di Andrea Monti – originariamente pubblicato da Infosec.News
Un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano documenta l’ennesimo caso di “violenza” della Polizia di Stato, ma che, in realtà, evidenzia ancora una volta, da un lato, la calma degli operanti e, dall’altro, la incredibile convinzione che si possa “discutere” un ordine di polizia.
Il tutto, ovviamente, documentato dall’immancabile video e dal commento dell’autore che, come riporta Il Fatto, dichiara “Senza alcun motivo questo poliziotto in divisa – scrive l’amico che ha girato il video – ha chiesto documenti al mio migliore amico toccandolo ovviamente lui non centrando niente con l’avvenimento accaduto 10 minuti prima, cioè una rissa, sì è rifiutato dopo un battibecco dove il poliziotto stava già iniziando a toccarlo lo prende e comincia a strozzarlo a sto punto io ed un mio amico ci avviciniamo per staccarlo e lui cerca di estrarre la pistola verso di me…”.
La premessa che non dovrebbe nemmeno essere necessaria, è che l’Italia è uno Stato di diritto, e non è la Cina, la Russia, gli USA o l’Argentina dei desaparecidos. Le forze di polizia – al netto di casi che sono e rimangono marginali rispetto al numero degli interventi quotidiani a tutela della pubblica sicurezza – dimostrano un grande equilibrio nell’applicazione delle vie di fatto.
In secondo luogo: il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza consente agli operanti di identificare chiunque sulla base anche solo del sospetto. Rifiutare di farsi identificare è una violazione di un ordine al quale si deve ubbidire.
Terzo: ostacolare un’operazione di polizia – come hanno fatto gli altri sodali dell’arrestato – è un illecito in sé ed è pericoloso per gli operanti e per chi li intralcia.
Infine, una nota tecnica: il modo in cui è stata eseguita la presa al collo non poteva strangolare. Come spiega questo post di un validissimo maestro di judo, lo strangolamento respiratorio avviene per compressione della laringe, quello circolatorio per compressione delle carotidi mentre quello nervoso per compressione del nervo vago. Dal video si vede chiaramente che il poliziotto ha cinturato il collo della persona che si stava sottraendo all’ordine di identificazione senza eseguire nessuno di questi strangolamenti, ma solo controllando il soggetto. Astrattamente ci sarebbero potuti essere problemi articolari, ma non legati ad uno “strangolamento”.
Come già ho rilevato sulle colonne di Infosec News, la fase dell’arresto può implicare l’uso delle vie di fatto in caso di resistenza (anche passiva). Non c’è alcuno scandalo, quindi, se un operante le utilizza.
E’ incredibile, invece, questa convinzione diffusa fra il “popolo del web” per cui ci si possa intromettere in un’operazione di polizia come se niente fosse, e ci si possa sostituire alle leggi dello Stato in nome delle proprie convizioni (personali) e della propria cultura (che evidentemente non comprende nozioni di diritto della pubblica sicurezza).
Ripeto, l’Italia non è un Paese dove le forze di sicurezza possono far sparire impunemente le persone e questo anche grazie al modo in cui vengono formate, ad ogni livello, le persone che lavorano in strada.
Chiudo questo articolo rispondendo preventivamente all’immancabile obiezione basata sul “caso Cucchi”, sulla “caserma di Piacenza” e altri casi del genere. Sono eventi che non dovrebbero succedere ma sono accaduti, probabilmente altri ce ne sono e ce ne saranno, i responsabili pagheranno. Ma il fatto che alcuni operatori di polizia commettano reati non legittima la disobbedienza alla legge, sulla base di un incoerente meccanismo per cui “siccome loro non rispettano le regole, allora anche io posso fare lo stesso”.
E’ un paralogismo bello e buono, che nasconde l’egoismo ipocrita di chi pensa che la legge si applichi a tutti, tranne che a loro stessi. Ed è la manifestazione del lato peggiore della nostra società, quello per il quale c’è sempre un “ma” per giustificare la disobbedienza, dal divieto di sosta all’omicidio.
Vista la dimensione di questo fenomeno, credo sia oramai irrinunciabile una riflessione seria su cosa sia diventata la gestione di ordine e sicurezza pubblica e se i modelli tradizionali siano ancora funzionali allo scopo.
Gli eventi registrati durante la fase di picco della pandemia suggeriscono che sia il momento di occuparsi del tema, prima che l’annunciata “seconda ondata” produca conseguenze su una scala così ampia da non lasciare alternative all’uso della forza.
Quella vera, però.
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