di Andrea Monti – PC Professionale n.115
Da un po’ di tempo cominciano a proliferare siti che offrono servizi di “composizione bonaria delle dispute”, particolarmente orientati ad assistere gli utenti che incappano in qualche disavventura per avere acquistato o venduto online.
Questa specie di “arbitrati” – nelle intenzioni di chi li offre – dovrebbero rappresentare un’alternativa economica e veloce al più lungo e costoso ricorso all’autorità giudiziaria (specie se stiamo parlando, come di regola avviene, di acquisti compiuti in paesi diversi dal proprio). Nessuno infatti, pur avendo ricevuto un “pacco”, intenterebbe un’azione legale internazionale per rientrare in possesso di poche decine (o centinaia) di migliaia di lire, dati i costi proibitivi di un’azione del genere.
Ecco dunque che la “giustizia privata” interviene proponendo una specie di tribunale alternativo che in quattro e quattr’otto – si fa per dire – mette in contatto venditore infedele e cliente truffato per rimettere tutto a posto.
In teoria.
In pratica le cose sono molto diverse e gli arbitrati online non si rivelano degli strumenti poi così efficaci.
In primo luogo, bisogna tenere presente che un arbitrato online altro non è se non un contratto con il quale due persone decidono di affidarsi ad un terzo per decidere su una controversia. Il che significa, praticamente, che se uno dei due non accetta il contraddittorio, essersi rivolto ad un sito che offre questo servizio serve a poco. L’alternativa, come accade per esempio nelle policy ICANN per la risoluzione delle dispute in materia di nomi a dominio, è che ci sia un soggetto (il Registry) che mette automaticamente in esecuzione i provvedimenti del panel arbitrale, dopo che le parti, obbligatoriamente e preventivamente, hanno ne accettato la giurisdizione.
Facciamo un passo avanti e ammettiamo che entrambe le parti abbiano accettato di sottomettersi al “giudice” (a proposito, il tutto ovviamente presuppone un atto di fede sulla preparazione, capacità e indipendenza di chi deve decidere). Cosa succede se chi perde si rifuta di eseguire la “sentenza” e manca un soggetto equivalente al Registry di cui dicevo prima? Semplice (posto che la decisione abbia un qualche valore giuridico davanti ad un tribunale): si va da un giudice, si esibisce la decisione dell’arbitro e poi, dopo una causa regolare, si ottiene quello che si sarebbe ottenuto rivolgendosi direttamente alle pubbliche autorità, saltando la fase della mediazione online.
In terzo luogo, non va trascurato il problema della legge applicabile. Se – poniamo – la controversia fra un italiano e un nigeriano viene decisa da un arbitro di Nuova Dheli è abbastanza intuitivo immaginare che l’indiano, pur senza farvi esplicito riferimento, applicherà le categorie giuridiche del proprio ordinamento. Che non necessariamente sono quelle “adatte” per risolvere un certo tipo di controversia.
Last but not least c’è il problema della prova di quanto si asserisce e dell’identificazione certa delle parti…
Insomma: gli arbitrati online sono sicuramente uno strumento molto utile per risolvere un certo tipo di controversie, e in effetti le Mandatory Administrative Procedure di ICANN in materia di nomi a dominio stanno dando una buona prova di sé.
Molto meno “validi” – almeno fino a quando lo stato di fatto è quello che è – questi arbitrati devono essere considerati per “gestire” le controversie derivanti da transazioni di e-commerce.
Per ora, non c’è alternativa al buon senso.
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