolutamente connessi allo svolgimento dell’attività aziendale, oltre che in assenza della lavoratrice: in una situazione, cioè, nella quale non vi era altro modo per accedere a quelle necessarie informazioni e comunicazioni che, diversamente, se non ricevute ovvero recepite con ritardo, avrebbero potuto arrecare un evidente danno (economico e non solo) per la società.
Da qui il rigetto dell’opposizione e l’archiviazione del procedimento.
 
Visti gli artt. 408 e segg. C.p.p.
 
P.Q.M.
 
rigetta l’opposizione proposta nell’interesse della persona offesa A. A. in data 14.2.02;
dispone l’archiviazione del procedimento e ordina la restituzione degli atti al Pubblico Ministero.
Manda la Cancelleria agli adempimenti di competenza.Milano, lì 10.5.2002
 
Il Giudice per le Indagini Preliminari
Dott. A. Pellegrino

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DIR 2002/38/EC

COUNCIL DIRECTIVE 2002/38/EC of 7 May 2002
amending and amending temporarily Directive 77/388/EEC as regards the value added tax arrangements applicable to radio and television broadcasting services and certain electronically supplied services

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DIR 2002/38/CEE

15.5.2002  Journal officiel des Communautés européennes L 128/41

LE CONSEIL DE L’UNION EUROPÉENNE,
vu le traité instituant la Communauté européenne, et notam­ment son article 93,
vu la proposition de la Commission (1),
vu l’avis du Parlement européen (2),
vu l’avis du Comité économique et social (3), considérant ce qui suit:
Les règles actuellement applicables à la TVA sur les services de radiodiffusion et de télévision et les services fournis par voie électronique en vertu de l’article 9 de la sixième directive 77/388/CEE du Conseil du 17 mai 1977 en matière d’harmonisation des législations des États membres relatives aux taxes sur le chiffre d’affaires — Système commun de taxe sur la valeur ajoutée: assiette uniforme (4) — ne permettent pas d’imposer de manière adéquate ces services consommés dans la Communauté et de prévenir les distorsions de concur­rence dans ce domaine.
(2) Afin d’assurer le bon fonctionnement du marché inté­rieur, ces distorsions devraient être éliminées et de nouvelles règles harmonisées introduites pour ce type d’activité. Des mesures devraient être prises pour assurer, plus particulièrement, que ces services, dès lors qu’ils sont exécutés à titre onéreux et consommés par des clients établis dans la Communauté, sont imposés dans la Communauté et ne sont pas imposés lorsqu’ils sont consommés en dehors de la Communauté.
(3) À cette fin, les services de radiodiffusion et de télévision et les services fournis par voie électronique à partir de pays tiers à des personnes établies dans la Communauté ou, à partir de la Communauté, à des preneurs établis dans des pays tiers devraient être imposés au lieu d’éta­blissement du preneur des services.
(4) Afin de définir la notion de «services fournis par voie électronique», il convient d’en donner des exemples dans une annexe de la directive.
(5) Pour faciliter aux opérateurs fournissant des services par voie électronique qui ne sont ni établis ni tenus d’être identifiés aux fins de la taxe dans la Communauté le respect des obligations fiscales, il convient d’établir un régime spécial. En application de ce régime, tout opéra­teur fournissant ces services par voie électronique dans la Communauté à des personnes non assujetties peut, s’il n’est pas identifié par d’autres moyens aux fins de la taxe dans la Communauté, choisir d’être identifié dans un seul État membre.
(6) L’opérateur non établi qui souhaite bénéficier du régime spécial devrait satisfaire aux exigences prévues par ce régime et respecter toute disposition pertinente en vigueur dans l’État membre de consommation des services.
(7) Dans certaines conditions, l’État membre d’identification doit pouvoir exclure du régime spécial un opérateur non établi.
(8) Lorsque l’opérateur non établi choisit de relever du régime spécial, toute taxe sur la valeur ajoutée en amont qu’il a acquittée pour des biens et services utilisés aux fins de ses activités taxées relevant du régime spécial devrait être remboursée par l’État membre dans lequel la taxe sur la valeur ajoutée en amont a été acquittée selon les modalités prévues par la treizième directive 85/ 560/CEE du Conseil du 17 novembre 1986 en matière d’harmonisation des législations des États membres rela­tives aux taxes sur le chiffre d’affaires — Modalités de remboursement de la taxe sur la valeur ajoutée aux assujettis non établis sur le territoire de la Commu­nauté (5). Les restrictions facultatives au remboursement prévues à l’article 2, paragraphes 2 et 3, et à l’article 4, paragraphe 2, de la même directive, ne devraient pas être appliquées.
(9) Sous réserve des conditions qu’ils arrêtent, les États membres devraient autoriser, voire exiger, la transmis­sion par voie électronique de certaines déclarations.
(10) Les dispositions concernant le dépôt des déclarations fiscales par voie électronique devraient être adoptées à titre permanent. Il est souhaitable d’adopter toutes les autres dispositions à titre temporaire pour une période de trois ans qui peut être prolongée pour des raisons pratiques, mais ces dispositions devraient, en tout état de cause, être réexaminées, en se fondant sur l’expérience, dans un délai de trois ans à compter du 1er juillet 2003.
(11) La directive 77/388/CEE devrait dès lors être modifiée en conséquence,

