di Andrea Monti – PC Professionale n. 171
Un tribunale analizza i metodi di licenza software in rapporto alle leggi sul copyright e stabilisce per la prima volta che il software privo di documentazione originale non è fuori legge.
La sentenza n. 145/05 emanata il 31 marzo 2005 (www.ictlex.net/index.php?p=456) dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano ha prosciolto un architetto accusato dalla Guardia di finanza di duplicazione abusiva di software in quanto le prove raccolte non erano sufficienti a fondare l’accusa. Nell’eseguire le indagini, infatti, i finanzieri – così si desume leggendo la sentenza – si erano limitati a rilevare che il professionista non aveva gli “accessori” che normalmente accompagnano l’acquisto di una licenza, come scatole, imballi e via discorrendo. Da questa situazione, quindi, hanno dedotto automaticamente e senza alcuna ulteriore indagine che il software fosse stato illecitamente duplicato.
Questo modo di procedere, sicuramente superficiale, è molto comune nelle indagini sui computer crime e raramente viene censurato dai magistrati giudicanti, ma quando accade i nodi vengono sistematicamente al pettine. Prima ancora del Tribunale di Bolzano, infatti, già quello di Savona aveva messo il dito nella piaga con la sentenza n. 844/04 (il cui contenuto è leggibile su www.ictlex.net /index.php?p=459). La decisione bolzanina si inserisce pienamente in questo filone giurisprudenziale, rilevando – sui risultati delle indagini – che: “ciò che è stato accertato non prova affatto che l’imputato abbia detenuto programmi duplicati o programmi duplicati illegalmente o che abbia agito con il dolo richiesto né che abbia agito a scopo imprenditoriale.”.
Secondo il corretto ragionamento del GIP “non esiste nel nostro diritto un obbligo di registrarsi presso il produttore del software o di conservare i documenti di acquisto. Il produttore cerca ovviamente di costringere l’acquirente di un programma a registrarsi nei seguenti modi:
• facendo sì che il programma non funzioni se l’acquirente non si collega con il produttore per ricevere un codice che attiva il programma; ma è evidente che nulla può obbligare l’acquirente a rivelare la propria identità; – offrendo servizi aggiuntivi, quale la garanzia;
• facendo credere all’acquirente che egli ha degli obblighi contrattuali nati con l’acquisto del programma, anche se effettuato sugli scaffali di un self-service. Ebbene, è chiaro che per il nostro diritto queste condizioni sono del tutto prive di valore.”.
Ed è proprio questa la parte più interessante della sentenza in commento, perché, oltre al ribadire la necessità che vengano svolte indagini complete e approfondite prima di mandare a giudizio chiunque, entra nel merito del valore legale delle modalità di commercializzazione del software e degli obblighi a carico degli utenti.
A tal proposito, la sentenza fissa tre punti fermi:
1 “chi va in un negozio e acquista una scatola con dentro un programma acquista incondizionatamente e senza limitazioni perché in quel A cura di Andrea Monti momento egli non conosce quanto sta scritto (magari in inglese) all’interno della scatola”, negando valore ai “clic di accettazione delle licenze” o alle “licenze a strappo”.
2 “la garanzia deve essere data dal venditore senza eccezioni e non può essere subordinata a comportamenti che l’acquirente non abbia espressamente accettato”.
3 “l’acquirente ha sempre il diritto di rivendere il programma acquistato, sia nuovo che usato ed ha il diritto di farsi una copia di scorta”. D’altra parte, continua la sentenza, sono proprio i produttori di software che mettono spesso l’utente in condizioni di non avere “nulla in mano” per dimostrare la legittimità dell’uso, come appunto nel caso di acquisto di software usato, di acquisto tramite sistemi Electronic Software Distribution – ESD (modalità molto utilizzata da notissime software house), o di software acquistato all’estero e dunque privo di bollino SIAE, senza che questo implichi alcuna violazione di legge. Né, continua il GIP, si può considerare penalmente rilevante la vendita dei software Oem separata dall’hardware: “il produttore di computer che li ha acquistati dal produttore di programmi non potrebbe forse destinarli ad altro uso in base al contratto di acquisto, ma se li immette sul mercato non commette alcun illecito penale, ma solamente un illecito contrattuale e di conseguenza la copia è del tutto legittimamente in circolazione. E chi lo installa è in possesso di dischetto originale e delle corrette password o chiavi di accesso, pur non avendo alcuna licenza o manuale e pur non avendo avuto alcun contatto con il produttore.”.
È bene evidenziare, in conclusione, che questa sentenza non stabilisce l’impunità per chi copia abusivamente software, ma nello stesso tempo “richiama all’ordine” chi lo produce. Il rispetto della legge, infatti, non è a senso unico e vale anche per le software house che dovrebbero rivedere i propri metodi di commercializzazione nel senso di un maggior rispetto dei diritti degli utenti.
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