di Andrea Monti – PC Professionale n. 248
Silk è il browser sviluppato da Amazon per funzionare sul suo tablet, Kindle Fire con il suo cloud. A spese della libertà degli utenti?
Anche Amazon è entrata nel mercato dei tablet con un prodotto – Kindle Fire – basato su una filosofia (commerciale) ultraproprietaria e un browser – Amazon Silk – che confina gli utenti nel recinto (dorato, ma sempre recinto) di Elastic Computing Cloud (EC2), il cloud di Amazon. E’ vero, infatti, che nella periferica “gira” Android cioè, in definitiva, Linux; ma è anche vero che la personalizzazione del sistema operativo è estremamente orientata alla fruizione dei contenuti venduti da Amazon, mentre Silk funziona – è legato a doppio filo, si potrebbe dire – a EC2 tanto da non consentire usi alternativi.
E dove sarebbe la novità – potrebbe chiedersi qualcuno – visto che Apple e Google si comportano allo stesso modo, cercando di mantenere i propri utenti nei loro walled garden, i giardini recintati? La risposta è nella descrizione che gli stessi progettisti di Silk fanno sul sito di Amazon. Ovviamente, il tono è da “hype”, cioè da esaltazione promozionale del nuovo prodotto; ma decodificando i messaggi si scopre qualcosa di (molto) diverso. Apple e Google avvinghiano gli utenti tramite una piattaforma (iTunes, GoogleApp) ma non interagiscono con i terminali remoti. In altri termini, il controllo sull’utente avviene essenzialmente tramite il controllo sulle applicazioni che questo utilizza e non – come nel caso di Silk – sul modo in cui il terminale dialoga con la rete. In questo ultimo caso, infatti, il controllo sull’utente avviene ad un livello più profondo. Silk funziona in una sorta di modalità client-server, in cui le richieste di contenuti veicolate dal browser vengono – in realtà – processate da EC2, adattate al tipo di terminale che effettua la richiesta, confrontate con il profilo comportamentale aggregato dell’utente e poi inviate in un colpo solo al terminale.
Dunque, semplificando rozzamente, il binomio (inscindibile) Silk/EC2 è costituito da una specie di proxy “attivo” (che non si limita a mettere in cache i contenuti, ma li “amalgama” prima di inviarli all’utente), un man-in-the-middle (che si interpone fra l’utente e un sito che gira in https per lo scambio dei certificati), un’analizzatore di comportamenti aggregati che individua le regolarità nelle azioni degli utenti per fornire loro più velocemente i contenuti di interesse.
Raccontata in questo modo, la storia sembrerebbe entusiasmante: finalmente qualcuno è riuscito a dare un senso al concetto di cloud-computing sfruttandone al meglio le peculiarità strutturali e senza limitarlo a una variazione cosmetica sul tema “calcolo distribuito”. Ma la storia si può leggere anche in un altro modo: Silk ed EC2 canalizzano le attività degli utenti in un unico punto, consentendo ad Amazon di accumulare i dati più diversi, incrociandoli nei modi più disparati. E’ come se Google diventasse anche fornitore di accesso, potendo quindi incrociare le query degli utenti con il loro comportamento successivo alla scelta della risposta. Il risultato farebbe gelare il sangue a chiunque.
A questo punto è chiaro che i (potenziali) problemi di privacy sono i primi ad essere in evidenza ma non sono gli unici e nemmeno – paradossalmente – i più importanti. Amazon, infatti, ha trasformato il rispetto degli utenti nella sua arma più potente tanto che nessuno è in grado di eguagliare il livello di fiducia che l’azienda riesce a ispirare nei suoi clienti. E’ ragionevole pensare, quindi, che anche le regole sul rispetto della privacy vengano osservate molto scrupolosamente.
Più preoccupante è, invece, la palese intenzione di confinare la navigazione degli utenti in una sorta di golfo chiuso del quale Amazon controlla i passaggi per raggiungere il mare aperto, insieme al ruolo attivo che EC2 riveste nel reperimento e nella gestione dei contenuti. Quanto è veramente neutra un’infrastruttura – che a questo punto possiamo tranquillamente considerare l’internet privata di Amazon – come EC2? Come si comporteranno i suoi amministratori di fronte a richieste di contenuti illeciti o – peggio ancora – legittimi ma fortemente critici? Lo vedremo nel prossimo futuro, anche se al di la delle affermazioni di principio, fino ad oggi i grandi attori dell’internet mondiale non hanno avuto così tanta voglia di opporsi alle richieste di controllo sempre più pressanti che arrivano dai governi occidentali.
Non stupirebbe dunque che in nome della ragion di Stato anche Amazon potrebbe in futuro essere costretta a filtrare, censurare, controllare, e chissà cosa d’altro. Eppure, la direttiva sul commercio elettronico è chiara nello stabilire che la neutralità della rete intesa come neutralità dei servizi è il presupposto per “lasciare fuori” il fornitore di servizi di comunicazione elettronica dalle conseguenze dei comportamenti dei suoi utenti.E dunque, al contrario, se il servizio non è neutro allora chi lo fornisce si assume delle responsabilità precise anche per le azioni degli utenti.
“Da un grande potere deriva una grande responsabilità”, diceva Spiderman/Peter Parker. E se la strada inaugurata da Amazon dovesse diventare uno standard, di potere, i signori della rete, ne avranno veramente tanto, troppo.
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