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DIR 2002/38/CE

IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, e in partico­lare l’articolo 93,
vista la proposta della Commissione (1),
visto il parere del Parlamento europeo (2),
visto il parere del Comitato economico e sociale (3), considerando quanto segue:
(1) Le norme attualmente vigenti in materia di IVA per i servizi di radiodiffusione e di televisione e i servizi prestati tramite mezzi elettronici a norma dell’articolo 9 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legisla­zioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari — sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (4), non sono adeguate per tassare la totalità di tali servizi il cui consumo ha luogo all’interno della Comunità e per impedire distorsioni di concorrenza in questo settore.
(2) Il corretto funzionamento del mercato interno impone l’eliminazione di tali distorsioni e l’introduzione di nuove norme armonizzate per questa categoria di atti­vità. In particolare andrebbero prese misure per garantire che tali servizi siano soggetti a imposizione nella Comu­nità, ove siano prestati a titolo oneroso e utilizzati da consumatori stabiliti nella Comunità, e non siano soggetti a imposizione se utilizzati al di fuori della Comunità.
(3) A tal fine, è opportuno che i servizi di radiodiffusione e di televisione e i servizi prestati tramite mezzi elettronici da paesi terzi a persone stabilite nella Comunità o dalla Comunità a destinatari stabiliti in paesi terzi siano soggetti a imposizione nel luogo del beneficiario dei servizi.
(4) Per definire i servizi prestati tramite mezzi elettronici si dovrebbero includere esempi di tali servizi nell’allegato della direttiva.
(5) Al fine di facilitare l’adempimento dei loro obblighi fiscali, agli operatori che forniscono servizi tramite mezzi elettronici, che non sono stabiliti nella Comunità e non devono esservi altrimenti identificati a fini fiscali, dovrebbe essere applicato un regime particolare.
Secondo tale regime gli operatori che prestano siffatti servizi tramite mezzi elettronici a persone che non sono soggetti passivi all’interno della Comunità, possono optare, se non sono altrimenti identificati a fini fiscali nella Comunità, per l’identificazione in uno Stato membro.
(6) L’operatore non stabilito nella Comunità che desidera beneficiare del regime particolare dovrebbe soddisfare i requisiti in esso previsti e le pertinenti disposizioni in vigore nello Stato membro in cui i servizi sono utilizzati.
(7) Lo Stato membro di identificazione deve a talune condi­zioni poter escludere un operatore non stabilito da tale regime particolare.
(8) Se l’operatore non stabilito opta per il regime partico­lare, qualsiasi imposta sul valore aggiunto a monte pagata dall’operatore per le merci e i servizi da questi utilizzati per le sue attività soggette a imposizione contemplate dal regime particolare dovrebbe essere rimborsata dallo Stato membro in cui è stata pagata l’imposta sul valore aggiunto a monte, conformemente alle disposizioni della tredicesima direttiva 86/560/CEE, del 17 novembre 1986, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari. Modalità di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel terri­torio della Comunità (5). Non si applicherebbero le restri­zioni opzionali per il rimborso di cui all’articolo 2, paragrafi 2 e 3, e all’articolo 4, paragrafo 2, della stessa direttiva.
(9) Fatte salve le condizioni da essi stabilite, gli Stati membri dovrebbero consentire la presentazione di taluni elenchi riepilogativi e dichiarazioni tramite mezzi elettronici, e possono anche rendere obbligatorio il ricorso ai mezzi elettronici.
(10) Tali disposizioni relative all’introduzione di dichiarazioni fiscali e elenchi riepilogativi per via elettronica dovreb­bero essere adottate su base permanente. È auspicabile adottare tutte le altre disposizioni per un periodo prov­visorio di tre anni, prorogabile per motivi pratici, ma le disposizioni saranno comunque riesaminate, in base all’esperienza acquisita, entro tre anni a decorrere dal 1o luglio 2003.
(11) La direttiva 77/388/CEE dovrebbe essere modificata di conseguenza,

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Ethical Aspects on Patenting Inventions Involving Human Stem Cells

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Un seminario al Parlamento Europeo per parlare di open source ed e-government

di Andrea Monti – PC Professionale n. 133

I sostenitori del modello open source discutono con i rappresentanti di Microsoft l’impiego del software proprietario nell’amministrazione dello Stato.
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DPCM 11 aprile 2002

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Visti gli articoli 1 e 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, recante “Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato”;

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Cass. Sez. IV penale Sent. 473/02

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.

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Cass. Sez. lavoro Sent. n. 4746/02

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il pretore di Frosinone, decidendo su diversi ricorsi proposti da M. P. nei confronti della (omissis) e successivamente riuniti, dichiarava, tra l’altro (e per quel che in questa sede ancora rileva), l’illegittimità dei provvedimenti disciplinari e del successivo licenziamento intimato al ricorrente dalla suddetta società, ordinandone conseguentemente la reintegrazione nel posto di lavoro.

