di Andrea Monti – PC Professionale n.109
Il 15 dicembre 1999 è una data importante nella storia dell’internet italiana perché segna l’abolizione del limite “una entità-un dominio” che impediva a (quasi) chiunque di registrare più di un indirizzo. Come era ipotizzabile, questa “liberalizzazione” – voluta essenzialmente dagli internet provider – ha dato il via ad una vera e propria corsa alla registrazone che si è tradotta nell’accaparramento di nomi da parte di soggetti piccoli e grandi e nell’impossessamento di domini “strategici” da parte di moltissimi altri soggetti.
Quello che però ha destato scalpore è il fatto che sia stato possibile ottenere domini corrispondenti a nomi e cognomi senza esserne i titolari (come se Dante Alighieri chiedesse – ottenendola – l’assegnazione di francescopetrarca.it).
Tutto questo ha messo sotto accusa l’attuale formulazione delle regole di naming, l’ente che le ha emanate e la Registration Authority italiana, tutti responsabili – si dice – di avere consentito ad alcuni soggetti il commettere un simile abuso in violazione degli articoli del codice civile che tutelano il diritto al nome.
Prima di analizzare gli aspetti giuridici della situazione che si è venuta a creare, bisogna necessariamente fornire alcune informazioni – poco note ai più – che consentono di inquadrare in modo preciso quello che sta accadendo.
In primo luogo, la decisione di liberalizzare la registrazione dei nomi a dominio venne presa nel corso di un’assemblea pubblica, alla quale avrebbe dovuto partecipare (ma non si è fatta viva) l’Autorità per le comunicazioni, che aveva appositamente nominato due “osservatori” (i quali hanno avuto anche la possibilità di seguire i lavori preparatori).
In secondo luogo, vice presidente della Naming Authority è stato eletto il prof. Joy Marino, che occupa un ruolo di responsabilità all’interno dell’Associazione Italiana Internet Provider (e che non ha partecipato all’assemblea).
In terzo luogo, la Registration Authority afferisce all’Istituto di Applicazioni Telematiche del CNR, soggetto pubblico e quindi sotto il diretto controllo del Ministro competente.
In quarto luogo, esiste oramai da tempo, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Forum per la società dell’informazione che però non si è mai fatto carico delle questioni relative ai nomi a dominio.
Non è finita. I casi italiani di “appropriazione indebita dei nomi a dominio” esistono da tempo, ma nessuno se ne è mai preoccupato, lasciando (giustamente) alla magistratura il compito di dirimere le questioni.
Ma quando la cosa ha “toccato” interessi “forti” allora si è scatenata una veria e propria offensiva, culminata in una sorprendente quanto ingiustificabile richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri (http://www.nic.it/RA/documenti/nomi.jpg) che…nell’attesa di un intervento organico in materia, per quanto concerne le richieste di registrazione a dominio in Intemet sotto il Top Level Domain “.it” di nomi e cognomi di persone fisiche ritiene opportuno, per il momento, limitare al massimo le registrazioni ai casi in cui sia provato il titolo all’uso di quello specifico “nome cognome” da parte del richiedente. E in un’interrogazione parlamentare dell’On. Semenzato (Gruppo Verde) che – rivelando un’approssimata conoscenza dei fatti – ritiene emergere con molta evidenza l’incapacità della struttura attuale, articolata su un livello normativo e di controllo (Naming Autority) e su uno più propriamente operativo (Registration Autority), di regolare la situazione contemperando le esigenze di mercato e di sviluppo di Internet con la tutela dei diritti dei cittadini; e che tale incapacità va fatta risalire alla logica puramente mercantile degli organismi preposti che ha portato alla indiscriminata liberalizzazione del 15 dicembre e che è riassunta dallo slogan “registra il tuo dominio prima che lo faccia qualcun altro!”, che apre la pagina Web della “Registration Autority” (circostanza quest’ultima non rispondente a quanto pubblicato sulla pagine in questione http://www.nic.it/RA/index.html).
Tutto questo può essere “zippato” in questi termini: una decisione giusta (quella di liberalizzare le registrazioni dei domini) è stata strumentalizzata da un certo numero di soggetti – non solo quelli che si sono “mossi” su larga scala – che abusando della libertà acquisita hanno provocato un intervento politico di stampo medievale (vedi lettera della Presidenza del Consiglio) e il rischio, anzi la certezza, di un intervento normativo statale che si tradurrà in una legiferazione inutile e quasi sicuramente inefficiente.
La cosa paradossale, è l’entità della tempesta che si è scatenata in un bicchier d’acqua in relazione al cosidetto “cibersquatting”. Sia le Regole di Naming, sia le leggi dello Stato consentono infatti di rientrare in possesso del dominio “scippato” da qualcun altro, azionando il codice civile (che tutela sia i nomi propri, sia i segni distintivi) o la legge marchi. Per di più, la Registration Authority ha un potere di “revoca d’ufficio” delle assegnazioni che magari dovrà essere potenziato, ma che sicuramente è un altro strumento utilizzabile ed efficace per ottenere in tempi brevi il rispetto dei propri diritti.
Ma tutto questo i politici evidentemente non lo sanno, tutti presi come sono fra una cena di rappresentanza e le dichiarazioni di maniera sulla new economy.
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