La messa in commercio del nuovo Huawei Mate Pro 60 non è soltanto l’ennesimo capitolo della corsa all’accaparramento di quote nel mercato degli smartphone di fascia alta ma ha un impatto sulla geopolitica tecnologica da non sottovalutare: il processore Kirin900s che fa funzionare lo smartphone è sviluppato su chip da 7 nanometri, ritenuto impossibile da produrre in Cina per via dell’embargo sulle tecnologie necessarie a realizzarlo. di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog LaRepubblica – Italian Tech
Nell’immediato, la costruzione del Kirin 9000s ha delle ricadute pratiche molto rilevanti essendo innanzi tutto uno strumento di competizione economica. Per esempio, grazie al nuovo chip ora Huawei è di nuovo in grado di sfidare Apple sul mercato cinese potenzialmente sottraendole quote in uno dei mercati più rilevantie, forse, anche su altri.
Tuttavia, in termini di geopolitica tecnologica, e non solo, l’importanza di questo successo ha effetti molto più estesi, tanto che l’amministrazione USA, sorpresa dalla notizia, avrebbe avviato un’indagine per capire come sia stato possibile per la Cina raggiungere il traguardo nonostante l’embargo.
In attesa dei risultati dell’indagine, il fatto rimane: la Cina ha dimostrato di sapere e potere produrre semiconduttori che le consentono di competere testa a testa con i prodotti made in USA accorciando il divario tecnologico.
Dal punto di vista della comunicazione pubblica, la Cina può ridimensionare la percezione dell’efficacia delle sanzioni occidentali e rinforzare la propria immagine di un Paese in grado di competere con chiunque ai livelli più alti nonostante le misure adottate dagli USA nella delicata partita a scacchi fra le due potenze.
Inoltre, come ha rilevato Megha Shrivastava in un articolo pubblicato su The Diplomat, la produzione del Kirin9000s “spingerà gli Stati Uniti ad ampliare ulteriormente la portata delle loro sanzioni e delle misure di controllo delle esportazioni. Di conseguenza, gli alleati statunitensi nella catena del valore dei semiconduttori —Corea del Sud, Taiwan, Germania e Paesi Bassi, che hanno sopportato il peso delle politiche statunitensi con perdite di entrate dal mercato cinese— avranno sempre più difficoltà a collaborare con gli Stati Uniti.” In altri termini, non sarebbe semplice per gli USA chiedere ulteriori restrizioni alle aziende di Paesi amici senza concedere qualcosa in cambio.
È ancora presto per valutare pienamente le conseguenze del successo cinese —per esempio, non è ancora chiaro se la produzione di questo chip possa scalare verso l’alto in modo economicamente sostenibile— ma di certo Pechino ha compiuto un altro passo verso l’autosufficienza nell’alta tecnologia.
Questo lascia intendere che successi come quelli del Kirin9000s potrebbero essere raggiunti anche nell’altro settore critico, quello dei chip per l’intelligenza artificiale. Se così fosse, aumenterebbe la polarizzazione dello scontro per il controllo sull’AI, costringendo quei Paesi che non hanno una leva tecnologica a dover sottostare all’una oppure all’altra superpotenza, e dunque ad autorelegarsi nel ruolo di semplici comprimari.
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