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Ma demonizzare Internet non serve. Ed è sbagliato

di Andrea Monti

La campagna di demonizzazione dell’Internet continua ancora oggi senza posa. Strumentalizza il tema della “tutela” dei minori associando alla rete false “patenti” di pericolosità e ingenerando nelle persone la paura che essere online significhi esporsi a chissà quali pericoli. E allora via così, dimenticando – in nome del mostro tecnologico – le tragedie quotidiane che si consumano nella più assoluta indifferenza all’interno delle mura famigliari o delle scuole.
Quando si cominciò a parlare di “minori” online – era più o meno il 1996 – di bambini in realtà non ce n’erano per niente (e mai ce ne saranno, considerato che l’interesse per la rete “arriva” con l’adolescenza). Ma ciò nonostante furono da subito evidenti le scelte che stavano maturando a livello politico: censura indiscriminata e “filtraggio” dei contenuti, magari grazie al “generoso” e “disinteressato” supporto di qualche multinazionale.
Certo, ci sono state anche alcune voci controcorrente (vedi la famosa “carta di Desenzano”, o l’intervento presentato da Alcei in un incontro organizzato dal Consumer Forum Intergroup a Strasburgo). Che hanno spiegato come non si possano abbandonare i bambini a loro stessi, e come il ruolo delle famiglie e degli educatori nella formazione dei più deboli sia irrinunciabile. Così come non si dovrebbe lasciare un bambino solo davanti ad un televisore, allo stesso modo lo si dovrebbe assistere quando usa un computer. E non solo – se proprio vuole – per fargli usare la rete, considerato che se di pericoli si vuole proprio parlare, allora si dovrebbe dare un’occhiata anche ai contenuti di certi videogiochi liberamente venduti nei centri commerciali. Sarebbe facile, a questo punto, invocare il ritiro di questi prodotti dagli scaffali. Facile quanto sbagliato, perché la soluzione, ancora una volta, non è “vietare”, ma educare – specialmente i genitori.
Nulla di tutto questo è giunto alle orecchie del potentissimo fronte comune – composto da novelli Torquemada, cinici imprenditori e politicanti succubi dei movimenti di piazza – che ancora una volta ha giurato guerra all’internet. Sull’onda di una sistematica fomentazione di isterismo provocata dai mass-media l’Italia ha approvato – nel 1998 – la legge 269. Che a sentire i suoi ispiratori avrebbe dovuto risolvere anche il problema della “pedofilia online”. Ma le “clamorose” indagini che invasero giornali e televisioni si sono risolte in bolle di sapone. Grande spreco di uomini e mezzi per denunciare qualche decina di persone che – si legge nei capi di imputazione – sarebbero al più colpevoli di avere scaricato qualche immagine pornografica. Mentre i mostri veri sono ancora in libertà. 
Fortunatamente non ha avuto grande attuazione pratica la proposta di stabilire un sistema generalizzato di filtraggio e classificazione dei contenuti online (pensate a dover mettere d’accordo sulla definizione di “contenuto illegale” un arabo musulmano, uno svedese e un italiano). Che avrebbe messo in piedi un gigantesco apparato per “etichettare” qualsiasi cosa. Con ciò arrogandosi il potere di stabilire il “valore” di un contenuto e dunque della manifestazione del pensiero di ciascuno di noi. Infine, alcuni motori di ricerca hanno “discretamente” attivato dei sistemi anonimi di rimozione dei contenuti. Come dire… la coscienza è a posto e i soldi non puzzano.

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Legge comunitaria e diritto d’autore: Law on Demand?

Ha concluso l’iter parlamentare la legge comunitaria, il grande calderone nel quale si mescolano le disposizioni per il recepimento delle direttive europee.
Non ostante l’Italia non abbia mai brillato per tempestività in questi adempimenti (ci sono voluti cinque anni per recepire la direttiva 90/388 che liberalizzava il mercato delle TLC), con l’istituzione della “comunitaria”  si è raggiunta una parvenza di efficientismo e ora sono state prese in considerazione anche le famigerate direttive 2000/31/CE (commercio elettronico) e 2001/29/CE (diritto d’autore). La prima, con la scusa di “razionalizzare” il settore e “garantire maggiore tutela” dei diritti dei cittadini ha, di fatto, stabilito la responsabilità autonoma del provider per i contenuti ospitati sui propri server. Secondo una formula contorta e ipocrita, che – pur affermando formalmente il contrario – colpevolizza il fornitore di servizi che, dopo essere stato informato (da chi? in che modo?) della presenza di contenuti illeciti (secondo quale legge?) non provvede a rimuoverli.

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Ennesima modifica della legge sui dati personali. Cosa cambia per l’ICT

di Andrea Monti – PC Professionale n. 132

Sarà meno facile negare informazioni con la “scusa” della riservatezza e sarà più regolamentato il meccanismo dello spamming e delle iscrizioni “d’ufficio” alle mailing list.
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Full disclosure. Risorsa o pericolo per la sicurezza?

ICT-Security n.ro 3 del 01-03-02

di Andrea Monti

Sembra essersi spenta – o quantomeno attenuata – l’eco generata dalla polemica “scoppiata” l’anno scorso sull’opportunità di praticare “full disclosure”. Cioè la pubblicazione dettagliata di bug e vulnerabilità che affliggono endemicamente un po’ tutte le piattaforme e gli applicativi del mondo ICT a cura di ricercatori indipendenti. Che divulgano sia l’analisi teorica del problema, sia l’exploit che consente di sfruttare praticamene il “buco” di sicurezza. Ma la questione è tutt’altro che sopita specie perché non è stata affrontata – a quanto mi risulta – dal punto di vista dell’organizzazione aziendale e dei riflessi legali.

