Benvenuti alla nuova puntata de “I professionisti dell’informazione”.
Un articolo pubblicato su Il Giornale si stupisce della diffusione, da parte dell’ISIS di informazioni su come accoltellare chi indossa un giubbotto antiproiettile.
Senza destare particolari clamori, però, “Informazioni” del genere sono ampiamente diffuse, disponibili e “trasmesse” in molte palestre italiane, come quelle che praticano discipline provenienti dalle Filippine o che si rifanno alla tradizione marziale italiana. Si tratta di discipline che lasciano molto poco all’immaginazione e che insegnano a colpire – senza mezzi termini – aorta, succlavia e altri punti che, un volta “attinti”, provocano morte certa se non si interviene in tempi rapidissimi.
E’ lecito insegnare questo modo di usare il coltello? Qual è il limite fra libertà di insegnamento e diffusione di informazioni “pericolose”? Ma soprattutto: può la variazione del contesto trasformare la stessa cosa da lecita in illecita?
Questo ragionamento mi sarei aspettato di trovare nell’articolo de Il Giornale che, invece, si riduce alla variante contemporanea dello storico “sull’internet si trovano i manuali per fare le bombe”, che fin dagli albori della diffusione della Rete è stato il cavallo di battaglia di censori e repressori.
Sono curioso di osservare le conseguenze, se questa notizia dovesse guadagnare spazio sulle prime pagine dell’informazione radiotelevisivo o se qualcuno che “conta” dovesse indignarsi a comando con il solito tweet o il solito social post.
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