Interlex n.ro 261
di Andrea Monti
Con la sentenza 0634-2003, il tribunale di Bergamo, I sez. civile , ha ordinato la cancellazione della parola “armani” nel nome a dominio registrato dal convenuto, inibendo allo stesso “l’uso della parola “armani” come nome a dominio, ove non accompagnata da elementi idonei a differenziarla dal marchio “Armani””.
La ratio della decisione sta nel fatto che il nome a dominio “armani.it”, registrato a fini commerciali da un incisore di nome Luca Armani (che tramite il dominio pubblicizzava i propri servizi e prodotti), lede i diritti del sarto Giorgio Armani. Essendo quest’ultimo titolare di un marchio celebre e meritevole quindi della “tutela allargata” a categorie merceologiche diverse da quelle per le quali il marchio è stato registrato.
In sostanza, il giudice ha fatto questo ragionamento: imprenditore celebre il sarto, imprenditore sconosciuto l’incisore, l’incisore “sfrutta” l’omonimia e ci guadagna “a prescindere”, come diceva Totò. Nessuno scandalo, dunque, che il giudice abbia ritenuto degna di tutela la posizione giuridica dell’Armani-sarto.
Desta invece qualche perplessità il modo in cui il giudice ha garantito la tutela al segno notorio, stabilendo la cancellazione della parola “armani” dal dominio in questione. Notoriamente un controsenso tecnico, visto che un dominio di secondo livello deve necessariamente contenere dei caratteri alfanumerici. Non è possibile “tenere in piedi” un dominio con il solo cTLD (.it, nel caso di specie). Per di più, dopo avere disposto la cancellazione della parola Armani dal nome a dominio, il giudice ne vieta l’utilizzo in assenza di altri elementi che lo distinguano dal marchio per il quale si invocava tutela. Il che è frutto di una palese contraddizione, perché se la parola Armani è stata cancellata dal nome a dominio, non può, evidentemente, essere usata con le modalità appena descritte.
E’ inoltre opportuno soffermarsi su un passaggio della motivazione che si occupa del valore giuridico delle regole di naming. Il cui vigore viene limitato, ancora una volta, al mero funzionamento interno del sistema di gestione dei nomi a dominio, senza che a queste possa attribuirsi una qualche cogenza giuridica esterna al proprio contesto operativo. “Le regole di naming dettate dalla Naming Authority – scrive il giudice – e cioè quelle che stabiliscono la procedura per l’assegnazione dei nomi a domino, costituiscono mere regole contrattuali di funzionamento del sistema di comunicazione delle rete Internet, di carattere amministrativo interno, che non possono essere utilizzate dal giudice atteso che l’autorità giudiziaria è chiamata ad applicare la legge e non una normativa amministrativa interna”.
Dunque, per il giudice bergamasco le regole di naming sono un contratto e non, come si è spesso sostenuto, un atto unilaterale dell’assegnatario che “spontaneamente” chiederebbe di ottenere l’assegnazione di un certo indirizzo. E come è noto, la (riaffermata) natura contrattuale delle regole di naming pone dei seri problemi di tenuta dell’attuale sistema delle registrazioni.
Siamo, dunque, di fronte a una sentenza che in punto di diritto ha inquadrato correttamente i temi in discussione ma che, in punto di fatto, ha collegato in modo non coerente motivazione e dispositivo. Anche se a questo proposito bisogna tenere ben distinti i livelli di analisi. Nel caso specifico, considerato che l’utilizzo del dominio era palesemente orientato a finalità commerciali e registrato da un soggetto economico, a nulla sarebbe valso invocare la tutela civilistica dell’identità personale.
In linea generale, leggendo a contrario la sentenza, si evince un principio non deprecabile in base al quale sarebbe lecito l’utilizzo di un dominio corrispondente a un segno distintivo al di fuori dell’attività economica e concorrenziale.
Rimane invece la delusione per l’ennesima occasione perduta per affrontare in una decisione di merito i problemi tuttora irrisolti della natura giuridica del nome a dominio e dell’attività della Registration Authority che, come è noto (vedi I veri problemi giuridici dei nomi a dominio), richiedono ancora uno studio approfondito.
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