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Uno strumento di lavoro: la lettera d’incarico

Linux&Co n.ro 23

di Andrea Monti

E’ un’esperienza comune a molti sviluppatori – specie ai free lance e a prescindere dall’uso di software libero – quella di essere contattati per eseguire un lavoro senza un minimo di formalizzazione dell’incarico. Il risultato è che si lavora praticamente “sulla parola”. Nulla di male quando le cose vanno come devono andare, ma in caso di contestazioni o problemi ecco che ci si trova a rimpiangere di non avere messo “nero su bianco” almeno gli elementi essenziali dell’incarico (con particolare riferimento ai diritti di proprietà intellettuale).
Dall’altro lato, le aziende si trovano spesso in imbarazzo ad operare con i software liberi perché non hanno ben chiaro il modo in cui gestire aspetti cruciali come la proprietà intellettuale o la responsabilità per l’esecuzione del lavoro.
E’ quindi necessario – prima di iniziare un qualsiasi lavoro – chiedere al cliente almeno di firmare una lettera di incarico come quella che leggete qui avanti. Ma attenzione, questa è solo una delle possibili modalità. Ovviamente non va presa e utilizzata così come è, visto che non è certo possibile prevedere quali possono essere le necessità del caso concreto. Certamente, però, rappresenta una buona traccia da seguire per dare un po’ di concretezza alla vostra attività.
Spero che vi sia utile.

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Trib. Torino Sez. III Sent. 782/02

N. 23564/99 Notizie di reato
N. 2823/01 R.G. Tribunale di Torino
N. 149 Mod. 30
Sentenza del 28.02.2002
N. 782 del Reg. Sent.
Data del deposito 8 aprile 2002

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Your software and how to protect it

The guide is based on research by experts on Intellectual Property Rights at the University of
Sussex and the University of Sheffield. The research was funded by Directorate General
Enterprise of the European Commission.

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Patent protection of computer programmes

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Cass. Sez. VI penale Sent. 433/02

REPUBBLICA ITALIANA
 
In nome del Popolo Italiano
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Sesta Penale
 
Composta dai signori:
 
Dott. Luigi Sansone Presidente
1. Dott. Luciano Deriu Consigliere
2. Dott. Antonio S. Agrò Consigliere
3. Dott. Francesco Serpico Consigliere
4. Dott. Giovanni Conti Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
Sul ricorso proposto da
C. V., n. XXXX il XXXXXXXX
 
Avverso l’ordinanza in data 23-30 agosto 2001 del Tribunale di Roma
 
Visti gli atti, l’ordinanza denunziata e il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Giovanni Conti;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito per il ricorrente l’avv. Titta Madia, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
 
Fatto
 
Con ordinanza in data 23-30 agosto 2001, il Tribunale di Roma, adito ex articolo 309 c.p.p., riformava in parte, attraverso l’applicazione degli arresti domiciliari, l’ordinanza in data 6 agosto 2001 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale era stata applicata a C. V., funzionario del Ministero dell’Economia, la misura della custodia cautelare in carcere in ordine ai reati di cui agli articoli 81 cpv., 110, 615-ter, commi primo, secondo n.2, e terzo, e 61 n.2 c.p. (capo 2: commesso in Roma dal 18 dicembre 2000 al febbraio 2001) e di cui agli articoli 110, 351 c.p. (capo 3: commesso in Roma in data successiva e prossima al 18 dicembre 2000).
Più dettagliatamente, al C. veniva contestato, quanto al capo 2, in concorso con S. P., tenente colonnello dei Carabinieri, L. D., brigadiere CC. del Nucleo Radiomobile di Roma, e C. R. A., maresciallo CC. del ROS, sezione Anticrimine di Roma, di essersi introdotto abusivamente nel sistema informatico della sezione ROS di Roma delegata allo svolgimento delle indagini nel procedimento numero 16236/99 e in varie banche-dati interforza; e quanto al capo 3, in concorso con i predetti soggetti, di avere sottratto la trascrizione del verbale di interrogatorio reso da D. F. A. nel procedimento numero XXXXX/99, cosa particolarmente custodita nella sezione ROS CC. di Roma, delegata allo svolgimento delle indagini e custode del documento.
Avverso la riferita ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma ricorre per Cassazione il C., a mezzo dei difensori, che deducono:
1) Manifesta illogicità della motivazione in punto di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, posto che il Tribunale, trascurando le puntuali deduzioni difensive, si è basato su una mera presunzione (l’interesse del C. a conoscere il contenuto dell’interrogatorio del D. F.) per desumerne una sua condotta di istigazione nei confronti di coloro che materialmente appresero copia della trascrizione del predetto atto difensivo; essendo invece da ritenere che il semplice movente costituisce un mero indizio, non idoneo a sorreggere una misura cautelare, in mancanza di altri elementi indiziari. In particolare il Tribunale ha trascurato di considerare che il C. poteva legittimamente ottenere copia delle trascrizioni dell’interrogatorio reso dal D. F.; che tale atto riguardava una moltitudine di persone potenzialmente interessate a ottenerne copia; che coloro che materialmente si procurarono abusivamente copia dell’interrogatorio non necessariamente erano stati istigati da chi aveva interessa a conoscerne il contenuto, potendo ben avere agito a sua insaputa, per compiacerlo o addirittura per scopo intimidatorio.
2) Erronea applicazione dell’articolo 351 c.p., atteso che l’acquisizione di una mera copia di un atto (nella specie, attraverso la stampa del relativo documento informatico) non determina la sottrazione o la dispersione di questo, che rimane comunque nella disponibilità del pubblico ufficio.
3) Mancanza di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, essendosi omesso di esporre quali specifiche esigenze imponessero l’adozione della misura custodiale, sia pure nella forma domiciliare.
 
