Un articolo pubblicato su Yahoo! News dà conto del fatto che la CIA —non è chiaro se ufficialmente o come iniziativa personale di alcuni funzionari— avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di rapire ed addirittura uccidere Julian Assange di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato da Strategikon – un blog di Italian Tech
La notizia ha chiaramente suscitato critiche veementi del tutto comprensibili ma alquanto ingenue se analizzate in un contesto geopolitico e non giuridico, che tuttavia non hanno colto un aspetto fondamentale della vicenda: il ruolo di “minaccia percepita” della libera circolazione di informazioni.
Partiamo dal fatto di cronaca che ha riguardato Assange: prendere in considerazione ed eventualmente eseguire operazioni di rapimento o assassinio è attività standard della “concezione totale” che alcuni Paesi (non solo gli USA) teorizzano in materia di sicurezza nazionale.
Limitandosi ai tempi recenti, basta ricordare l’operazione Wrath of God con la quale Israele vendicò il massacro dei propri atleti nel campus olimpico di Monaco 1972 e l’istituzionalizzazione del targeted killing come strumento di lotta al terrorismo. Oppure il caso Loughall che nel 1987 coinvolse militari inglesi che operavano sotto copertura accusati di avere ucciso illegalmente otto membri dell’Irish Revolutionary Army sul punto di commettere un attentato. Oppure ancora le notizie sul coinvolgimento delle massime istituzioni francesi in operazioni analoghe; e infine la extraordinary rendition del mullah Abu Omar che la CIA organizzò nel 2011 a Milano. A fronte di operazioni clandestine ma “ufficiali”, bisogna anche ricordarlo, ci sono inoltre quelle soggette a plausible deniability che non consentono l’attribuzione diretta ad uno Stato. È il caso, nel 2006, dell’avvelenamento della spia russa Litvinenko e di altri eventi analoghi mai certamente e definitivamente attribuiti all’establishment russo.
Dunque, da una prospettiva geopolitica, le extraordinary rendition (rapimenti commessi su suolo straniero) e le targeted assassination (omicidi mirati di personalità politiche, industriali o comunque ritenute pericolose per gli interessi nazionali) non sono “mali in sé” ma strumenti per raggiungere uno scopo da utilizzare secondo un criterio di costi/benefici. Tuttavia il problema posto dall’utilizzo di questi strumenti è che sono irrimediabilmente incompatibili con un sistema democratico. Ecco perché la decisione di utilizzarli è preceduta da cavillosissime analisi giuridiche, o esorcizzata da indagini parlamentari a posteriori, come nel caso del Church Report che nel 1976 investigò il coinvolgimento della CIA in piani per eliminare leader politici antiamericani.
In questo scenario, gli analisti che lavorano per le strutture di intelligence hanno un ruolo centrale. Passano il loro tempo a creare scenari, anche i più improbabili, per consentire ai decisori di avere a disposizione il maggior numero di opzioni possibili per compiere scelte critiche. Concettualmente e tecnologicamente sono passati anni dai tempi de I tre giorni del condor e Wargames. Big data e l’onnipresente AI stanno guadagnando sempre più spazio nel supportare analisi strategiche: già da qualche anno gli strumenti di data analytics contribuiscono e influenzano tutte le principali funzioni di intelligence nell’apparato di sicurezza nazionale statunitense contemporaneo e il fattore umano rischia di essere marginalizzato come potrebbe accadere anche nei teatri operativi. Tuttavia, la sostanza di fatti rimane: decidere significa scegliere fra un ventaglio di opzioni, dalla più improbabile (o improponibile) alla più “ordinaria”.
Ciò che rende il caso Assange diverso dagli altri è che non siamo di fronte all’autore (diretto o mediato) di stragi, ad un favoreggiatore di attività terroristiche o a un leader politico ideologicamente “pericoloso” ma ad un soggetto la cui “colpa” è quella di avere creato un’infrastruttura tecnologica per la circolazione anonima delle informazioni. Si possono avere legittime perplessità sul progetto Wikileaks, ma non fino al punto di considerare il suo creatore una “minaccia” tale da meritare (anche solo astrattamente) una condanna a morte senza processo.
Tuttavia il caso Assange va molto oltre il dibattito pubblico sulla liceità degli omicidi politici o meno perché coinvolge l’essenza stessa del rapporto fra cittadino e Stato e il ruolo della tecnologia come strumento di esercizio dei diritti di cittadinanza.
Come ho scritto, il punto è se conoscere gli interna corporis del potere è un diritto in sé o, al contrario, lo Stato deve rendere pubbliche le proprie azioni per assumersi le responsabilità connesse all’esercizio del potere. … ma … quando si tratta di affari di Stato e di governo, abbiamo diritto alla semplice curiosità? Ora che la capacità di sorveglianza dello Stato è portata a un livello di pervasività senza precedenti, questo non è più un semplice dilemma teorico. … Si suppone che i cittadini abbiano il diritto —cioè, dal punto di vista del politico, delle finzioni sociali costruite artificialmente che possono essere negate con uno schiocco di dita a causa del “bene superiore”— sia di conoscere i fatti interni dello Stato sia di impedire allo Stato la propria sfera personale. I governanti, al contrario, hanno il crudo potere di nascondersi dagli occhi indiscreti dei cittadini e di orientare l’opinione pubblica costruendone il consenso. La segretezza, quindi, diventa moneta di scambio nel rapporto tra cittadino e potere politico, con lo Stato di diritto e la separazione dei poteri a fare da intermediari.
Se, tuttavia, in questa dialettica si intromette una tecnologia non fuori controllo ma, al contrario, saldamente nelle mani di entità la cui agenda non coincide necessariamente con quella degli attori del processo democratico, il costrutto che si fonda sul rapporto fra Stato e cittadino è destinato a crollare di schianto.
In conclusione, dunque, il caso Assange raccoglie in sé e rende espliciti tutti i temi e le contraddizioni fatte esplodere dalla diffusione della tecnologia dell’informazione non accompagnata da un’adeguata maturità politica e sociale.
E come in tutte le esplosioni, quando l’ordigno è detonato si possono soltanto contare le vittime.
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