Diritto
 
Il primo motivo di ricorso, al limite dell’ammissibilità, appare infondato. Contrariamente a quanto dedotto, il Tribunale non ha tratto gli indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al capo 2 da mere presunzioni, avendo fondato il suo convincimento non solo sul movente rappresentato dall’evidente interesse dell’indagato a conoscere il contenuto dell’interrogatorio del D. F. ma sulle specifiche ed obiettive risultanze delle intercettazioni di comunicazioni intercorse tra il C., il S. e il D., in ordine alle quali il ricorrente non spende parola.
In ordine al terzo motivo di ricorso deve rilevarsi la sopravvenuta perdita di interesse, essendo stato nel frattempo il C. posto in libertà con successivo provvedimento.
E’ invece fondato il secondo motivo.
La fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 351 c.p. prevede la condotta di chi “sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora corpi di reato, documenti ovvero un’altra cosa mobile particolarmente custodita in un pubblico ufficio, o presso un pubblico ufficiale o un impiegato che presti un pubblico servizio”.
Nel caso in esame è stato contestato al C. di avere in concorso con i coindagati, sottratto la trascrizione del verbale di interrogatorio reso da D. F. A. nel procedimento penale n. XXXXX/99, cosa particolarmente custodita nella sezione ROS dei CC. di Roma, delegata allo svolgimento delle indagini e custode del documento.
Tale condotta sarebbe stata realizzata attraverso l’ottenimento della stampa dell’atto predetto versato sull’archivio informatico del ROS.
Ora, benché la condotta presa in esame dalla norma incriminatrice non esclude che essa possa riguardare non solo l’originale di un atto, ma anche una copia di esso, che rilevi per la sua individualità (Cass., sez. VI, 16 marzo 1993, Chirico), il concetto stesso di sottrazione implica che una determinata res fuoriesca dalla sfera di disponibilità del legittimo detentore, che ne venga conseguentemente privato; il che nella specie non si è verificato, in quanto l’ufficio del ROS non è stato affatto privato dell’atto e nemmeno di una sua copia, trattandosi di una riproduzione su carta, teoricamente illimitata, di un file esistente su supporto informatico, rimasto intatto. In altri termini, la “copia” dell’atto non preesisteva fisicamente alla condotta di impossessamento, ma è stata ottenuta proprio tramite l’abusiva stampa del file, sicché non può dirsi che l’atto sia stato “sottratto” al pubblico ufficio, ferma restando la configurabilità del distinto reato di cui all’articolo 615-ter c.p.
 
L’ordinanza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, limitatamente al reato di cui all’articolo 351 c.p., mentre il ricorso va rigettato nel resto.
 
P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio l’impugnata ordinanza limitatamente al reato di cui all’articolo 351 c.p.
Rigetta nel resto il ricorso.
 
Così deciso addì 19 febbraio 2002.
 
Il Consigliere Estensore
 
Il Presidente
 
Depositato in Cancelleria VI Sezione Penale
Oggi, 27 agosto 2002

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L’importante è non estorcere il consenso

PuntoCom del 05-02-02

di Andrea Monti

L’ennesima riforma della legge sui dati personali ha semplificato (almeno così pare) gli adempimenti relativi ai casi e alle forme di richiesta di consenso al trattamento. In altri termini, ha eliminato il “consenso ovvio”. Anche se il settore del direct marketing sarà oggetto di specifica “attenzione” regolamentare, il nuovo scenario già consentirebbe qualche agevolazione a chi opera online e utilizza il noto schema del “tutto gratis, ma mi dici chi sei e cosa fai”. A condizione di mettere da parte questo approccio, difficilmente compatibile con la normativa, è infatti possibile usare la rete come reale strumento di contatto con la clientela. E per di più senza essere percepiti dall’utenza come degli sgraditi “intrusi”.

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Trib. Teramo Sent. n. 112/02

DISPOSITIVO DI SENTENZA

(Artt. 544 e segg. 549 C.P.P.)

Il Giudice dott. ALDO MANFREDI

Alla pubblica udienza del 30/01/02 ha pronunziato mediante lettura del dispositivo la seguente

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Duplicazione abusiva di software: dal tribunale di Chieti un’assoluzione importante

di Andrea Monti – PC Professionale n. 130

Non basta il sequestro di computer per sostenere l’accusa, occorre esibire anche la copia integrale dell’hard disk al fine di ottenere valore di “prova “ nel corso del dibattimento.
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COM(2002) 27 Life sciences and biotechnology – A Strategy for Europe

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COM (2002) 27 – Le scienze della vita e la biotecnologia – Una strategia per l’Europa

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Dalla Camera di commercio di Milano arrivano gli usi della Rete

PC Professianle n.130 – gennaio 2002

Dalla Camera di commercio di Milano arrivano gli usi della Rete

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DLGV 467/01

CAPO I (Modificazioni ed integrazioni alla legge n. 675/1996)

Art. 1 (Definizioni e diritto nazionale applicabile)

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DEC. C-2001 4540

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“Fare informazione” e “dare informazioni” sono cose diverse

Interlex n. 205

di Andrea Monti

E’ abbastanza facile naufragare nel mare di polemiche suscitate dalla famigerata legge 62/01, specie perché gli argomenti si sovrappongono disordinatamente, aumentando la confusione invece di eliminarla. Mi riferisco in modo particolare alla continua artificiale contrapposizione fra “informazione professionale” (quella dei giornalisti) e “informazione non professionale” (quella del resto del mondo). Contrapposizione nella quale la prima dovrebbe prevalere sulla seconda, sulla base della (presunta) migliore qualità offerta dai giornalisti, delle maggiori garanzie per il pubblico derivanti dalla “vigilanza”, della protezione offerta dal sindacato nei confronti degli “sfruttatori”. Quasi che tutto ciò che non proviene da un iscritto all’Ordine non abbia “dignità informativa”.

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La pubblicazione di informazioni tecniche è “libertà di espressione” anche sul web

di Andrea Monti – PC Professionale n. 129

Lo stabilisce la recente sentenza del tribunale californiano che ha assolto chi aveva diffuso in Rete i codici del DeCSS, il programma per leggere i Dvd.

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Metatag e concorrenza sleale. Dal tribunale di Roma una decisione da “prendere con le molle”

di Andrea MontiWebMarketing Tools n.40/01

L’ordinanza 18/1/2001 della nona sezione civile del tribunale di Roma stabilisce che non è consentito utilizzare il nome di un concorrente come metatag allo scopo di “pilotare” le query sui motori di ricerca dei potenziali clienti.

Il caso riguarda una controversia fra due compagnie di assicurazioni, una delle quali avrebbe inserito il nome della concorrente fra i metatag del proprio sito. In modo che – si dice – che le query sui motori di ricerca restituissero sempre il suo indirizzo anche se dirette verso la concorrente.

L’uso distorto dei metatag è noto oltreoceano da parecchio tempo e infatti ci sono alcuni precedenti che conviene considerare prima di addentrarsi nell’analisi dell’ordinanza italiana. Continue reading “Metatag e concorrenza sleale. Dal tribunale di Roma una decisione da “prendere con le molle””

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Gestire un servizio broadband internet

di Andrea Monti – WebMarketing Tools n.39/01

L’aumento dell’ampiezza di banda disponibile – a costi ragionevoli – anche per gli utenti finali consente la realizzazione di servizi difficilmente concepibili anche solo pochissimo tempo fa. Ma chi vuole trarre un effettivo vantaggio da un sistema di broadband internet deve confrontarsi con scelte architetturali e tecniche di non banale rilievo. Una di queste riguarda la gestione distribuita dei contenuti, che serve ad ottimizzare le prestazioni della trasmissione selezionando il computer più vicino all’utente e quindi riducendo hop, attese e quant’altro. In pratica il sistema funziona in questo modo (mi perdonino i tecnici per la mostruosa semplificazione): un utente si collega ad un server il quale, prima di restituire i contenuti richiesti, provvede ad identificare la collocazione geografica di chi accede alla risorsa. A questo punto, seleziona il content server più vicino al quale indirizza la query. Continue reading “Gestire un servizio broadband internet”

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Proteggere il know how aziendale nei contratti di outsourcing

di Andrea Monti – WebMarketing Tools n.38/01

Non molto tempo fa chiacchierando durante la pausa di un convegno con un altro relatore (dirigente di una notissima multinazionale), la conversazione cadde sul problema della dispersione del patrimonio culturale aziendale. Questa persona mi raccontava di come – oramai – fosse per loro impossibile tenere traccia dell’architettura di rete della sede centrale e delle varie sedi. Dal momento che le varie installazioni susseguitesi nel corso degli anni erano sistematicamente state affidate a società esterne, che eseguivano i lavori senza “restituire” le informazioni necessarie a gestire anche le ulteriori evoluzioni delle infrastrutture. Gli unici a sapere “dove mettere le mani” – oltre ai tecnici dei fornitori – erano i dipendenti che avevano seguito i lavori e che ora – “andati in pensione” – offrivano all’ex datore di lavoro una consulenza che quest ultimo, se si fosse premunito, non avrebbe ragione di dover comprare. Continue reading “Proteggere il know how aziendale nei contratti di outsourcing”

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Facciamo il punto sulle “aste online”

di Andrea Monti – WebMarketing Tools n.37/01


E’ un’opinione molto diffusa che le “aste” online siano fuorilegge. Questo almeno si desumerebbe da una prima lettura del comma 5 del d.lgs. 114/98; che laconicamente recita: “Le operazioni di vendita all’asta realizzate per mezzo della televisione o di altri sistemi di comunicazione sono vietate”. L’internet rientra sicuramente fra gli “latri sistemi di comunicazione”, quindi le “aste” tramite la rete sono vietate.
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Cass. Sez. III Penale Sent. n. 5397/01

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

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Trib. Chieti Sent. n.1006/01

N. 1006/01 Reg. Sent. “Mon.”

N. 921/99 Reg. Not. Reato

N. 48/01 Reg. G. “U”

Data del deposito 6.12.2001

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Convention de Budapest sur la cybercriminalité

Le texte de ce Rapport explicatif ne constitue pas un instrument d’interprétation authentique du texte du Protocole, bien qu’il puisse faciliter la compréhension des dispositions qui y sont contenues. Le Protocole a été ouvert à la signature à Strasbourg, le 28 janvier 2003, à l’occasion de la Première Partie de la session 2003 de l’Assemblée parlementaire.

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Budapest Convention on Cybercrime

Preamble

The member States of the Council of Europe and the other States signatory hereto,

Considering that the aim of the Council of Europe is to achieve a greater unity between its members;

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Communication from the European Commission: “Network and Information Security: Proposal for a European Policy Approach” (COM (2001) 298 (June 6, 2001)

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I nuovi programmi di licenza Microsoft: esaminiamo alcuni aspetti contrattuali

di Andrea Monti – PC Professionale n. 128

Cambiano radicalmente le politiche di licensing dei prodotti Microsoft che si basano ora sul principio della “temporaneità” del diritto all’uso del software.
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DL 374/01 Coordinato e modificato dalla legge di conversione n. 438/2001

DISPOSIZIONI URGENTI PER CONTRASTARE IL TERRORISMO INTERNAZIONALE.Il Presidente della Repubblica

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

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Pubblicato il regolamento sul bollino SIAE: quando la cura è peggiore del male

di Andrea Monti – PC Professionale n. 127

Il regolamento attuativo stabilisce alcune esenzioni dall’obbligo di bollinatura.
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Trib del riesame Alessandria Ord. 15 novembre 2001

TRIBUNALE DI ALESSANDRIA
 
N. 33/2001 R.G.M.C.R.
 
N. 3430/01 N.R.
 
Il Tribunale di Alessandria, in funzione di giudice del riesame, riunito in camera di consiglio, nelle persone dei signori:
 
Dott. ANTONIO MAROZZO Presidente
Dott. ROBERTO AMERIO Giudice
Dott. ERMINIO RIZZI Giudice
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei confronti di
C. D., nato in XXXXXXXXX il XXXXX, res. in XXXXXXXXXXXX
 
Il Tribunale, sciogliendo la riserva che precede , osserva quanto segue:
 
1) Il presente procedimento trae spunto da concomitante indagine instaurata presso la Procura della Repubblica di Avezzano relativamente alla cd. pirateria informatica con particolare riferimento alla riproduzione ed al commercio illecito per il tramite della rete internet di software e materiale ludico e sonoro.
 
Invero secondo quanto prospettato dalla c.n.r.n. generatrice della misura reale, la vendita del materiale illegalmente duplicato veniva proposta tramite inserzioni sul circuito internet e soprattutto su newsgroup di annunci di giochi e programmi per P.C. e veniva parimenti inviata a tutti coloro che ne facevano apposita richiesta.
 
Ancora si faceva presente, sempre nella medesima comunicazione, come la copia e la diffusione illegale del prodotto veniva realizzata in modo frammentato su tutto il territorio nazionale secondo un collaudato schema in cui il soggetto coinvolto rappresentava un semplice “nodo” nel senso cioè, che nella maggior parte dei casi, dopo aver ricevuto un supporto informatico ne realizzava ulteriori copie da distribuire attraverso un proprio portafoglio clienti realizzando profitti idonei a coprire le spese occorrenti per l’originale acquisto.
 
L’indagine in atto evidenziava, poi, come i metodi di spedizione dei pacchi postali ed il pagamento dei vaglia erano sempre state effettuate tramite spedizioni ordinarie in contrassegno postale o con accredito su c/c postale e con spedizioni in postacelere od in alcuni casi mediante corrieri espressi.
 
La cristallizzazione delle indagini preliminari si concretava attraverso l’individuazione delle varie cedole del corriere SDA e della conseguente identificazione dei soggetti “aderenti all’illegale iniziativa “.
 
Proprio in tale contesto venivano individuate nr. 8 cedole del corriere SDA attestanti l’invio di materiale informatico a C. D. al quale veniva sequestrato quant’altro potesse comprovare la sua illecita attività (computer, masterizzatore, programmi originali e duplicati etc).
 
2) Il C., dopo aver proposto istanza di restituzione del materiale al P.M., proponeva avverso il decreto di rigetto opposizione nanti al G.U. del Tribunale di Alessandria.
 
Ancora, avendo il P.M. richiesto ed ottenuto emissione di sequestro Preventivo ( nell’ambito dello stesso decreto di diniego ), il prevenuto a mezzo del proprio procuratore presentava la richiesta di riesame avverso tale ultimo provvedimento.
 
In particolare il ricorrente lamentando la carenza dei presupposti di applicazione della misura reale, sia ” quanto al fumus commissi delicti che quanto al periculum criminis “, evidenziava : in primo luogo come non corretta fosse l’ipotesi di reato elevata ai sensi dell’art. 648 C.P. posto che contestandosi l’acquisto di programmi per elaboratore ed altro materiale informatico illecitamente duplicato e quindi proveniente da delitto, si doveva più specificamente richiamare la normativa speciale introdotta dalla legge nr. 248 del 2000 ed in particolare dall’art. 16 il quale inquadrava la fattispecie nell’ambito del solo illecito amministrativo (statuente altresi la confisca amministrativa del materiale illecitamente duplicato); ed in secondo luogo come parimenti la violazione dell’art. 171 bis legge diritto d’autore presupponeva per la sua configurabilità ” l’abusiva duplicazione, per trarne profitto …. o la detenzione per scopo commerciale od imprenditoriale …”di programmi informatici.
 
Sempre il reclamante a tal proposito, faceva presente “di aver semplicemente acquistato, nell’ambito di una spiccata passione per la materia informatica, alcuni programmi in versione non originale al solo fine ludico e conoscitivo” (svolgendo lo stesso reclamante attività lavorativa incompatibile con l’utilizzazione di programmi di soluzione evoluta per l’ufficio ).
 
Infine il reclamante eccepiva pure l’insussistenza del pericolo di aggravamento delle conseguenze di reato o la commissione di reati nuovi giacchè non essendoci reato, non vi erano conseguenze oggetto di un possibile aggravamento.
 
In ultima analisi si prospettava come unica esigenza cautelare tutelabile quella già cristallizzata nel decreto di sequestro probatorio impugnato.
 
3) Tutto ciò premesso occorre preliminarmente constatare come l’organo inquirente non abbia in alcun modo esplicitato la condotta incriminatrice oggetto della disposta misura reale.
 
Infatti vengono esclusivamente menzionati gli articoli di legge asseritamente violati.
 
Secondariamente dalla disamina degli atti processuali non emergono accertamenti finalizzati ad appurare la natura e la tipologia dei programmi sottoposti a sequestro, essendosi limitato l’organo inquirente a sottoporre a sequestro probatorio prima e preventivo poi, non solo il materiale informatico acquistato tramite corriere dal C. ma altresì tutti gli strumenti correlati al loro utilizzo.
 
In questo contesto deve accogliersi la prima doglianza espressa nel corso della richiesta di riesame presentata con particolare riferimento alla violazione di cui all’art. 648 C.P..
 
Corretta appare infatti la prospettazione della difesa in cui evidenzia come l’art. 16 della Legge 248/2000 abbia in modo chiaro ed inequivoco sanzionato a solo titolo amministrativo chiunque “acquisti o noleggi supporti audiovisivi ….informatici …. non conformi alle prescrizioni della presente legge”.
 
Non solo ma con la norma citata si è finalmente giunti a chiarire come, considerata la natura del bene “oggetto di ricettazione”, si possa unicamente ritenere integrata la fattispecie ipotizzata dal P.M., allorquando la condotta materiale attenga a beni contraffatti e commercializzati come se fossero originali (in particolare si ritiene cioè che la ricettazione di materiale informatico possa sussistere solo nel caso in cui il prodotto sia contraffatto e posto in commercio come autentico).
 
In tutti gli altri casi invece considerata la natura di “res immaterialis” del bene informatico (natura che si contrappone invece al concetto di “res corporalis” proprio dell’oggetto della ricettazione), il legislatore ha ritenuto di configurare l’illecito possesso con una semplice violazione di natura amministrativa salvo che il fatto non costituisca concorso in altri reati.
 
Pertanto richiamate tutte le considerazioni della difesa sul punto deve ritenersi che con riferimento alla violazione di cui all’art. 648 C.P. non solo difettino i gravi indizi di colpevolezza richiesti ma altresì manchino i presupposti costitutivi.
 
4) Con riferimento poi alla prospettata violazione dell’art. 171 bis Legge 633/1941 si deve rilevare come in assenza di un esplicitato capo di imputazione, la condotta contestata possa essere inquadrata “nell’abusiva duplicazione, per trarne profitto di programmi per elaboratore … nella distribuzione vendita, e detenzione a scopo commerciale dei suddetti programmi …”.
 
Anche con riferimento a questa seconda ipotesi le argomentazioni della difesa sul punto appaiono convincenti.
 
Risulta infatti circostanza pacifica che il C. abbia ricevuto programmi abusivamente ed illecitamente duplicati, ma non risultano elementi, neanche a titolo indiziario, idonei a ritenere che lo stesso abbia concorso alla loro abusiva duplicazione “per trarne profitto”.
 
Inoltre la norma richiamata, individuando altre condotte penalmente rilevanti, presuppone che la detenzione di tali programmi sia finalizzata a scopo commerciale o imprenditoriale, mentre nel caso di specie la professione svolta dal C. (vedi dichiarazioni da lui rese nel corso dell’udienza camerale e non contestabili in alcun modo dalle risultanze agli atti) appare poco compatibile con l’utilizzo richiesto dalla norma di legge.
 
Ancora deve constatarsi come l’accertamento posto in essere non abbia consentito di chiarire se i programmi ricevuti dal C. siano stati duplicati, in quanto. nessun tipo di indagine sul punto è stata svolta.
 
Deve infine osservarsi come la tesi emersa dalla c.n.r. della sezione di Polizia Postale di Alessandria circa “la possibile distribuzione da parte del soggetto coinvolto di ulteriori copie dei programmi illecitamente duplicati, verso un proprio portafoglio clienti” non risulta in alcun modo suffragata da alcun debole riscontro indiziario.
 
Pertanto anche con riguardo a questa violazione di legge devono ritenersi condivisibili le osservazioni proposte dalla difesa circa la carenza dei presupposti giustificativi all’applicazione della misura reale.
 
P.Q.M.
 
Visto l’art. 324 c.p.p.;
 
revoca
 
il sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Alessandria in data 12.10.2001.
 
Si comunichi.
 
Alessandria, 14 novembre 2001.
 
IL GIUDICE ESTENSORE                                  IL PRESIDENTE
 
Tribunale di Alessandria
Depositato in questa Cancelleria
Oggi 15 novembre 2001

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GdP Milano Sent. 8367/01

Ufficio del giudice di pace di Milano

sez. 7ª

Repubblica italiana

in nome del popolo italiano

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Trib Pescara Sent. n. 720/01

N.6188/97 R.G. notizie di reato
N°1113/01 Reg. SENTENZE
N.720/01 R.G. – Tribunale (stralciato dal n°540/00 R.G.Trib.)

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Il cattivo uso della rete

Interlex n. 191 – PuntoCom

C’è gente che non si ferma veramente davanti a nulla e persino davanti ad un evento gravissimo come l’attentato agli USA cerca comunque di “portare acqua al proprio mulino”. E anche la rete si trova coinvolta in questo gioco al massacro.

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Il diritto d’autore fra legge italiana e direttiva europea

di Andrea Monti – PC Professionale n. 126

La nuova direttiva “antipirateria” mette fuori legge la commercializazione di apparati, software e singoli componenti, atti a eludere misure di protezione.
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